Don Aniello Cipriani si prepara all’ordinazione sacerdotale del 18 marzo, nei primi Vespri della solennità di San Giuseppe. L’intervista rilasciata ad Insieme

 

Pronuncerà il suo sì a Dio, per sempre, il prossimo 18 marzo, nella celebrazione di Ordinazione presbiterale presieduta dal vescovo, monsignor Giuseppe Giudice, nella parrocchia di origine, San Giacomo Maggiore Apostolo di San Valentino Torio.

Il diacono Aniello Cipriani, 29 anni compiuti lo scorso 27 novembre, è emozionato. Ancora pochi giorni e sarà sacerdote. Ha vissuto gli anni da seminarista nelle parrocchie Sant’Antonio ad Orta Loreto di Sant’Egidio del Monte Albino e Santa Maria delle Grazie di Casatori di San Valentino Torio, da quando è diacono è affidato alla parrocchia di origine. Una comunità che sente particolarmente vicina: «Il rapporto è stupendo. C’è affetto, amicizia, stima. Un amore che a volte considero immeritato. Mi sono vicini nella preghiera e nella concretezza. Lì è iniziato tutto. Tutti mi hanno accompagnato, a partire dal parroco don Alessandro Cirillo».

Partirà da dove tutto è nato, dove è stato generato. È da qui che contribuirà ad edificare una Chiesa d’amore.

 

Che Chiesa si augura di trovare e di contribuire a rinnovare?
La Chiesa che bisogna amare è quella del presente. Vorrei, invece, contribuire a costruire una Chiesa più umana, che superi le difficoltà che spesso caratterizzano i rapporti tra le persone. Una Chiesa più unita e compatta nell’operare insieme per il Regno di Dio.

 

Una maggiore unità di intenti, relazioni vere. Da cosa partire?
Da noi stessi. La realtà ci può scoraggiare, ci può far dire «chi me lo fa fare». Non possiamo fermarci a questo. Lavorare da noi in primis e non guardare sempre a quello che fanno gli altri.

 

Quando è che si corre il rischio di una possibile resa?
Quando mi impegno e non vedo risultati. Ma non posso certo fermarmi a questo. È necessario andare oltre.

 

Da novello sacerdote come pensa di gestire eventuali momenti di difficoltà?
Questi momenti verranno, certamente. Gesù ci ha detto: «Chi vuol venire con me prenda la sua croce e mi segua». Li affronterò con Lui.

 

Le comunità presentano varie sfaccettature, tra cui molte problematiche. Tra i temi più caldi c’è quello del rapporto con i giovani. Come approcciarsi?
A un primo impatto può apparire che i giovani cerchino altro. Sembrano superficiali, ma in realtà si portano dentro delle domande molto serie. Le nuove generazioni guardano alla testimonianza, alla presenza. Anche andare a prendere un caffè insieme al bar può fare la differenza. Pure questo è un segno, l’occasione per parlare loro, dire qualcosa che può suscitare un cambiamento. Essere testimoni di quello che il Signore è stato per me, che è per me, in ogni contesto. Non penso che la soluzione sia fare prediche, ma dare risposte alle loro domande.

 

Un episodio legato al rapporto con i giovani?
Non ce ne è uno in particolare. Tuttavia ci sono stati degli incontri che mi hanno lasciato un segno particolare. Ricordo, per esempio, l’esperienza nella parrocchia di Orta Loreto, quegli anni mi hanno fatto crescere.

 

Tra i Sacramenti, quello della Confessione sembra quello più lontano, soprattutto dai giovani. Lei ha raccontato che si è avvicinato a Dio dopo l’esperienza della riconciliazione. Si può, insomma, cambiare idea?
La cosa essenziale è far comprendere il valore di questo Sacramento, in secondo luogo il confessore dovrebbe caratterizzarsi per l’accoglienza. Da ragazzo, prima di fare la scelta del seminario, quando mi confessavo temevo il giudizio, vedevo un Dio giudice, c’era timore del confessore e del suo pensiero. L’esperienza mi ha aiutato. Così come l’ho sperimentato io, è necessario aiutare a vivere nel confessionale la parabola del Padre misericordioso. Lui è lì ad accoglierci.

 

Futuro. Sarà un sacerdote che vuole più formare, come immaginava prima del diaconato, o che vuole vivere la vita pastorale?
Preferirei stare in parrocchia, anche se insegnare, formare resta un mio sogno.

 

Quale sarà la cifra del suo ministero sacerdotale?
«Ti ho amato di un amore eterno» è il versetto scelto per la locandina dell’ordinazione. Nella vecchia traduzione continuava così: «Per questo ti ho attratto a me, chiamandoti». È Lui che mi ha scelto tra tanti. Questa vuole essere la certezza su cui fondare il mio ministero. La mia vita era paralizzata, Lui venendo nelle mie tenebre ha fatto andare ogni cosa al suo posto.

 

Un cambiamento che ricorderà con un canto speciale durante la Celebrazione del 18 marzo.
Per l’abbraccio di pace ho scelto Ti seguirò. Questo canto mi ha accompagnato dall’inizio. Lo ascoltai la prima volta nel dicembre 2011, a un ritiro del gruppo Emmaus. Risentirlo mi porta agli inizi del percorso di discernimento, a quell’esperienza che considero fondamentale. Quegli incontri mi hanno fatto superare la diffidenza iniziale. È grazie a quei momenti vissuti che oggi sono qui.

 

Salvatore D’Angelo