IL VESCOVO: SIGNIFICATO DEL SUO MINISTERO

Lumen Gentium cap. III:
18. Cristo Signore, per pascere e sempre più accrescere il popolo di Dio, ha stabilito nella sua Chiesa vari ministeri, che tendono al bene di tutto il corpo. I ministri infatti che sono rivestiti di sacra potestà, servono i loro fratelli, perché tutti coloro che appartengono al popolo di Dio, e perciò hanno una vera dignità cristiana, tendano liberamente e ordinatamente allo stesso fine e arrivino alla salvezza. Questo santo Sinodo, sull’esempio del Concilio Vaticano primo, insegna e dichiara che Gesù Cristo, pastore eterno, ha edificato la santa Chiesa e ha mandato gli apostoli, come egli stesso era stato mandato dal Padre (cfr. Gv 20,21), e ha voluto che i loro successori, cioè i vescovi, fossero nella sua Chiesa pastori fino alla fine dei secoli. Affinché poi lo stesso episcopato fosse uno e indiviso, prepose agli altri apostoli il beato Pietro e in lui stabilì il principio e il fondamento perpetuo e visibile dell’unità di fede e di comunione. Questa dottrina della istituzione, della perpetuità, del valore e della natura del sacro primato del romano Pontefice e del suo infallibile magistero, il santo Concilio la propone di nuovo a tutti i fedeli come oggetto certo di fede. Di più proseguendo nel disegno incominciato, ha stabilito di enunciare ed esplicitare la dottrina sui vescovi, successori degli apostoli, i quali col successore di Pietro, vicario di Cristo e capo visibile di tutta la Chiesa, reggono la casa del Dio vivente.

L’istituzione dei dodici
19. Il Signore Gesù, dopo aver pregato il Padre, chiamò a sé quelli che egli volle, e ne costituì dodici perché stessero con lui e per mandarli a predicare il regno di Dio (cfr. Mc 3,13-19; Mt 10,1-42); ne fece i suoi apostoli (cfr. Lc 6,13) dando loro la forma di collegio, cioè di un gruppo stabile, del quale mise a capo Pietro, scelto di mezzo a loro (cfr. Gv 21 15-17). Li mandò prima ai figli d’Israele e poi a tutte le genti (cfr. Rm 1,16) affinché, partecipi del suo potere, rendessero tutti i popoli suoi discepoli, li santificassero e governassero (cfr. Mt 28,16-20; Mc 16,15; Lc 24,45-48), diffondendo così la Chiesa e, sotto la guida del Signore, ne fossero i ministri e i pastori, tutti i giorni sino alla fine del mondo (cfr. Mt 28,20). In questa missione furono pienamente confermati il giorno di Pentecoste (cfr. At 2,1-36) secondo la promessa del Signore: «Riceverete una forza, quella dello Spirito Santo che discenderà su di voi, e mi sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria, e sino alle estremità della terra» (At 1,8). Gli apostoli, quindi, predicando dovunque il Vangelo (cfr. Mc 16,20), accolto dagli uditori grazie all’azione dello Spirito Santo, radunano la Chiesa universale che il Signore ha fondato su di essi e edificato sul beato Pietro, loro capo, con Gesù Cristo stesso come pietra maestra angolare (cfr. Ap 21,14; Mt 16,18; Ef 2,20).

