40 sono i giorni
di Noé nell’arca
ad attendere,
dimorando nella giustizia divina,
che l’acqua smetta
di inondare il cuore
e permetta ad una colomba,
chiesa di acqua battesimale,
di ridire la pace
portando un ramoscello d’ulivo.

40 sono le albe
di Mosé sul monte
per attendere,
trascorse le notti,
le parole di Dio,
le dieci solo importanti
da incidere nella carne dei cuori
e nei cuori di pietra.

40 sono gli anni
nel deserto
e nei deserti dei cuori
per cercare,
tra mormorii e vesti logorate,
di raggiungere la terra
da sempre promessa
fatta, dopo pioggia di pane,
di latte e miele.

40 sono anche
i tuoi giorni, o Signore,
nel deserto tra fiere ed angeli
per combattere il Male,
che ha tentato anche Te,
e per trasformare,
inchiodato alla Parola,
in giardini i nostri deserti.

40 è un numero,
numero di Dio,
un pugno di giorni,
anche per la Chiesa,
sempre nell’Arca
e sempre nel diluvio
e nella tempesta.

La mia Chiesa:
sempre sul monte
fedele all’alleanza
e sempre a riscrivere
la legge sulle tavole dei cuori
sempre nel deserto
nel vuoto o nel canto della Parola
e sempre posta in un luogo
che ridiventa giardino.

La mia Chiesa:
sempre contesa
tra cenere e coriandoli
tra lacrime e riso
tra danza e sosta
è amata dal Crocifisso
per questo è crocifissa con Lui
che, insultato in Lei,
si china ancora a lavare
i piedi della storia,
a spezzare il pane,
a versare il vino.

La mia Chiesa:
è in piedi con Maria,
adagiata alla croce
per raccogliere le gocce
del suo sangue;
è in attesa, ma sempre in piedi,
non smarrita,
accanto ad un sepolcro,
l’unico,
che rimane vuoto
in un giardino non più deserto.
Per questo – e solo per questo –
canta
perché la quarantena –
oltre il giorno di Pasqua –
è già cinquantina.