L’omelia del Vescovo pronunciata in occasione della traslazione dei resti mortali della Serva di Dio Maddalena Fezza, lo scorso primo giugno nella Basilica Pontificia di Sant’Alfonso Maria de Liguori a Pagani.

 

Liturgia della Parola: 1Pt 4,7-13;  Sal. 95(96);   Mc. 11,11-25

 

Sorelle e fratelli, carissimi Presbiteri,

facciamoci illuminare brevemente dalla parola di Dio che è un sostentamento per la nostra vita. Nella prima lettura l’apostolo Pietro dice: rallegratevi perché anche nella rivelazione della sua gloria possiate rallegrarvi ed esultare. Da dove viene questa gioia dei credenti? Pietro scrive in un momento di persecuzione: nella misura in cui partecipate alle sofferenze di Cristo la gioia, ci dice San Pietro primo papa, nasce dalla partecipazione alle sofferenze di Cristo. Il Vangelo di Marco ci presenta  l’episodio di questo albero di fichi maledetto dal Signore. Qual è il significato? Secondo la tradizione sotto l’albero di fico o dei fichi si ci metteva per meditare la parola di Dio. Gli Ebrei facevano così. Sotto questi alberi meditavano il rotolo della parola, e Gesù semplicemente, con questo gesto di un fico che viene maledetto perché non ha frutti, ci vuole ricordare che ogni qualvolta nella nostra vita non accogliamo la parola di Dio e non la facciamo fruttificare la nostra vita è sterile.  Sembra strano perché Gesù si avvicinò a questo albero in un tempo in cui non ci dovrebbero essere i frutti, era inverno. C’è un altro significato molto bello che vogliamo raccogliere stasera. Quando passa Gesù, quando Lui viene nella nostra vita, se ci apriamo alla Fede noi possiamo portare sempre i frutti. Perciò Gesù dice: abbiate fede in Dio. Avere fede significa avere questa fiducia totale nel Signore. E allora la nostra vita non è maledetta. Quando accogliamo la sua parola, quando ci mettiamo alla sua scuola, in qualunque stagione, anche se fuori fa freddo, noi possiamo portare frutti. Ecco prendiamo queste due pillole di saggezza. Pietro è il primo Papa che ci ricorda che la gioia nasce dalla partecipazione alle sofferenze di Cristo. L’evangelista Marco che ci ricorda che per portare frutto nella nostra vita, e portare frutto significa camminare verso la santità, dobbiamo avere fede in tutte le stagioni della nostra vita. Ecco perché questa parola di Dio ci può introdurre a comprendere un po’ meglio la vita di Maddalena Fezza. Se io chiedessi a qualcuno di voi, oltre qualcheduno che l’ha conosciuta, da racconti o studiando la sua vita, chi è Maddalena Fezza, me lo sapreste dire? Penso di no. Ed è significativo per me Vescovo questo no. Vuol dire che non è molto conosciuta. Sapete che dal 19 maggio questa Serva di Dio è qui in questa Basilica? Si e no. Allora stasera sono qui come Vescovo anche per presentare meglio tutto questo e per invitarvi a conoscere la sua vita. Maddalena Fezza nacque a Pagani, in via S. Francesco, il 30 ottobre 1811, secondogenita dei coniugi Gennaro e Gelsomina Marrazzo, semplici contadini analfabeti. Però diciamo con tanta semplicità, che l’analfabetismo di ieri non è quello di oggi. Oggi noi conosciamo tante cose, però siamo tante volte analfabeti dal punto di vista della fede. Ieri magari non sapevano leggere, non sapevano scrivere molto, però conoscevano le cose di Dio. Adesso c’è questo cambiamento. Maddalena da piccola incontrò il Signore come quella donna che il mattino di Pasqua incontrò il Signore, la donna del Risorto, quella che noi celebriamo come Apostola degli Apostoli. Che cosa faceva Maddalena insieme ai genitori? Lavorava nei campi e, si racconta in un bel testo che mi è stato mandato, al momento del pranzo invece di consumare il pasto frugale quel poco che avevano da mangiare si appartava a pregare e offriva il suo pasto agli operai, accontentandosi per lei di pane e acqua. La fede, la carità. E passava molte ore in ginocchio. Sapete dove pregava? Nella chiesa del Carmine, qui a Pagani, dinanzi all’immagine di San Francesco di Paola. Dormiva per terra su una pietra. Sembrano cose oggi molto difficili. Però vedete la santità, Il Papa ha scritto un bel documento ultimamente, passa attraverso queste cose semplici. In giovane età fu colpita da una malattia deformante e per tutta la vita rimase a letto.  Qualche volta noi diciamo: ma come se Dio mi vuole bene perché mi ha mandato questa malattia, perché questo dolore? perché questa sofferenza? Dio permette. Dio non ci manda il male.  