“Ogni parola imparata è un calcio in meno preso” diceva don Milani. Allora rimbocchiamoci le maniche, come Geppetto vendiamo la nostra giacca di fustagno e compriamo l’abbecedario per vivere l’anno scolastico con serenità e responsabilità.

di Giuseppe Pecorelli

Geppetto gli aveva appena appiccicato i due piedi al loro posto quando Pinocchio, accortosi di quel dono, cominciò a saltare e fare capriole. Sembrava pazzo dalla gioia. «Per ricompensarvi di quanto avete fatto per me – disse il burattino al suo babbo – voglio subito andare a scuola».

A Pinocchio mancano due cose. La prima è un vestito. Non potrà certo entrare in classe con il solo corpo di legno. E Geppetto, povero in canna, gliene tagliò uno bellissimo in carta fiorita, plasmando midolla di pane per farne un berrettino e modellando una scorza d’albero per ricavare un paio di scarpe.

Il vestito era pulito e questo bastava a far di Pinocchio un signore. Ma mancava altro. «Per andare alla scuola – aggiunse il figliolo – mi manca sempre qualcosa: anzi mi manca il più e il meglio. Mi manca l’abbecedario». Servivano i soldi, che Geppetto non aveva, ma il vecchio falegname non si perse d’animo. S’infilò la vecchia casacca di fustagno, piena di rattoppi e rammendi, e uscì di casa. Tornò con l’abbecedario, ma non aveva più la giacca. L’aveva venduta e fuori nevicava. Pazienza!

A Pinocchio che gli chiese il perché, Geppetto rispose: «Perché mi faceva caldo». Prodigi dell’amore che, in cambio di un libro, fa sentire caldo anche nel rigore dell’inverno toscano. Un libro che fa imparare a leggere e scrivere è più importante di una giacca di fustagno e, per un figlio, si dona tutto quello che si ha. Non a caso qualcuno dà una lettura teologica del Pinocchio di Collodi e vede in quel padre anziano, tutto pieno d’amore, Dio stesso. E in Pinocchio il suo figlio amato, anche quando sbaglia. Il bambino di legno venderà l’abbecedario per andare a vedere il teatrino dei burattini. Ma quanto era importante quel libro!

Diceva don Lorenzo Milani: «Quando avete buttato nel mondo d’oggi un ragazzo senza istruzione avete buttato in cielo un passerotto senza ali». La scuola prima di tutto, al massimo subito dopo il pane, la casa, la salute. E anche di pane se ne ha poco se si è senza istruzione, da cui tutto dipende: il custodire una casa, il mantenersi in salute. La vita non è sempre generosa e, a volte, dà calci.

Sempre don Milani diceva che ogni parola imparata è un calcio in meno preso domani. E allora tutti – politici, insegnanti, genitori, studenti, tutti – rimbocchiamoci le maniche per ricominciare l’anno scolastico in serenità e con senso di responsabilità.

Vendiamo la nostra giacca di fustagno, compriamo anche noi l’abbecedario, affidiamoci alla creatività, allo spirito di necessità che fa trovare soluzioni alle questioni pratiche e fa evitare ogni pericolo di contagio, ma i ragazzi non possono permettersi di perdere una sola altra ora di scuola o una sola altra parola. Prenderebbero troppi calci domani. Non possono permetterselo loro. Non possiamo permettercelo noi.