messa_crismale2016

Chiesa santa, pellegrina in Nocera-Sarno; carissimi Presbiteri,

grazia a voi e pace da Gesù Cristo, il testimone fedele, il primogenito dei morti e il principe dei re della terra (Ap 1,5).

In questo Giovedì Santo della Misericordia, – Pasqua incidentalmente e prepotentemente bagnata di sangue – ci siamo radunati spiritualmente al Battistero quasi per fare memoria grata del Battesimo, dell’olio dei catecumeni, del sacramento che è Ianua sacramentorum e che, per grazia, ci ha introdotti nel mistero della Chiesa, nostra Madre.

Al Battistero, richiamati alla dimensione escatologica dalla sua forma ottagonale, anche se furtivamente, abbiamo avuto il tempo di dire Grazie per il dono della vita; per coloro che per noi si sono fatti porta della vita e per tutti quelli che, donandoci i sacramenti, ci hanno fatto attraversare la porta della vita vera.

Quanta gratitudine deve riempire il nostro cuore perché, di porta in porta, attraversando diverse realtà, siamo giunti alla porta della vocazione, che il Signore ha preparato e spalancato per noi.

Grazie Gesù, Volto misericordioso del Padre, per il dono inestimabile della vocazione!

Non degni, Tu misericordioso, ci hai resi degni, perché tu non guardi ai nostri peccati ma alla fede della tua Chiesa.

Nel Battesimo è iniziato l’itinerario verso la santità e per questo ci siamo fatti pellegrini, – non tanto con i piedi, quanto con il cuore -, dal fonte battesimale verso la Porta Santa della Misericordia, aperta in Cattedrale, cuore della Chiesa diocesana, dove riposa Prisco, primo Vescovo, e dove c’è la Cattedra episcopale, segno dell’attualità del Magistero.

In pellegrinaggio, con il Vescovo, i Presbiteri, i Diaconi, i Religiosi e le Religiose, i Seminaristi, i Fratelli e Sorelle nella fede, noi siamo la Chiesa pellegrina, la Chiesa in cammino attraverso i sentieri del tempo verso l’Eterno, spettacolo agli uomini e agli angeli.

E poiché camminando ci stanchiamo, ci sporchiamo, ci ammaliamo, abbiamo bisogno dell’olio degli infermi come balsamo di misericordia sulle nostre ferite.

Nel cammino, mentre ci alleniamo nelle opere di misericordia per riconoscere il Suo Volto, noi risentiamo le parole del Maestro: “Ecco, noi saliamo a Gerusalemme e il Figlio dell’uomo sarà consegnato ai capi dei sacerdoti e agli scribi; lo condanneranno a morte e lo consegneranno ai pagani, lo derideranno, gli sputeranno addosso, lo flagelleranno e lo uccideranno, e dopo tre giorni risorgerà” (Mc 10,33-34).

E, alla vista della Cattedrale, quasi icona dell’architettura della Gerusalemme del cielo, ci sembra di riascoltare ancora il lamento e il pianto di Gesù perché non hai riconosciuto il tempo in cui sei stata visitata (cf. Lc 19,44): Gerusalemme, Gerusalemme, tu che uccidi i profeti e lapidi quelli che sono stati mandati a te: quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli, come una chioccia i suoi pulcini sotto le ali, e voi non avete voluto! Ecco, la vostra casa è abbandonata a voi! Vi dico infatti che non mi vedrete, finché verrà il tempo in cui direte: Benedetto colui che viene nel nome del Signore! “ (Lc 13,34-35).

In Cattedrale, dove oggi è forte e soave il profumo del crisma, noi celebriamo la porta del Cenacolo, l’eucaristia, attraverso la quale si può entrare per rimanere in comunione, o dalla quale si può uscire dalla comunione, spaesati, come Giuda.

Per rimanere effettivamente nello spazio della comunione, che è gesto di misericordia, bisogna iscriversi alla scuola del discepolo amato. Come lui, è necessario reclinare la testa sul petto del Maestro per trarne quella linfa che alimenta la comunione e sprigiona la missione; non solo il Giovedì Santo, ma tutti i giorni dell’anno, perché siano santi.

Ci accorgiamo che la Messa crismale, epifania del mistero di comunione tra il Vescovo e i Presbiteri, ha bisogno di esprimersi nei “riti esplicativi” di una vita fraterna, sempre da favorire e da consolidare.

