A colloquio con Asmae Dachan, giornalista di origine siriana impegnata a raccontare le sofferenze dei civili nella interminabile guerra del Medio Oriente. 

di Mariarosaria Petti

Occhi grandi e profondi come la terra martoriata di cui è originaria: Asmae Dachan, sangue siriano nelle vene ma nata e cresciuta ad Ancona, è giornalista e collaboratrice di Panorama, Avvenire e The Post Internazionale. Si occupa di Medio Oriente, diritti umani, dialogo interreligioso e interculturale. Abbiamo intervistato la giovane professionista, che “ama immaginare la sua vita come un ponte che unisce culture e popoli diversi”.

Siria, guerre, migrazioni. Sono i temi di cui lei si occupa. Quanto è falsata la visione dell’attuale scenario geopolitico?
L’oggettività è la sfida quotidiana di ogni giornalista, a prescindere dal tema. Anche scrivere di cronaca cittadina è pericoloso. Di fronte a fenomeni transnazionali i rischi sono più alti. Quando ci si occupa di argomenti come la guerra, il terrorismo o l’immigrazione internazionale bisogna verificare le fonti e andare il più possibile dove i fatti stanno accadendo. Avere fonti certe, che non siano soltanto giornalistiche, ma
anche civili, come ospedali e associazioni che lavorano sul posto. Dobbiamo ricordare quanto ha detto papa Francesco ai giornalisti: “Voi scrivete la prima bozza della storia”.

Perché la situazione del Medio Oriente è oggetto di distorsione da parte dei media?

C’è mancanza di personale internazionale libero che riesca a seguire i fatti. La guerra siriana è sempre stata molto complicata – tutte le guerre lo sono – però il conflitto in Siria ha avuto tanti fronti, si è prolungato per oltre 8 anni e stiamo entrando nel nono. Neanche le Guerre mondiali hanno avuto una durata tale. Cambiano gli scenari e i protagonisti delle azioni belliche. L’unica costante è la sofferenza dei civili e se ne sparisce il racconto dalle pagine dei nostri giornali è una sconfitta per noi giornalisti.

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