I vescovi, successori degli apostoli
20. La missione divina affidata da Cristo agli apostoli durerà fino alla fine dei secoli (cfr. Mt 28,20), poiché il Vangelo che essi devono predicare è per la Chiesa il principio di tutta la sua vita in ogni tempo. Per questo gli apostoli, in questa società gerarchicamente ordinata, ebbero cura di istituire dei successori.
Infatti, non solo ebbero vari collaboratori nel ministero ma perché la missione loro affidata venisse continuata dopo la loro morte, affidarono, quasi per testamento, ai loro immediati cooperatori l’ufficio di completare e consolidare l’opera da essi incominciata raccomandando loro di attendere a tutto il gregge nel quale lo Spirito Santo li aveva posti a pascere la Chiesa di Dio (cfr. At 20,28). Perciò si scelsero di questi uomini e in seguito diedero disposizione che dopo la loro morte altri uomini subentrassero al loro posto. Fra i vari ministeri che fin dai primi tempi si esercitano nella Chiesa, secondo la testimonianza della tradizione, tiene il primo posto l’ufficio di quelli che costituiti nell’episcopato, per successione che decorre ininterrotta fin dalle origini sono i sacramenti attraverso i quali si trasmette il seme apostolico. Così, come attesta S. Ireneo, per mezzo di coloro che gli apostoli costituirono vescovi e dei loro successori fino a noi, la tradizione apostolica in tutto il mondo è manifestata e custodita.
I vescovi dunque hanno ricevuto il ministero della comunità per esercitarlo con i loro collaboratori, sacerdoti e diaconi. Presiedono in luogo di Dio al gregge di cui sono pastori quali maestri di dottrina, sacerdoti del sacro culto, ministri del governo della Chiesa. Come quindi è permanente l’ufficio dal Signore concesso singolarmente a Pietro, il primo degli apostoli, e da trasmettersi ai suoi successori, cosi è permanente l’ufficio degli apostoli di pascere la Chiesa, da esercitarsi in perpetuo dal sacro ordine dei Vescovi. Perciò il sacro Concilio insegna che i vescovi per divina istituzione sono succeduti al posto degli Apostoli quali pastori della Chiesa, e che chi li ascolta, ascolta Cristo, chi li disprezza, disprezza Cristo e colui che ha mandato Cristo (cfr. Lc 10,16).

Sacramentalità dell’episcopato
21. Nella persona quindi dei vescovi, assistiti dai sacerdoti, è presente in mezzo ai credenti il Signore Gesù Cristo, pontefice sommo. Pur sedendo infatti alla destra di Dio Padre, egli non cessa di essere presente alla comunità dei suoi pontefici in primo luogo, per mezzo dell’eccelso loro ministero, predica la parola di Dio a tutte le genti e continuamente amministra ai credenti i sacramenti della fede; per mezzo del loro ufficio paterno (cfr. 1 Cor 4,15) integra nuove membra al suo corpo con la rigenerazione soprannaturale; e infine, con la loro sapienza e prudenza, dirige e ordina il popolo del Nuovo Testamento nella sua peregrinazione verso l’eterna beatitudine. Questi pastori, scelti a pascere il gregge del Signore, sono ministri di Cristo e dispensatori dei misteri di Dio (cfr. 1 Cor 4,1). Ad essi è stata affidata la testimonianza al Vangelo della grazia di Dio (cfr. Rm 15,16; At 20,24) e il glorioso ministero dello Spirito e della giustizia (cfr. 2 Cor 3,8-9).
Per compiere cosi grandi uffici, gli apostoli sono stati arricchiti da Cristo con una effusione speciale dello Spirito Santo disceso su loro (cfr. At 1,8; 2,4; Gv 20,22-23), ed essi stessi con la imposizione delle mani diedero questo dono spirituale ai loro collaboratori (cfr. 1 Tm 4,14; 2 Tm 1,6-7), dono che è stato trasmesso fino a noi nella consacrazione Episcopale. Il santo Concilio insegna quindi che con la consacrazione episcopale viene conferita la pienezza del sacramento dell’ordine, quella cioè che dalla consuetudine liturgica della Chiesa e dalla voce dei santi Padri viene chiamata sommo sacerdozio, realtà totale del sacro ministero. La consacrazione episcopale conferisce pure, con l’ufficio di santificare, gli uffici di insegnare e governare; questi però, per loro natura, non possono essere esercitati se non nella comunione gerarchica col capo e con le membra del collegio. Dalla tradizione infatti, quale risulta specialmente dai riti liturgici e dall’uso della Chiesa sia d’Oriente che d’Occidente, consta chiaramente che dall’imposizione delle mani e dalle parole della consacrazione è conferita la grazia dello Spirito Santo ed è impresso il sacro carattere in maniera tale che i vescovi, in modo eminente e visibile, tengono il posto dello stesso Cristo maestro, pastore e pontefice, e agiscono in sua vece. È proprio dei vescovi assumere col sacramento dell’ordine nuovi eletti nel corpo episcopale.

