Andar per giardini è il titolo della meditazione che il Vescovo ha tenuto ai seminaristi del Seminario “Card. Ascalesi” di Capodimonte

 

 

 

 

 

 

 

“Cari fratelli e sorelle,

la “quaresima” del Figlio di Dio è stata un entrare nel deserto del creato per farlo tornare ad essere quel giardino della comunione con Dio che era prima del peccato delle origini” (cfr Mc 1, 12-13; Js 51,3).

(Dal Messaggio del Santo Padre Francesco per la Quaresima del 2019).

 

“Tu che abiti nei giardini
– i compagni stanno in ascolto –
fammi sentire la tua voce”

(Cantico dei Cantici 8,13)

 

Invitati dalle parole del Cantico dei Cantici, scendiamo anche noi nei giardini per riascoltare la voce del Risorto.
Certamente ci sorprenderà, e per questo forse ci nasconderemo, la Presenza del Signore: “Poi udirono il Signore che passeggiava nel giardino alla brezza del giorno e l’uomo con sua moglie si nascosero dal Signore Dio, in mezzo agli alberi del giardino” (Gn 3,8).
Ma Dio, Amante della vita, non ci lascia nel nascondiglio, ci viene a cercare, ci chiama: “Dove sei?” (Gn 3,9), giocando a rimpiattino con noi.
Passeggiando nei giardini biblici ci accorgeremo che Dio ci manda dei messaggeri, gli angeli, primi abitanti dei giardini, per consegnarci un messaggio di resurrezione.
Andar per giardini… sarà la nostra passeggiata quaresimale e pasquale con brevi soste nel giardino dell’Eden, del Getsemani, di Pasqua e della Chiesa.

Nel giardino dell’Eden

“Eppure nel giardino desolato
alla voce di Dio
 fiorì sul deserto la pallida radice
di Jesse; e crebbe” ( G. Cristini).

 

“Il Signore Dio lo scacciò dal giardino di Eden, perché lavorasse il suolo da dove era stato tratto. Scacciò l’uomo e pose ad oriente del giardino di Eden i cherubini e la fiamma della spada folgorante, per custodire la via all’albero della vita” (Gn 3, 23-24).

Dal primo giardino, odoroso di Dio, siamo fuori perché lacerati dal peccato della disobbedienza, che ci mette l’uno contro l’altro. Guardiamo oltre la fiamma folgorante degli angeli con lo sguardo dei bambini che hanno rotto un giocattolo, hanno combinato un guaio, forse senza saperlo e così hanno perduto il giardino. Sono occhi tristi, pieni di nostalgia. Il dono di Dio, il giardino, è là, ma noi ne siamo fuori. Siamo fuori dal giardino perduto, ma non più nudi, perché Dio ha compassione della nostra fragilità: “Il Signore Dio fece all’uomo e alla donna tuniche di pelli e li vestì” (Gn. 3,22).

 

Da quanti giardini, confondendo la libertà con “faccio ciò che voglio”, siamo usciti non apprezzando il dono di Dio!
Siamo usciti… accusandoci l’un l’altro, dividendoci, facendoci del male a vicenda e smarrendo la fonte della vita.

Dio, ricco di misericordia, pone i cherubini a custodia della via dell’albero della vita, per ricordarci che il giardino di Dio è migliore rispetto ai nostri giardini finti e artificiali, e per preservare il giardino, di cui, per grazia, torneremo in possesso.
Il dono è là, ma noi, feriti dentro, non riusciamo a prenderlo, a gustarlo.
Senza un Salvatore, siamo incapaci di…
Comincia, così, per l’uomo il grande Avvento, l’Attesa di Uno che riaprirà il giardino.
Nella casa di Nazareth, entro le cui mura si avvicendano gli angeli in devoto servizio, sarà proprio un arcangelo ad annunciare ad una Vergine “giardino chiuso”, non toccato da male, il grande Evento.
Allora l’avvento si fa preghiera insistente con tutti coloro che hanno alimentato la speranza: “Se tu squarciassi i cieli e scendessi!” (Is 63,19).

“In verità, in verità vi dico: vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e discendere sul Figlio dell’uomo” (Gv 1,51).

