Meditazione del Vescovo a conclusione dell’Anno dedicato a San Giuseppe. Mons. Giuseppe Giudice ha incontrato il clero nella parrocchia di San Giuseppe a Nocera Inferiore

 

“Essi erano appena partiti, quando un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: “Àlzati, prendi con te il bambino e sua madre, fuggi in Egitto e resta là finché non ti avvertirò: Erode infatti vuole cercare il bambino per ucciderlo”.
Egli si alzò, nella notte, prese il bambino e sua madre e si rifugiò in Egitto, dove rimase fino alla morte di Erode, perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta:

Dall’Egitto ho chiamato mio figlio.

Quando Erode si accorse che i Magi si erano presi gioco di lui, si infuriò e mandò a uccidere tutti i bambini che stavano a Betlemme e in tutto il suo territorio e che avevano da due anni in giù, secondo il tempo che aveva appreso con esattezza dai Magi. Allora si compì ciò che era stato detto per mezzo del profeta Geremia:

Un grido è stato udito in Rama,
un pianto e un lamento
 grande:
Rachele piange i suoi figli
e non vuole essere consolata,
perché non sono più
”. (Mt 2,13-18)

 

Voglio innanzitutto ringraziare il Santo Padre Francesco perché donandoci un anno di riflessione su san Giuseppe, accompagnati dalla bellissima lettera Patris Corde, ha rimesso dinanzi alla coscienza della Chiesa quest’uomo di Dio.

Giuseppe, in ebraico Dio aggiunge.

E Dio aggiunge sempre qualcosa alla nostra storia, alla nostra vita. Ed è bello rimeditare questa lettera, riprendere anche Redemptoris Custos di san Giovanni Paolo II, proprio per riscoprire in modo profondo il ministero di Giuseppe nella Chiesa.

Centocinquant’anni dalla proclamazione di Giuseppe come patrono della Chiesa. E tra le espressioni belle della lettera Patris Corde mi piace sottolineare l’aspetto di Giuseppe padre nell’ombra.

Ho meditato molto su questa espressione. Penso che mi abbia aiutato molto nella dimensione pastorale, come potrebbe aiutare ognuno di noi. Essere padri, presenti, ma nell’ombra, non invadenti. Quasi a volte a sembrare assenti nel ministero di vescovo, parroco, papà. Questo stile vale per qualsiasi persona che ha un impegno nell’accompagnamento dell’altro. Quando si è troppo presenti, quasi a togliere il respiro, con il fiato addosso, non si lascia crescere il bambino, il figlio. Bisogna anche permettergli di cadere per potersi rialzare, per imparare a camminare. Ed è bella questa espressione: padre nell’ombra. Quasi a dire: “Io ci sono, sono qui, puoi contare su di me, ma non voglio invadere la tua vita. Non voglio violentare con la mia presenza la tua vita”.

È il mistero di Giuseppe, che è un mistero particolare, un servizio che Dio gli ha chiesto avendo grande fiducia in lui. Dio gli affida i due doni più grandi: la Madonna e Gesù. Di solito quando noi affidiamo un compito a qualcheduno o qualche cosa di importante lo facciamo perché abbiamo fiducia di quella persona, perché sappiamo che può portare a termine il compito che gli abbiamo affidato.

San Giuseppe che ha dovuto custodire anche gli albori della Chiesa nascente, questo uomo della contemplazione, è l’uomo del silenzio, homo faber.

Ogni volta svegliato dal Signore si alza e fa quanto gli aveva detto l’angelo. Mi colpisce sempre questo fatto.

Il Vangelo – che non è una biografia, lo sapete – non riporta di Giuseppe nemmeno una parola. Eppure egli non è muto. Ma riporta continuamente questo suo afflato, questa sua capacità di alzarsi e fare come gli ha detto l’angelo, cioè come gli ha detto il Signore. Veramente l’uomo della volontà di Dio.

Non discute, non mette in difficoltà quello che gli è stato chiesto, non chiede garanzie, fa quello che gli ha detto l’angelo.

Nel Vangelo che abbiamo ascoltato vorrei sottolineare giusto qualche parola.

Alzati. Dio ha parlato a Giuseppe nel sonno ed il sonno diventa anche la cifra della Parola di Dio e innanzitutto dice: alzati!

A volte può capitare che ci siamo seduti, ci siamo fermati, ci siamo sdraiati. Alzati! È la parola della Pasqua, è la parola della Risurrezione. Alzati!