Esortazione post-sinodale Pastor Gregis cap. I:
«… e ne scelse Dodici» (Lc 6, 13)
6. Il Signore Gesù, durante il suo pellegrinaggio sulla terra, annunciò il Vangelo del Regno e lo inaugurò in se stesso, rivelandone a tutti gli uomini il mistero. Chiamò uomini e donne alla sua sequela e, fra i discepoli, ne scelse Dodici, perché «stessero con Lui» (Mc 3, 14). Il Vangelo secondo Luca specifica che Gesù fece questa sua scelta dopo una notte di preghiera trascorsa sulla montagna (cfr Lc 6, 12). Il Vangelo secondo Marco, a sua volta, sembra qualificare tale azione di Gesù come un atto sovrano, un atto costitutivo che dà identità a coloro che ha scelto: «ne costituì Dodici» (Mc 3, 14). Si svela, così, il mistero dell’elezione dei Dodici: è un atto di amore, liberamente voluto da Gesù in unione profonda con il Padre e con lo Spirito Santo.
La missione affidata da Gesù agli Apostoli deve durare sino alla fine dei secoli (cfr Mt 28, 20), poiché il Vangelo che essi sono incaricati di trasmettere è la vita per la Chiesa di ogni tempo. Proprio per questo essi hanno avuto cura di costituirsi dei successori, in modo che, come attesta S. Ireneo, la tradizione apostolica fosse manifestata e custodita nel corso dei secoli.
La speciale effusione dello Spirito Santo, di cui gli Apostoli furono colmati dal Signore risorto (cfr At 1, 5.8; 2, 4; Gv 20, 22-23), fu da essi partecipata attraverso il gesto dell’imposizione delle mani ai loro collaboratori (cfr 1 Tm 4, 14; 2 Tm 1, 6-7). Questi, a loro volta, con lo stesso gesto la trasmisero ad altri, e questi ad altri ancora. In tal modo, il dono spirituale degli inizi è giunto fino a noi mediante l’imposizione delle mani, cioè la consacrazione episcopale, che conferisce la pienezza del sacramento dell’Ordine, il sommo sacerdozio, la totalità del sacro ministero. Così, per mezzo dei Vescovi e dei presbiteri che li assistono, il Signore Gesù Cristo, pur sedendo alla destra di Dio Padre, continua ad essere presente in mezzo ai credenti. In tutti i tempi e in tutti i luoghi Egli predica la parola di Dio a tutte le genti, amministra i sacramenti della fede ai credenti e nello stesso tempo dirige il popolo del Nuovo Testamento nella sua peregrinazione verso l’eterna beatitudine. Il Buon Pastore non abbandona il suo gregge, ma lo custodisce e lo protegge sempre mediante coloro che, in forza della partecipazione ontologica alla sua vita e alla sua missione, svolgendone in modo eminente e visibile la parte di maestro, pastore e sacerdote, agiscono in sua vece. Nell’esercizio delle funzioni che il ministero pastorale comporta, sono costituiti suoi vicari e ambasciatori.

Il fondamento trinitario del ministero episcopale
7. La dimensione cristologica del ministero pastorale, considerata in profondità, avvia alla comprensione del fondamento trinitario del ministero stesso. La vita di Cristo è trinitaria. Egli è il Figlio eterno ed unigenito del Padre e l’unto di Spirito Santo, mandato nel mondo; è Colui che, insieme col Padre, invia lo Spirito alla Chiesa. Questa dimensione trinitaria, che si manifesta in tutto il modo d’essere e di agire di Cristo, plasma anche l’essere e l’agire del Vescovo. A ragione quindi i Padri sinodali hanno esplicitamente voluto illustrare la vita e il ministero del Vescovo alla luce dell’ecclesiologia trinitaria contenuta nella dottrina del Concilio Vaticano II.
Molto antica è la tradizione che presenta il Vescovo come immagine del Padre, il quale, secondo quanto scriveva sant’Ignazio di Antiochia, è come il Vescovo invisibile, il Vescovo di tutti. Ogni Vescovo, di conseguenza, tiene il posto del Padre di Gesù Cristo sicché, proprio in relazione a questa rappresentanza, egli dev’essere da tutti riverito. In rapporto a questa struttura simbolica, la cattedra episcopale, che specialmente nella tradizione della Chiesa dell’Oriente richiama l’autorità paterna di Dio, può essere occupata soltanto dal Vescovo. Da questa medesima struttura deriva per ogni Vescovo il dovere di prendersi cura con amore paterno del Popolo santo di Dio e di guidarlo, insieme con i presbiteri, collaboratori del Vescovo nel suo ministero, e con i diaconi, sulla via della salvezza. Viceversa, come ammonisce un antico testo, i fedeli debbono amare i Vescovi che sono, dopo Dio, padri e madri. Per questo, secondo un uso diffuso in alcune culture, la mano del Vescovo viene baciata come quella del Padre amorevole, dispensatore di vita.
Cristo è l’icona originale del Padre e la manifestazione della sua presenza misericordiosa tra gli uomini. Il Vescovo, agendo in persona e in nome di Cristo stesso, diventa, nella Chiesa a lui affidata, segno vivente del Signore Gesù Pastore e Sposo, Maestro e Pontefice della Chiesa.21 C’è qui la fonte del ministero pastorale, per cui, come suggerisce lo schema omiletico proposto dal Pontificale Romano, le tre funzioni di insegnare, santificare e governare il Popolo di Dio debbono essere esercitate con i tratti caratteristici del Buon Pastore: carità, conoscenza del gregge, cura di tutti, azione misericordiosa verso i poveri, i pellegrini, gli indigenti, ricerca delle pecorelle smarrite per ricondurle all’unico ovile.
L’unzione dello Spirito Santo, infine, configurando il Vescovo a Cristo, lo abilita ad essere una viva continuazione del suo mistero a favore della Chiesa. Per tale caratterizzazione trinitaria del suo essere, nel suo ministero ogni Vescovo è impegnato a vegliare con amore su tutto il gregge, in mezzo al quale è posto dallo Spirito a reggere la Chiesa di Dio: nel nome del Padre, di cui rende presente l’immagine; nel nome di Gesù Cristo suo Figlio, da cui è costituito maestro, sacerdote e pastore; nel nome dello Spirito Santo, che dà vita alla Chiesa e con la sua potenza sostiene l’umana debolezza.