Nel mistero dell’incarnazione, il Figlio di Dio, uscendo dal giardino divino (Dio da Dio), si accosta a noi e realizza il desiderio dell’uomo: il cielo è riaperto per sempre, il giardino è di nuovo abitabile e gli angeli di Dio, come nel sogno di Giacobbe (cfr Gn 28,10-17), salgono e scendono sul Figlio dell’uomo per donarci il pane degli angeli (cfr Sal 77).
Si attua, così, la parola del Maestro: “Vedrai cose maggiori di queste!” (Gv 1,50).

“Gesù sale dalle acque e porta con sé in alto tutto il cosmo. Vede scindersi e aprirsi i cieli, quei cieli che Adamo aveva chiuso per sé e per tutta la sua discendenza, quei cieli preclusi e sbarrati come il paradiso lo era per la spada fiammeggiante” (dai “Discorsi” di San Gregorio Nazianzeno, Vescovo, Discorso 39 per il Battesimo del Signore).

 

Nel giardino del Getsemani

“Piange col viso nella terra
lacrime e sangue.
Solo” (Elena Bono).

“Gesù uscì con i suoi discepoli al di là del torrente Cedron dove c’era un giardino, in cui entrò con i suoi discepoli” (Gv 18,1)

Nel giardino o orto degli ulivi, Gesù entra da Signore, in piena libertà, portando con sé un resto dell’umanità nuova, che ha recuperato lungo la strada.
“Anche Giuda, il traditore; conosceva quel posto, perché Gesù vi si ritirava spesso con i suoi discepoli” (Gv 18,2).
Conoscere non sempre coincide con amare e un luogo familiare, amicale, conosciuto diventa il teatro della lotta finale, dell’agonia, lo spazio in cui il Menzognero (cfr 1 Gv 2,22) ti dà appuntamento per l’ultimo combattimento: “il diavolo si allontanò da Lui per ritornare al tempo fissato” (Lc 14,13).
Sotto questi antichi olivi, luogo di confidenze infinite, con pochi addormentati e non coscienti, Gesù trova il giardino per il tempo fissato dal Tentatore.
Tra quei rami, argentati dal fascino del plenilunio, dove già fa ombra l’albero della Croce, dal cuore di Gesù spremuto come oliva, gocciola l’olio della sofferenza e della passione divina: “olio d’oliva, puro, di frantoio, per fare luce” (Es 27,20)

“T’invocava con tenerissimo nome:
la faccia a terra
e sassi e terra bagnati da gocce di sangue:
le mani stringevano zolle di erba e di fango:
ripeteva la preghiera del mondo:
‘Padre, Abbà, se è possibile…’.
Solo un ramoscello d’olivo
dondolava sopra il suo capo
a un silenzioso vento…” (David Maria Turoldo).

 

Al Getsemani, secondo la testimonianza degli evangelisti, Gesù vive la passione interiore. Una scena affollata, ma l’unico a muoversi e a parlare è Gesù. E’ inquieto, nella tristezza e nell’angoscia, prostrato, profondamente umano. Si addentra, solo davanti al Padre, in una preghiera lunga e ripetuta: “in preda all’angoscia pregava più intensamente” (Lc 22,44). Vive il silenzio del Padre, il silenzio e il sonno dei discepoli, l’abbandono fiducioso. Così, nel giardino di notte, ci si prepara alla Croce.
“Quando scende su Gerusalemme il velo dell’oscurità, gli ulivi del Getsemani ancor oggi sembrano ricondurci, con lo stormire delle loro foglie, a quella notte di sofferenza e di preghiera vissuta da Gesù. Egli si staglia solitario, al centro della scena, inginocchiato sulle zone di quell’orto. Come ogni persona quando è in faccia alla morte, anche Cristo è attanagliato dall’angoscia: anzi, la parola originale che l’evangelista Luca usa è “agonia”, cioè lotta. La preghiera di Gesù è, allora, drammatica e tesa come un combattimento, e il sudore striato di sangue che cola sul suo volto è segno di un tormento aspro e duro.

Il grido è lanciato verso l’alto, verso quel Padre che sembra misterioso e muto: ‘Padre, se vuoi, allontana da me questo calice’, il calice del dolore e della morte. Anche uno dei grandi padri d’Israele, Giacobbe, in una notte cupa, alle sponde di un affluente del Giordano, aveva incontrato Dio come una persona misteriosa che ‘aveva lottato con lui fino allo spuntare dell’aurora’ (cfr Gn 32, 23-32). Pregare nel tempo della prova è un’esperienza che sconvolge il corpo e l’anima e anche Gesù, nelle tenebre di quella sera, ‘offre preghiere e suppliche con forti grida e lacrime a colui che può liberarlo dalla morte’ (cfr Eb 5,7).

