GIOVEDÌ SANTO
9 APRILE 2020

 

Sorelle e fratelli,

Chiesa pellegrina in Nocera Inferiore – Sarno,

mai come in questa sera noi comprendiamo l’invito del Signore: “Beati gli invitati alla cena del Signore”. Si, sorelle e fratelli, siamo invitati a partecipare alla cena preparata per noi, è la cena dell’Agnello! Seduti a tavola con Gesù, questa tavola che è anche un altare, forse la cosa più bella in questo momento di tristezza e di preoccupazione è elevare un canto al Signore: “Che cosa renderò al Signore per quanto mi ha dato? Alzerò il calice della salvezza e invocherò il nome del Signore” (Sal 115,3). Carissimi confratelli sacerdoti, alzando il calice della nostra ordinazione – per la quale non avremo mai abbastanza ringraziato il Signore – raccogliamo tutte le lacrime, tutte le sofferenze, le gioie, le speranze… “Alzerò il calice della salvezza e invocherò il nome del Signore”!

E sappiamo – da quella certezza che ci viene dalla fede – che quel calice sarà ricolmo della grazia di Dio, sarà ricolmo dei suoi doni … e ancora la Chiesa potrà essere ministra di misericordia e di pace, perché fino a quando sarà celebrata anche una sola messa, la Chiesa esiste, la Chiesa nasce, la Chiesa annuncia! È vero, non c’è Chiesa senza Eucaristia, non c’è Eucaristia senza Chiesa e il vescovo stasera porta con sé tutti i vostri aneliti, tutte le vostre gioie qui nel cenacolo della misericordia e della pace. E da questa Chiesa Cattedrale, quasi a cerchi concentrici, la misericordia di Dio possa raggiungere ogni famiglia, ogni casa, ogni chiesa domestica, dove ci sono altari di sofferenza, dove ci sono altari di speranza.

Abbiamo ascoltato la prima lettura che ci ha ricordato come la festa di Pasqua all’inizio sia stata una festa familiare, la festa della famiglia! Ogni famiglia si doveva radunare per consumare l’Agnello e, se la famiglia fosse stata piccola, si sarebbe dovuta associare alla famiglia vicina. Festa di famiglia perché “in quella notte – dice il Signore – io passerò”: è l’angelo sterminatore! Ancora oggi fuori passa il male che prende tante forme, tanti colori, tanti aspetti. La famiglia – e ce ne stiamo accorgendo di più in questi giorni! – è il luogo della salvezza, le sue porte sono segnate dal sangue dell’Agnello, dal sangue di quell’Agnello perfetto, di quell’Agnello che è il Cristo.

Anche Gesù nella sua Pasqua ha voluto celebrare con un’altra famiglia: i discepoli, la Chiesa. Essi gli chiedono “dove vuoi che prepariamo per la Pasqua? […] andate in città” (Mt 26,17-18). Si fanno prestare una bella sala al piano superiore e durante quella cena non c’è più il sangue dei capri o degli agnelli, ma l’Agnello pasquale è Gesù, e le porte segnate dal sangue non sono più le porte dietro le quali le famiglie si rinchiudono ma è la croce stessa segnata dal sangue di Cristo. Durante la notte della Pasqua non si poteva lasciare Gerusalemme, secondo un’antica tradizione, perché c’era il male. Gesù in quella notte con i discepoli va oltre il Cedron, va oltre il limite, affronta la notte, affronta la morte. Lo aveva detto ai discepoli: “Abbiate coraggio, siate nella pace, io ho vinto il mondo” (Gv 16,33)!

Sorelle e fratelli, ogni messa è la celebrazione di questo mistero! Domani, Venerdì Santo, quel corpo, il corpo di Gesù, lo vedremo rigato di sangue, flagellato, vilipeso, ma Gesù è grazia che previene, ha fatto uno scherzo a coloro che lo vogliono mettere in croce! Certo lo metteranno in Croce ma Egli si è nascosto in un po’ di pane, si è nascosto in un po’ di vino. Nessuno mai potrebbe pensare di andare a scovarlo in un pezzo di pane e in un sorso di vino.