Indole missionaria e unitarietà del ministero episcopale
9. Il Vangelo secondo Luca riferisce che Gesù diede ai Dodici il nome di Apostoli, che letteralmente significa inviati, mandati (cfr 6, 13). Nel Vangelo secondo Marco leggiamo pure che Gesù costituì i Dodici «anche per mandarli a predicare» (3, 14). Ciò significa che tanto l’elezione quanto la costituzione dei Dodici come Apostoli sono finalizzate alla missione. Il primo loro invio (cfr Mt 10, 5; Mc 6, 7; Lc 9, 1-2) trova la sua pienezza nella missione che Gesù loro affida, dopo la Risurrezione, al momento dell’Ascensione al Cielo. Sono parole che conservano tutta la loro attualità: «Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra. Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ecco, io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine del mondo» (Mt 28, 18-20). Questa missione apostolica ha avuto la sua solenne conferma nel giorno dell’effusione pentecostale dello Spirito Santo.
Nel testo del Vangelo secondo Matteo appena citato, l’intero ministero pastorale può essere visto come articolato secondo la triplice funzione d’insegnamento, di santificazione e di guida. Vediamo qui un riflesso della triplice dimensione del servizio e della missione di Cristo. Noi, difatti, come cristiani e, in modo qualitativamente nuovo, come sacerdoti, partecipiamo alla missione del nostro Maestro, che è Profeta, Sacerdote e Re, e siamo chiamati a rendergli una peculiare testimonianza nella Chiesa e dinanzi al mondo.
Queste tre funzioni (triplex munus) e le potestà che ne derivano esprimono sul piano dell’agire il ministero pastorale (munus pastorale), che ogni Vescovo riceve con la consacrazione episcopale. È lo stesso amore di Cristo, partecipato nella consacrazione, che si concretizza nell’annuncio del Vangelo di speranza a tutte le genti (cfr Lc 4, 16-19), nell’amministrazione dei Sacramenti a chi accoglie la salvezza e nella guida del Popolo santo verso la vita eterna. Si tratta, infatti, di funzioni tra loro intimamente connesse, che reciprocamente si spiegano, si condizionano e si illuminano.
Proprio per questo, il Vescovo, quando insegna, al tempo stesso santifica e governa il Popolo di Dio; mentre santifica, anche insegna e governa; quando governa, insegna e santifica. Sant’Agostino definisce la totalità di questo ministero episcopale come amoris officium. Questo dona la certezza che mai, nella Chiesa, verrà meno la carità pastorale di Gesù Cristo.

SIGNIFICATO DELLA SANTA VISITA PASTORALE
LE NORME DEL CODICE DI DIRITTO CANONICO

Can. 396
§1. Il Vescovo è tenuto all’obbligo di visitare ogni anno la diocesi, o tutta o in parte, in modo da visitare l’intera diocesi almeno ogni cinque anni, o personalmente oppure, se è legittimamente impedito, tramite il Vescovo coadiutore, o l’ausiliare, o il Vicario generale o episcopale, o un altro presbitero.
§2. È in facoltà del Vescovo scegliere i chierici che preferisce come accompagnatori e aiutanti nella visita, riprovato ogni privilegio o consuetudine contraria.