Dio il male lo permette perché attraverso quella sofferenza, come Dio ha permesso la croce del Figlio, dove il Figlio si è donato liberamente, passa la Redenzione del mondo, la abbondante Redenzione di cui parlava Sant’Alfonso Maria de’ Liguori. La sofferenza non come un male, non come un incidente, non come qualcosa di negativo, ma come partecipazione al mistero della croce di Cristo. Maddalena rimane per tanti anni nel suo letto di dolore, che lei chiama letto di rose, quasi per 50 anni. Uno potrebbe dire oggi una vita inutile, una vita, diremo con Papa Francesco, scartata, che non serve. Maddalena invece fa del suo letto di sofferenza un’offerta, un altare, un olocausto. E’ bello leggere che accanto al suo letto c’era un immagine della Madonna dei sette veli di Foggia, con una lampada che ardeva giorno e notte. Mi sembra un’immagine stupenda: la lampada che arde giorno e notte. Oggi noi l’abbiamo vicino al Santissimo dove c’è il Sacramento. Domenica celebreremo il Corpus Domini. Allora vedete che la vita di questa donna nel suo letto di dolore che per lei diventa letto di rose è una vita che quasi si consuma, come si consuma la lampada dinanzi al Santissimo. E consumandosi, una lampada dà luce e calore. Non è inutile. E’ bella questa immagine. E’ un’immagine forte, è l’immagine di Gesù. Maddalena si sente chiamata alla vita religiosa, prende l’abito dell’Addolorata. Fu assistita durante la vita dai padri redentoristi, diversi padri redentoristi, tutti morti in concetto di Santità. Ecco vedete come il suo letto, direi la sua condizione, diventa la condizione di una donna che non può fare più niente rimanendo allettata, ma che trasforma la sua vita in un’offerta, un olocausto, un sacrificio: e il letto si fa croce. Indossò l’abito di terziaria francescana. Fece i voti di castità, povertà e obbedienza. E quella stanzetta, umida e fredda, diventò un cenacolo. Noi che ci agitiamo, noi che ci lamentiamo, noi che grazie a Dio abbiamo il dono della salute, e certe volte neanche ce ne accorgiamo. Invece Maddalena sta lì in quella stanzetta che diventa un cenacolo. Tante persone, vescovi, nobili, gente umile, vanno da lei a chiedere consigli. E lei sta lì consumandosi come una candela, consumandosi e dando alla sua vita un significato profondo. Anche Tommaso Maria Fusco, in un momento difficile della sua vita, quando fu calunniato, andò da Maddalena Fezza per trovare consolazione, per trovare pace, per avere conforto. Oggi noi navighiamo in Internet, ci affidiamo ai “social” e troviamo guerra. Abbiamo invece bisogno di uomini e donne toccati da Dio, che guardandoci negli occhi ci possono dire cose di Dio. Maddalena Fezza morì l’8 aprile 1887, venerdì santo. Anche questo mi colpisce. La sua vita era stata tutta una vita di sofferenze, tutta una vita di croce. Quale giornata più bella per abbracciare lo sposo: Venerdì Santo. Se leggiamo con gli occhi di oggi, con l’intelligenza di oggi, è una vita persa, è una vita buttata, è una vita che non è servita a niente. Mettiamoci gli occhiali della fede. Mettiamoci gli occhiali della Carità. Mettiamoci gli occhiali della Speranza e leggiamo nella vita di questa donna. Quasi 50 anni a letto, un’opera di Dio. E il suo corpo? Voi sapete che quando uno sta a letto tanto tempo si formano le piaghe da decubito. Il suo corpo invece non presentava alcuna piega. Quando alla Madonna delle Galline furono celebrate le sue esequie una grande folla gridava: è morta una santa. Nella sua stanzetta Maddalena era stata come Gesù sulla croce. Fino a qualche giorno fa le sue spoglie hanno riposato nella cappella della Madonna del Carmine detta delle galline nel cimitero di Pagani. Subito dopo la morte si cominciò il processo di beatificazione. Oggi è serva di Dio e riposa in questa Basilica secondo una promessa fatta dai redentoristi. E’ qui in questa basilica ed entrando potete pregare, potete chiedere a lei, e possiamo pregare chiedendo alla Chiesa di far camminare la sua santità. Vedete la santità non è qualcosa che noi ci possiamo inventare e neanche la possiamo pretendere. Di questa donna, Maddalena Fezza, leggiamo la vita, parliamone, raccontiamo pure a qualcheduno: conosci Maddalena Fezza? Chi è? Magari andiamo da qualche ammalato o qualcheduno che si lamenta per due o tre giorni che deve stare a letto, lei è stata per 50 anni sulla croce insieme a Gesù.  Com’è bello quello che il Signore ci ha detto: abbiate fede in Dio, in verità io vi dico se uno dicesse a questo monte levati e gettati nel mare senza dubitare in cuor suo ma credendo che quando dici a Dio ciò avverrà. Per questo vi dico tutto quello che chiederete nella preghiera abbiate fede di averlo ottenuto e vi accadrà. Chiedere nella preghiera però chiedere con Fede. E poi vedete che ci dice Gesù quando vi mettete a pregare se avete qualcosa contro qualcuno perdonate!  Non posso, non posso pregare con il cuore in guerra. Posso anche pregare, ma quella preghiera non arriva al cuore di Dio. Quante nostre preghiere volano basso perché il cuore non è in pace quando pregate. Se avete qualcosa contro qualcuno perdonate, perché anche il Padre vostro che è nei cieli perdoni a voi le vostre colpe. Ecco vi ho raccontato stasera brevemente di Maddalena Fezza.  Ma potete leggere ancora meglio la sua biografia, il significato della vita di questa donna inchiodata all’amore, inchiodata alla Croce come Gesù quando è sulla croce. Siamo nel mese di giugno e ricordiamo Gesù inchiodato e non può dare più niente, non può fare più niente, ma il cuore può ancora amare e dalla croce ci dona la Madonna. Ecco tua madre! Anche quando siamo inchiodati, anche quando siamo sofferenti, anche quando siamo nel letto del dolore, il cuore può continuare ad amare e a donare, come ha fatto Maddalena Fezza.

Ringraziamo la Commissione che ha lavorato per questo momento e, nella speranza, affidiamo tutto al Signore.

                                               + Giuseppe Giudice, Vescovo