Ma affinché l’unzione si estenda a tutta la persona e a tutti i giorni, e non scivoli come acqua sull’impermeabile, bisogna accedere nella casa della misericordia, attraverso la porticina del cuore, oleando i cardini se ce n’è bisogno, porta che però si apre solo dall’interno. Ha scritto il Beato Tommaso Maria Fusco: “Ti raccomando di entrare nella stanza del Cuore, ivi si respira aria di amore”.

Se dal di dentro, toccati dalla grazia dell’Anno Santo, apriremo la porta del nostro cuore, solo allora riusciremo, non solo a bussare, ma ad aprire la porta al povero, all’immigrato, al disoccupato, all’ammalato, al giovane in cerca di lavoro, alla donna umiliata, al bambino violentato nella sua innocenza; al confratello che da tempo ha chiuso la porta; al religioso e alla religiosa che hanno smarrito la chiave della gioia; al diacono che non trova più la chiave della porta del servizio; all’operatore pastorale che, invece di aprire, a volte chiude la porta della spiritualità, facendo della pastorale un recinto senza spazio e senz’aria; a chi si è seduto e ha smarrito l’àncora della speranza; al Vescovo che ha fame di paternità vissuta.

“Sarà un violino vecchio questo nostro cuore; ma saprà tirar fuori ancora un accento di gioia, di sentimento, di commozione davanti all’Eucaristia, davanti alla Madonna, davanti a qualche Mistero” (Montini, ritiro spirituale al clero, 1 dicembre 1960).

Ecco il vero Anno Santo, ecco che cosa ci ricorda Colui che è venuto a promulgare l’anno di misericordia del Signore (cf. Is 61,1), un anno di grazia (Lc 4,16ss), non formato da 365 o 366 giorni, ma ormai tempo aperto verso l’Eterno, perché tutto irrorato dal sangue prezioso di Cristo.

Nel Cenacolo, unti dal crisma, oggi è bello ripetere:

Canterò per sempre l’amore del Signore.

Sì, in aeternum Domini misericordias cantabo, sapendo che l’architrave che sorregge la vita della Chiesa è la misericordia (MV, 10).

Ma il Cenacolo, sorelle e fratelli, ha la porta aperta ed è soglia verso la porta stretta della croce (cf. Lc 13,24ss).

Per essere Chiesa dell’Evangelii gaudium, Chiesa di Francesco e di Giuseppe, cioè Chiesa di Cristo in uscita missionaria, capace di dire ancora una parola di speranza a questo mondo che trema e ha paura, non si esce dalla comunione, ma si esce in comunione per affrontare insieme la notte del Getsemani e la notte della Croce e per attendere di gioire uniti dinanzi alla porta spalancata del Sepolcro.

Solo così il mondo, in attesa della Pasqua, sarà raggiunto ancora dal profumo del crisma, che oggi invade le nostre cattedrali e stasera sarà accolto da tutte le nostre comunità parrocchiali e, attraverso le mani dei ministri, arriverà ad ogni casa, dove si nasce e dove si muore.

Non siamo soli nella missione, ma in compagnia di Maria, la Ianua coeli, la Mater unitatis.

Ella è la vera Maestra della comunione ed è la Compagna nella missione, alla quale siamo sempre chiamati e per la quale siamo stati consacrati con olio di letizia, perché la Chiesa esiste solo per evangelizzare (cf. EN 14).

Maria, dicendo semplicemente sì, si è espropriata e si è resa tutta e sempre disponibile al progetto del Padre, pur non sapendo dove il sì l’avrebbe condotta, ma ben conoscendo a Chi aveva risposto.

Adombrata dallo Spirito, ella ha scelto di essere sempre una porta, una soglia, un passaggio, un varco per permettere ad ognuno di passare, cioè di fare Pasqua, verso la Porta Santa, Cristo, Unico ed Eterno Sacerdote.

Ella ha condiviso tutta la vita del Figlio, meditando e conservando ogni cosa nel cuore (Lc 2,51); cuore permanentemente aperto alle sorprese di Dio e perciò capace di cantare il canto della misericordia, il Magnificat, che ogni sera risuona nelle nostre chiese.

Nel vespro del venerdì santo, Maria si è posizionata sotto la Croce per raccogliere la croce di ogni figlio, per consolare tutti gli afflitti proteggendoli sotto il manto della misericordia.

A Lei, con la bella e antica preghiera della Chiesa, in questo Giovedì Santo straordinario, noi ripetiamo:

Ave, Regina caelorum

Ave, Domina angelorum:

salve, radix, salve, porta

ex qua mundo lux est orta:

gaude, Virgo gloriosa,

super omnes speciosa,

vale, o valde decora,

et pro nobis Christum exora.

+ Giuseppe, Vescovo