Can. 397
§1. Sono soggetti alla visita ordinaria del Vescovo le persone, le istituzioni cattoliche, le cose e i luoghi pii che sono nell’ambito della diocesi.
§2. Il Vescovo può visitare i membri degli istituti religiosi di diritto pontificio e le loro case solo nei casi espressamente previsti dal diritto.

Can. 398
Il Vescovo si impegni a compiere la visita pastorale con la dovuta diligenza; faccia attenzione a non gravare su alcuno con spese superflue

DALL’ESORTAZIONE APOSTOLICA PASTORES GREGIS DI GIOVANNI PAOLO II:

N. 46 La Visita Pastorale
È proprio in questa prospettiva [parrocchia, nucleo fondamentale nella vita quotidiana della Diocesi] che emerge l’importanza della Visita pastorale, autentico tempo di grazia e momento speciale, anzi unico, in ordine all’incontro e al dialogo del Vescovo con i fedeli. Il Vescovo Bartolomeu dos Martires, che io stesso ho beatificato pochi giorni dopo la conclusione del Sinodo, nella sua classica opera Stimulus Pastorum, molto apprezzata dallo stesso san Carlo Borromeo, definisce la Visita pastorale quasi anima episcopalis regiminis ed efficacemente la descrive come un’espansione della presenza spirituale del Vescovo tra i suoi fedeli. Nella sua Visita pastorale alla parrocchia, lasciato ad altri delegati l’esame delle questioni di carattere amministrativo, il Vescovo privilegi l’incontro con le persone, a cominciare dal parroco e dagli altri sacerdoti. È questo il momento in cui egli esercita più da vicino per il suo popolo il ministero della parola, della santificazione e della guida pastorale, entrando a più diretto contatto con le ansie e le preoccupazioni, le gioie e le attese della gente e potendo rivolgere a tutti un invito alla speranza. Qui, soprattutto, il Vescovo ha il diretto contatto con le persone più povere, con gli anziani e con gli ammalati. Realizzata così, la Visita pastorale si mostra qual è, un segno della presenza del Signore che visita il suo popolo nella pace.

DAL DIRETTORIO PER IL MINISTERO PASTORALE DEI VESCOVI APOSTOLORUM SUCCESSORES (CAP. VIII, III):

III. La Visita Pastorale
221. Natura della Visita Pastorale
“Il Vescovo ha l’obbligo di visitare la diocesi ogni anno interamente o parzialmente, in modo che almeno ogni cinque anni visiti tutta la diocesi, di persona o, se ne è legittimamente impedito, per mezzo del Vescovo Coadiutore, o dell’Ausiliare, o del Vicario Generale o episcopale, o di un altro presbitero”.
La visita pastorale è una delle forme, collaudate dall’esperienza dei secoli, con cui il Vescovo mantiene contatti personali con il clero e con gli altri membri del Popolo di Dio. È occasione per ravvivare le energie degli operai evangelici, lodarli, incoraggiarli e consolarli, è anche l’occasione per richiamare tutti i fedeli al rinnovamento della propria vita cristiana e ad un’azione apostolica più intensa. La visita gli consente inoltre di valutare l’efficienza delle strutture e degli strumenti destinati al servizio pastorale, rendendosi conto delle circostanze e difficoltà del lavoro di evangelizzazione, per poter determinare meglio le priorità e i mezzi della pastorale organica.
La visita pastorale è pertanto un’azione apostolica che il Vescovo deve compiere animato da carità pastorale che lo manifesta concretamente quale principio e fondamento visibile dell’unità nella Chiesa particolare. Per le comunità e le istituzioni che la ricevono, la visita è un evento di grazia che riflette in qualche misura quella specialissima visita con la quale il “supremo pastore” (1Pt 5,4) e guardiano delle nostre anime (cf. 1Pt 2,25), Gesù Cristo, ha visitato e redento il suo popolo (cf. Lc 1,68).
Alla Visita Pastorale sono soggetti “le persone, istituzioni cattoliche, cose e luoghi sacri che si trovino entro l’ambito della diocesi”, compresi i monasteri autonomi e le case degli Istituti religiosi di diritto diocesano e tenute presenti le limitazioni di esercizio poste dalla norma canonica per quanto attiene alle chiese ed oratori di quelli di diritto pontificio.

