Se ti accusi, Dio ti scusa
(cfr. S. Agostino, Discorso 29)
MESSAGGIO PER LA QUARESIMA 2017
Sono due quadretti molto diversi, capaci di cambiare la prospettiva della nostra vita. Nel primo, ci poniamo come accusatori di Dio e degli altri; nel secondo, accusando noi stessi, e non dichiarandoci sempre e solo innocenti, cominciamo a riconciliarci con Dio e con i fratelli, per poi poter sedere alla mensa domenicale.
la donna che tu mi hai messo accanto,
che non è più ossa dalle mie ossa
e carne dalla mia carne.
Il peccato, un dito puntato verso Dio e i fratelli
Leggendo con attenzione il 3° capitolo della Genesi, si tocca con mano la profondità del dramma umano, la condizione della nostra libertà malata. Il serpente, bugiardo da sempre, angelo di luce decaduto, creatura preversa, riesce a sedurre la donna e ad instillare nell’uomo il dubbio sulla bontà di Dio, antagonista della creatura umana.
Il gioco diabolico, come sempre nella storia umana, riesce e l’umanità si scopre fragile e nuda, con gli occhi spalancati sulla precarietà umana; povertà che, in modo maldestro, essi tentano di coprire con foglie di fico. Alla brezza del giorno, Dio scende nel giardino per passeggiare e, al rumore dei suoi passi, l’uomo comincia a giocare a nascondino; un gioco che, da allora, non ha ancora smesso. Nonostante il peccato, Dio lo chiama e gli pone la prima domanda della Bibbia: Dove sei?
Domanda attuale, che gli ripete sempre e l’uomo, abitato dalla paura e rivestito di foglie, si nasconde: a Dio, a sé stessi e agli altri. Egli, sedotto dal demonio, ha paura di Dio, si è fatto di Lui un’immagine sbagliata e distorta che, se non rivista, si porterà sempre dietro, sbagliando su tutto e con tutti. Ed inizia ad accusare, cominciando proprio da Dio: la donna che tu mi hai messo accanto, che non è più ossa dalle mie ossa e carne dalla mia carne. Si interrompe così il canto nuziale dell’amoris laetitia.
Il peccato è un’accusa, un dito puntato verso Dio, verso le creature, verso il creato. E, di accusa in accusa, le relazioni si inquinano e si distruggono e la vita diventa un deserto. E il Bugiardo ride e si diverte. Una libertà malata, inquinata e intesa male (non voglio scegliere, voglio decidere!), ha rovinato l’opera di Dio e l’uomo è solo, impaurito, diviso, prigioniero, nascosto, fragile; sempre contro Dio, gli altri e sé stesso.
È la potenza del peccato, male personale e sociale, che produce tanti mali. È un atto grave il peccato e Dio, nel giardino, lo fa percepire all’uomo; non lo minimizza, non lo banalizza, ma neanche lo consacra, facendolo diventare più grande di sé stesso. Dio è sempre più grande di ogni errore e l’uomo non è il suo peccato; e il Signore, da ottimo sarto, cuce i vestiti all’uomo e alla donna, lasciando cadere le foglie di fico, segno di una misericordia che fascia e attraversa tutta la storia sacra e che ricuce le trame sfilacciate dal peccato.
Meditando con attenzione il 3° capitolo della Genesi, ognuno può prendere coscienza della gravità del peccato che, accusando Dio, ci rende accusatori l’uno dell’altro facendoci perdere il giardino e relegandoci nell’inferno delle relazioni, fuori dal contesto della vera vita.
Confesso a Dio onnipotente
e a voi fratelli
che ho molto peccato,
in pensieri, parole, opere e omissioni.
Il dito rivolto verso se stessi: l’inizio della conversione
Il secondo bozzetto, dopo l’opera compiuta da Cristo nel mistero pasquale, ci riporta all’inizio della Santa Messa. Sulla soglia della celebrazione eucaristica, sacramento pasquale per antonomasia, la scena cambia e l’indice accusatore non è più rivolto verso Dio e i fratelli, ma verso se stessi.
È l’inizio della conversione e genesi della vita nuova:
Confesso a Dio onnipotente e a voi fratelli che ho molto peccato, in pensieri, parole, opere e omissioni per mia colpa, mia colpa, mia grandissima colpa. E supplico la beata sempre Vergine Maria, gli angeli, i santi e voi fratelli di pregare per me il Signore Dio nostro.
Sì, non è colpa sempre di un Altro o di altri; non andiamo più alla ricerca di un eventuale capro espiatorio; ritorniamo dai sentieri del prodigo e, con umiltà e battendoci il petto, ripetiamo: per mia colpa, mia colpa, mia grandissimo colpa. Solo allora si riapre il giardino, si riscopre il cielo, la storia riparte e si può intravedere l’alba del mattino di Pasqua.
Egli non ci lascia soli e nudi; ancora ci viene a cercare, scende fino agli inferi e, prendendoci per mano, ci riporta a casa. Si fa ancora nostro sarto, coprendoci con le sue vesti mentre muore nudo per noi sulla croce.
I soldati poi, quando ebbero crocifisso Gesù, presero le sue vesti e ne fecero quattro parti, una per ciascun soldato, e la tunica. Ora quella tunica era senza cuciture, tessuta tutta d’un pezzo da cima a fondo. Perciò dissero tra loro: Non stracciamola, ma tiriamo a sorte a chi tocca. Così si adempiva la Scrittura:
Si son divise tra loro le mie vesti / e sulla mia tunica han gettato la sorte. / E i soldati fecero proprio così. (Gv 19, 23-24).
Ma dove siamo concretamente rivestiti?
L’itinerario quaresimale parte dal Battesimo e ci riporta alla scoperta del dono battesimale dove, figli nel Figlio, siamo rivestiti di Cristo, non più con stoffa grezza o con foglie destinate a seccare, ma con l’abito elegante confezionato con la trama del comandamento nuovo, dono della Pasqua, che ci restituisce all’armonia: poiché quanti siete stati battezzati in Crist