Giudo Reni – San Giuseppe e Gesù Bambino

Un uomo ripiegato su se stesso è un uomo depresso. Invece l’uomo in piedi è l’uomo risorto. Alzati! Lo dice a me, lo dice ad ognuno di noi. Siamo invitati ad alzarci. Magari da un momento di stanchezza, da un momento di depressione, da una chiusura, da una paura, da una malattia, da un peccato. Alzati! Da un preconcetto, da quell’idea che mi rode dentro e mi sta togliendo la pace. Alzati! Lo dice a me, lo dice a voi, lo dice alla nostra Chiesa. Una Chiesa seduta non può annunciare il Vangelo. Una Chiesa con le pantofole non può annunciare il Risorto. Una Chiesa sdraiata non può essere presenza significativa. “Alzati! Prendi con te il Bambino e sua Madre”. E c’è un secondo passaggio. Posso anche alzarmi e uscire ma non ho con me il Bambino e la Madonna. È un alzarmi senza significato. È un muovermi senza un contenuto. Prendi con te il bambino e sua madre. Per essere testimoni non possiamo andare da soli. Dobbiamo prendere con noi il Bambino, e per prendere il bambino nella notte bisogna essere attenti, ma con il bambino anche la madre perché non c’è mai un bambino senza la madre. Se c’è un bambino senza la madre è una tragedia, è un qualcosa che non va.

«Rachele piange i suoi figli, e non vuole essere consolata per i suoi figli, perché non sono più» (Ger 31,15) Quanti pianti di Rachele ancora oggi in tante parti del mondo, in tante periferie, anche nella nostra diocesi, anche nella nostra città, anche nelle nostre famiglie, anche nelle nostre comunità cristiane. Rachele piange e non vuole essere consolata.

Perché forse il bambino non è accolto e la madre è messa da parte e uccisa. Alzati! Prendi con te il bambino e sua madre. Prendere con sé come ha fatto Giovanni ai piedi della croce, prende Maria con sé tra le cose più importanti. E poi c’è un altro termine: Fuggi in Egitto.

Questa fuga di Giuseppe nella notte non è la fuga del vigliacco, non è la fuga di chi ha paura. Ma con la nostra spiritualità antica, ma sempre nuova, ripetiamo: fuggi le occasioni prossime di peccato. Dobbiamo fuggire dalle quelle situazioni, da quelle persone, da quegli ambienti che non ci aiutano a custodire il bambino e la madre.

Ognuno di noi sa quali sono le persone che deve amare, ma magari non deve frequentare; quali sono i luoghi dove non si deve fermare troppo; quali sono le piazze, oggi anche mediatiche, dalle quali dobbiamo fuggire per custodire il bambino, per custodire la madre, per custodire la purezza del cuore.

Fuggire non è vigliaccheria, ma è un atto di coraggio. Direi che è una fortezza saper fuggire dinanzi a certe situazioni, saper andare via per custodire il Bambino e custodire la madre.

E resta là finché non ti avvertirò.

Restare. Vorrei coniugarlo così questo termine: rimanere dirà Gesù, rimanete nel mio amore (cfr Gv 15,9). Giuseppe fugge, ha con sé il Bambino e la Madre, però rimane nella volontà del Signore. Resta finché non ti avvertirò.

C’è ancora un avvertimento del Signore: saper restare nella solitudine, saper restare nella meditazione, saper restare nella preghiera, saper restare nella formazione, senza fuggire di qua e di là, in quel nomadismo spirituale che oggi ci sta rubando l’anima e ci sta togliendo la pace. Resta nel silenzio, nella tua parrocchia, nel tuo ufficio, nella curia, in famiglia, in quell’ambiente. Resta. Rimani.

A volte c’è un fuggire di qua e di là perché non abbiamo il coraggio di scendere dentro di noi. Non abbiamo il coraggio di rimanere con noi stessi nella solitudine amata dal Signore. Giuseppe ci insegna anche questo. Resta. Rimani. Stai fermo in quella bottega di Nazareth dove Gesù ha imparato un mestiere, in quella bottega di Nazareth dove c’è la vita di ogni giorno. Saper restare, saper rimanere quando ci prende l’inquietudine, quando vorremmo andare di qua e di là perché non abbiamo il coraggio di scendere nel nostro cuore.

Rimani. Resta come Giuseppe a Nazareth, resta accanto a Maria e Gesù, resta perché Gesù e Maria resteranno accanto a te nell’ora della morte.  Amen.

+ Giuseppe Giudice, vescovo