222. Modo di effettuare la Visita Pastorale alle parrocchie
Nella visita alle parrocchie, il Vescovo cerchi di realizzare, secondo le possibilità di tempo e di luogo, i seguenti atti:
a) celebrare la Messa e predicare la Parola di Dio;
b) conferire solennemente il sacramento della Confermazione, possibilmente durante la Messa;
c) incontrare il parroco e gli altri chierici che aiutano nella parrocchia;
d) riunirsi con il Consiglio pastorale o, se non esiste, con i fedeli (chierici, religiosi e membri delle Società di vita apostolica e laici) che collaborano nei diversi apostolati e con le associazioni di fedeli;
e) incontrarsi con il Consiglio per gli affari economici;
f) avere un incontro con i bambini, i ragazzi e i giovani che percorrono l’itinerario catechistico;
g) visitare le scuole e altre opere e istituzioni cattoliche dipendenti dalla parrocchia;
h) visitare, nei limiti del possibile, alcuni malati della parrocchia.
Il Vescovo potrà anche decidere altri modi di farsi presente tra i fedeli, considerando gli usi del posto e l’opportunità apostolica: con i giovani, per esempio in occasione di iniziative culturali e sportive; con gli operai, per stare in loro compagnia, dialogare, ecc.
Nella visita non si deve tralasciare, infine, l’esame della amministrazione e conservazione della parrocchia: luoghi sacri e ornamenti liturgici, libri parrocchiali e altri beni. Tuttavia, alcuni aspetti di questo compito potranno essere lasciati ai vicari foranei o ad altri chierici idonei, nei giorni precedenti o successivi alla visita, cosicché il Vescovo possa dedicare il tempo della visita soprattutto agli incontri personali, come compete al suo ufficio di Pastore.

223. Preparazione della Visita Pastorale
La Visita Pastorale, programmata con il dovuto anticipo, richiede un’adeguata preparazione dei fedeli, mediante speciali cicli di conferenze e prediche su temi relativi alla natura della Chiesa, alla comunione gerarchica e all’episcopato, ecc… Si potranno anche pubblicare opuscoli e utilizzare altri mezzi di comunicazione sociale. Per mettere in risalto l’aspetto spirituale e apostolico, la visita può essere preceduta da un corso di missioni popolari, che raggiunga tutte le categorie sociali e tutte le persone, anche quelle lontane dalla pratica religiosa.
Il Vescovo deve anche prepararsi in modo adeguato ad effettuare la visita, informandosi in precedenza sulla situazione socio-religiosa della parrocchia: tali dati potranno rivelarsi utili a lui e agli uffici diocesani interessati, per avere un quadro reale dello stato delle comunità e adottare gli opportuni provvedimenti.

224. Atteggiamento del Vescovo durante la visita
Durante la visita, come in ogni esercizio del suo ministero, il Vescovo si comporti con semplicità e amabilità, e dia esempio di pietà, carità e povertà: tutte virtù che, insieme alla prudenza, distinguono il Pastore della Chiesa. Il Vescovo stimi la visita pastorale come quasi anima episcopalis regiminis, un’espansione della sua presenza spirituale tra i suoi fedeli.
Avendo come modello Gesù, il buon Pastore, egli si presenti ai fedeli non “con ostentazione di eloquenza” (1Cor 2,1), né con dimostrazioni di efficientismo, bensì rivestito di umiltà, bontà, interesse per le persone, capace di ascoltare e di farsi comprendere. Durante la visita, il Vescovo deve preoccuparsi di non gravare sulla parrocchia o sui parrocchiani con spese superflue. Ciò non impedisce, tuttavia, le semplici manifestazioni festive, che sono la naturale conseguenza della gioia cristiana ed espressione di affetto e venerazione per il Pastore.

225. Conclusione della visita
Conclusa la Visita Pastorale alle parrocchie, è opportuno che il Vescovo rediga un documento che testimoni la avvenuta visita per ciascuna parrocchia, dove ricordi la visita svolta, apprezzi gli impegni pastorali e stabilisca quei punti per un cammino più impegnato della comunità, senza tralasciare di far presente lo stato dell’edilizia di culto, delle opere pastorali e di altre eventuali istituzioni pastorali.

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