Nel Cristo del Getsemani, in lotta con l’angoscia, ritroviamo noi stessi quando attraversiamo la notte del dolore lacerante, della solitudine degli amici, del silenzio di Dio. E’ per questo che Gesù – come è stato detto – ‘sarà in agonia sino alla fine del mondo: non bisogna dormire fino a quel momento perché Egli cerca compagnia e conforto ’ (B. Pascal, Pensieri, n. 553), come ogni sofferente della terra. In Lui noi scopriamo anche il nostro volto, quando è rigato dalle lacrime ed è segnato dalla desolazione.

Ma la lotta di Gesù non approda alla tentazione della resa disperata, bensì alla professione di fiducia nel Padre e nel suo misterioso disegno. Sono le parole del ‘Padre nostro’ che Egli ripropone in quell’ora amara: ‘Pregate per non entrare in tentazione…. Non sia fatta la mia, ma la tua volontà!’. Ed ecco, allora, apparire l’angelo della consolazione, del sostegno e del conforto che aiuta Gesù e noi a continuare sino alla fine il nostro cammino” (Ravasi, Via Crucis al Colosseo 2007).

 

Gli apparve allora un angelo dal cielo a confortarlo” (Lc 22,43).

 

Ecco, nel giardino della passione, la risposta consolante di Dio. Quando scende la notte della passione e dell’agonia sul nostro giardino, un angelo dal cielo viene a confortarci. Quando ti senti “consegnato come pecora da macello” (Sal 44,12); quando pensi di essere “la favola dei popoli” (Sal 44,15); quando “ci nutri con pane di lacrime e ci fai bere lacrime in abbondanza” (Sal 80,6), puoi stare sicuro che l’angelo del conforto è presso di te.

 

Fratelli e sorelle chemioterapici, quando il vostro sudore si unisce al Suo “come gocce di sangue che cadono a terra” (Lc 22,44), certamente un angelo viene a consolarvi. Angelo del conforto, angelo dell’orto degli ulivi, angelo della passione, angelo del giardino appassionato:

 

“Tu solo sai come gravi
sul cuore la preghiera dell’orto,
quando gli alberi
intendono la pena del nostro esilio.

Allora ricerchiamo i fratelli,
che il sonno colse,
ignari, allora chiediamo al Padre
la pietà del dono di un cuore amico.

Ma non ci appare che
un calice
che respingiamo” (Donata Doni).

 

 

Quel calice Gesù lo accoglie e lo beve fino alla feccia, per ognuno di noi: “Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue, che viene versato per voi” (Lc 22,20).

Nel giardino ci affidiamo allora anche noi con fiducia alle mani del Padre, per bere con Gesù il calice che Egli sta per bere (cfr Mt 21, 22-23).

 

“Il giardino pieno di ulivi non offre sollievo, stasera.
Fa pena il volto schiacciato a terra,
lacera l’angoscia che preme forte sul cuore.

La lotta può durare a lungo,
e in questo giardino terminerà solo
quando il Figlio dirà al Padre:
‘Ciò che vuoi Tu’ (Mc 14,32).
Una pace profonda
seguirà la preghiera (John M. Thavis).

 

Nella preghiera, la fede viene in aiuto nell’ora del Getsemani e ci apre ad una invocazione piena di confidenza:

 

“Ho creduto anche quando dicevo:
‘Sono troppo infelice’.

Che cosa renderò al Signore
per quanto mi ha dato?
Alzerò il calice della salvezza
e invocherò il nome del Signore” (Sal 116, 10-13).

 

Dall’orto degli ulivi: “Alzatevi, andiamo!” (Mt 26,46), verso la Croce gloriosa.

 

“Ma nessuno mi chiede
‘dove vai’,
nessuno che mi dice
‘vengo con te’
o solamente ‘addio’.
Ah, come
scende la sera!
E’ l’ora. Andiamo.
E forse per le strade
stanno ancora appassiti
i fiori che per me furono colti
e le palme e gli ulivi” (Elena Bono).

Nel vespro del Venerdì Santo, “soltanto la madre che piange ricorda che è vero il mistero” (Venerdì Santo, Luca Ghiselli) e “solo una mano d’angelo intatta di sé, del suo amore per sé, potrebbe offrirmi la concavità del suo palmo perché vi riversi il mio pianto” (Alda Merini).