Nella celebrazione della cena che noi chiamiamo “ultima cena” – ma sarebbe meglio dire la “prima cena” della nuova comunità della Chiesa – Gesù si consegna: “Questo è il mio corpo prendete…è il mio sangue”, quel sangue che domani sarà versato dalla croce, quel corpo che sarà inchiodato ora è nascosto in un po’ di pane e in un po’ di vino. Dopo dice ai discepoli “Fate questo in memoria di me”: nasce l’Eucarestia, nasce il Sacerdozio. E poi, volendo fare ancora di più, si alza da tavola, depone le vesti e lava i piedi ai suoi discepoli. Poi riprende le vesti: è il mistero pasquale dove Gesù dona la vita nella morte – “nessuno me la toglie sono io che la dono” – e poi quella vita la riprende nel mistero della risurrezione.  Scende dalla tavola di Dio, si fa uomo, prende gli stracci della nostra umanità, condivide tutto di noi, tutto eccetto il peccato.  Ma poi si rialza, egli è il Vivente, è il Risorto, è l’Agnello sgozzato ma in piedi, è il mistero della nostra fede. Pietro non comprende, ha qualche difficoltà e Gesù dice a Pietro, ma lo dice anche a me stasera, e lo dice alla nostra Chiesa, a noi che non comprendiamo questo tempo: “Lascia fare lo comprenderai dopo, lo capirai dopo”!

Sorelle e fratelli, quante volte abbiamo compreso dopo il gesto di un papà, di una mamma, di un insegnante, di un amico, di un vescovo, del papa! Dopo, perché abbiamo bisogno del dono dello Spirito Santo. Adesso dobbiamo lasciare che Gesù si doni e che si immoli!

Stasera ometteremo il gesto della lavanda dei piedi però, dopo questa celebrazione, ognuno di noi potrebbe andare a trovare qualche piede da lavare. Ne vorrei indicare dodici:

i piedi dei sacerdoti, che ringraziamo, specialmente quelli che in questi giorni se ne sono andati in silenzio, li ringraziamo e quei piedi li baciamo anche perché portano la salvezza;

i piedi di un bambino, ma non di un bambino nato, un bambino nel grembo di una madre. Laviamolo quel piede piccolino che sta nel palmo di una nostra mano, è il mistero della vita che sboccia anche in questi giorni di morte;

i piedi di qualche adolescente, di chi scalpita, di chi fa fatica a stare a casa, di chi giustamente vuole correre e vuole sognare, aiutiamoli a capire;

i piedi dell’immigrato, che sta lavorando anche per noi che dobbiamo rimanere a casa;

i piedi di un insegnante, affinché ci sia data ancora la cultura e ognuno di noi possa essere ancora educato al bene e al bello;

i piedi dell’infermiere e del medico, che percorrono gli ospedali in cui si consuma la tragedia e dove si va per essere guariti;

i piedi degli operatori della comunicazione, che ci fanno sapere quello che avviene nel mondo, perché intingano sempre la penna nella bellezza e nella sobrietà;

i piedi delle donne e delle suore, di chi consacra la vita al Signore;

i piedi dei delusi, che hanno chiuso con la speranza e con la vita;

i piedi degli ammalati e degli anziani, di quella generazione che ha costruito l’Italia, ha fatto l’Italia e ha permesso a noi di vivere bene, dobbiamo baciare i loro piedi e ringraziarli proprio ora che stanno andando via;

i piedi delle mamme e dei papà, che quando eravamo piccoli ci hanno lavato i piedi, ora laviamo noi i piedi a loro e li aiutiamo;

i piedi di qualche sconosciuto, di qualche povero, di qualche mendicante, di qualcheduno che ci passa accanto.

Ecco – sorelle e fratelli – uscendo dal cenacolo incontreremo la croce, incontreremo la notte del Getsemani! Rimanendo in casa – certo – perché fuori c’è ancora lo sterminatore, noi seduti a tavola con Gesù guardando il Suo Corpo, guardando il Suo Sangue, sangue prezioso, viviamo il mistero della Pasqua viviamo la cena fino in fondo e andiamo per il mondo con questo pane e questo vino e ci fermeremo accanto ad ogni piede perché l’uomo stia in piedi, perché l’uomo riscopra la sua dignità. Dai piedi arriveremo al volto e nel volto – nei volti – contempleremo il volto di Colui che sempre ci ama, che sempre ci accoglie, che sempre ci sorregge, il volto dell’Amato: il volto di Cristo Signore.

 

Amen.