E “tu, placido e pallido ulivo,
non dare a noi nulla; ma resta!
ma cresci, sicuro e tardivo,
nel tempo che tace!
ma nutri il lumino soletto
che, dopo, ci brilli sul letto
dell’ultima pace!” (G. Pascoli, La canzone dell’ulivo).

Nel frattempo, noi restiamo nei nostri giardini avendo come meta il Suo giardino: giardino di antichi ulivi dove bisogna spremere le olive, affinché l’olio infuocato, lo Spirito Santo, possa spandersi sulle ferite del cuore e del mondo.

Nel torchio della Croce, le olive sono spremute e l’olio fluente scende e consacra nuovamente la volontà umana per farla combaciare con la volontà divina: solo quando il mio volere è intriso dell’olio del Suo volere rifiorisce il giardino delle origini ed io divento “come olivo verdeggiante nella casa di Dio. Mi abbandono alla fedeltà di Dio ora e per sempre” (Sal 52,10)

 

Nel giardino di Pasqua

“Ha vinto un povero, il Servo fedele,
lui che pareva perduto per sempre:
bianche le vesti, la faccia di sole
sopra la pietra un angelo ride…”
(D. M. Turoldo)

 

“Ora, nel luogo dove era stato crocifisso, vi era un giardino e nel giardino un sepolcro nuovo, nel quale nessuno era stato ancora deposto.
Là dunque deposero Gesù, a motivo della Preparazione dei Giudei, poiché quel sepolcro era vicino” (Gv 19, 41-42).

 

Gesù, la Vita, dorme in un giardino, deposto in un sepolcro nuovo.
Nasce povero, in una mangiatoia, emigrato, a Betlemme.
Muore povero, su una croce, esiliato, a Gerusalemme.
Non ha culla, non ha tomba, Colui che fa nuove tutte le cose, Colui che è Signore del mondo.
L’albero della vita è piantato nel giardino dove, a Pasqua, la vita rinasce.
Vino nuovo in otri nuovi: Gesù! (cfr Mt 9,17).
Ma, nella povertà di Betlemme e nello stupore di Gerusalemme, gli angeli sono presenti!

“Un angelo del Signore, sceso dal cielo, si accostò, rotolò la pietra e si pose a sedere su di essa. Il suo aspetto era come la folgore e il suo vestito bianco come neve” (Mt 28, 2-3).

Un angelo forte proclama a gran voce: “Chi è degno di aprire il libro e scioglierne i sigilli?” (cfr Apc 5, 1-2).

“… Uno dei vegliardi mi disse: ‘Non piangere più; ha vinto il leone della tribù di Giuda, il Germoglio di Davide’” (Apc 5, 1-5).

 

Ecco, l’annuncio di Pasqua: Non piangere più! Ha vinto il Leone, è fiorito il Germoglio!
Pasqua è un grido di vita, che rompe la scorza dei nostri sepolcri!
Pasqua è una nuova nascita, una rinascita nel fonte battesimale della Chiesa.
Pasqua è dire a te: E’ risorto! e sentire che tu mi rispondi: E’ veramente risorto, Alleluia!

“Tutto ciò che è nato da Dio vince il mondo; e questa è la vittoria che ha sconfitto il mondo; la nostra fede.
E chi è che vince il mondo se non chi crede che Gesù è il Figlio di Dio?”(1 Gv 5, 4-5).

“Ma l’angelo disse alle donne:
Non abbiate paura, voi! So che cercate Gesù il Crocifisso. Non è qui. E’ risorto, come aveva detto; venite a vedere il luogo dove era deposto.
Presto, andate a dire ai suoi discepoli:
E’ risuscitato dai morti e ora vi precede in Galilea; là lo vedrete.
Ecco, io ve l’ho detto” (cfr Mt 28, 5-8; Mc 16, 1-8; Lc 24, 1-8).

Presto, andate… “Cristo è risorto per tutti, o fratelli,
l’albero verde del nuovo giardino!” (D. M. Turoldo).
“Correvano insieme tutti e due” (Gv 20,4):
nel giardino della resurrezione è tornata la vita e, di buon mattino, si corre insieme mentre il cuore sta per impazzire, con la certezza che “Egli darà ordine ai suoi angeli di custodirti in tutti i tuoi passi” ( Sal 91,11).

 

Nel Giardino della Chiesa

“Il bel giardino del Signore, o fratelli,
possiede non solo le rose dei martiri,
ma anche i gigli dei vergini,
l’edera di quelli che vivono nel matrimonio,
le viole delle vedove.
Nessuna categoria di persone deve dubitare
della propria chiamata:
Cristo ha sofferto per tutti.
Con tutta verità fu scritto di Lui:
«Egli vuole che tutti gli uomini siano salvati,
e arrivino alla conoscenza della verità» (1 Tim 2,4)”
(cf S. Agostino, Disc. 304, 14).

 

Nel giardino della Chiesa, nel quale entriamo attraverso il sacramento del Battesimo e cresciamo e viviamo con gli altri Sacramenti, nella notte di Pasqua, notte trapunta di Alleluia e di angeli che rotolano la pietra sepolcrale, prorompe il canto nuovo:
“Esulti il coro degli angeli
esulti l’assemblea celeste,
un inno di gloria saluti
il trionfo del Signore risorto” (dal Preconio pasquale) ed il giardino diventa una città.

 

In Lui, il Risorto,
“…ciò che è distrutto si ricostruisce, ciò che è invecchiato si rinnova, e tutto ritorna alla sua integrità” (dalla liturgia della Veglia pasquale).
Per ognuno, tutto avviene nella fede e nella gioia della Chiesa:

 

“L’angelo mi trasportò in spirito su di un monte grande e alto, e mi mostrò la città santa, Gerusalemme, che scendeva dal cielo, da Dio, risplendente della gloria di Dio.

 

L’angelo misurò la città con la canna: misura dodici mila stadi; la lunghezza, la larghezza e l’altezza sono eguali” (cfr Apc 21, 10-16).

 

Nel giardino, che è ormai una città perfetta, “dimora di Dio con gli uomini” (Apc 21,3), non ci sono più i tristi abitanti come lacrime, morte, lutto, lamento e affanno, ormai le cose di prima sono passate, perché il Risorto ha fatto nuove tutte le cose.

Egli è l’Eterno Presente, il Signore Vivente, che non può essere confuso con il custode del giardino (cfr Gv 20,15).

 

Sì, è Pasqua e, preso per mano da Te Risorto,
“a te voglio cantare davanti agli angeli” (Sal 138,1).

 

Angelo dell’Eden,
custode del giardino paradisiaco,
aiutaci a non sporcare i giardini;
donaci sempre la nostalgia di Dio
e, anche se denudati e divisi,
fà che non ci vergogniamo delle nostre fragilità,
ma illuminaci con la fede
per farci rientrare, grati,
non da padroni,
nel giardino della creazione.

 

Angelo del Getsemani,
quando verrà anche per noi l’ora della passione
e, soli, entreremo nel giardino degli olivi,
vieni tu a sorreggere
il calice della nostra amarezza
e facci intravedere nell’oscurità del calvario
il volto luminoso del Padre:
solo così il deserto della prova diventerà giardino.

 

Angelo dell’Alleluja,
angelo del giardino rifiorito a Pasqua,
angelo avvolto di luce, avvolgici di Luce;
e vieni a rotolare le pietre
dei nostri sepolcri,
che ci dividono nelle relazioni umane,
e fa che, celebrando la Pasqua nel tempo,
impariamo nuovamente la strada
per vivere con Gesù la Pasqua eterna.

 

Vergine degli Angeli,
“di speranza fontana vivace” (D. Alighieri),
giardino chiuso,
fontana sigillata (cfr Cantico 4, 12; 6, 9),
Tu, visitata da un angelo forte,
vieni a visitarci nei giorni
del nostro esistere
e, prendendoci per mano,
accompagnaci Tu nel giardino risorto
per accogliere nuovamente
dall’angelo il grande annuncio:
Non è qui, è Risorto!

 

E saremo angeli anche noi; impareremo la lingua degli angeli per essere messaggeri di parole di Pasqua, leggère e necessarie come il respiro di un angelo, per portare il primo annuncio della vita risorta.
Così, credenti e credibili, non saremo più irrilevanti, come “brusio di angeli”, ma portatori di Evangelii Gaudium, il Vangelo della gioia, la gioia del Vangelo.

Napoli, 21 Marzo 2019

+ Giuseppe Giudice, Vescovo