Festa di San Prisco 1995
IL PRIMO VESCOVO E IL PASTORE DI NOCERA
I. Il primo Vescovo (che raduna ancora attorno a sé la sua Chiesa…) e il Pastore (esempio e modello di virtù anche oggi per i suoi cristiani…)
Carissimi, eccoci, puntuali all’annuale appuntamento col nostro protettore S. Prisco.
Siamo tutti qui, coloro che, nella scia dei secoli, continuano a portare, anche oggi, alta la fiaccola della fede cristiana, trasmessaci del nostro Padre, S. Prisco, il primo Vescovo di questa terra, riscattata agli idoli pagani.
La storia e la leggenda – come tutti sanno – s’intrecciano attorno a questo santo, “antico – come dice l’etimologia stessa di S. Prisco – e indiscusso punto di riferimento religioso delle genti dell’Agro, certamente da oltre 16 secoli.
Non intendiamo entrare oggi, per niente, nella questione, ancora aperta, circa tanti aspetti riguardanti le origini e l’epoca precisa in cui Prisco visse, come testimone e garante della genuina e primitiva fede dei seguaci di Cristo, in questa Terra a sud del Vesuvio e nella città di Nocera, certamente tra le città più affermate sul piano commerciale e civile della Roma imperiale nella Campania felix (cf. Mons. Ciro Serio e Mons. Mario Vassalluzzo che hanno scritto diffusamente sull’argomento, rispettivamente in Nocera dei Pagani e La Chiesa di Nocera e Sarno dalle origini ai giorni nostri).
Alle notizie certe, che ci sono giunte su Prisco, primo vescovo di Nocera, (da santi, letterati e storici), già verso la fine del III sec. d.C., fanno da sfondo e da accompagnamento tante altre notizie legate ad antichissime (ma anche più recenti) leggende e tradizioni che si tramandano a noi da secoli.
Proprio sulle leggende mi piace riportare il pensiero di uno scrittore contemporaneo dell’Agro (Franco Salerno, su Settimana TV e tempo libero, Il Mattino 24 nov. 1994): “Non vi è niente di più vero delle leggende. Spesso scritte sul vento, vanno raminghe di gente in gente e così si mutano e si arricchiscono. Si deformano anche talvolta; ma proprio per questo acquisiscono nuove verità.
Lo storico dotto magari si divertirà a smontarle per denunciare l’intrinseca fallacia; ma non riuscirà a distruggere l’arcano fascino di queste storie, ormai radicate nell’immaginario collettivo”.
Si, proprio così!… È capitato così anche alla vita e all’attività del nostro Santo; ma poco importa, se è vero – com’è vero – che attorno alla sua gigantesca figura, man mano, si è andata a consolidare una verità di tanti credenti e a scavare il solco delle fondamentale della “città di Dio” e dell’origine del nuovo popolo, uscito “dalle tenebre e dalle ombre della morte” delle divinità pagane di Nuceria Alfaterna, prima e di Constantia, poi, come provano gli ultimi interessantissimi scavi effettuati a Nocera Superiore.
Carissimi cristiani, fratelli e sorelle, oggi, con Lui, con S. Prisco, celebriamo la festa delle nostre origini cristane, della “Nuceria Christianorum”, come poi fu anche chiamata questa nostra amata Terra, assurta a dignità e responsabilità di Chiesa particolare e di Diocesi, già fin dal III sec. d.C. (cioè, fin dall’uscita dalle catacombe) come risulta dalle testimonianza storiche delle più antiche “tavole” a noi pervenute (cf. Storia della Chiesa, Ed, SAIE, Torino, vol. IV, pag. 779).
Però è nostro desiderio – piuttosto – soffermarci, quest’anno, a considerare innanzitutto S. Prisco come il nostro primo vescovo, che raduna attorno a sé, ancora oggi, la sua Chiesa, i suoi battezzati, il popolo dei credenti che Cristo gli ha affidato nel disegno divino che si deve progressivamente realizzare, e, secondariamente, vogliamo guardare alle sue virtù, che lo hanno fatto diventare anche il modello dei cristiani, di allora e dei secoli seguenti, fino a noi, per cogliere in lui l’invito di Dio a “santificarci insieme”, come popolo in cammino, tutto santo e santificando.
II. S. Prisco, primo nostro vescovo
Per meglio inquadrare questa riflessione vogliamo partire da una pagina del grande (sacerdote) Tertulliano (Trattato su la “Prescrizione degli eretici”):
“Gesù Cristo, Signore nostro, per tutto il tempo che visse sulla terra manifestò chi egli era, chi era stato, qual era la volontà del Padre, che cosa l’uomo dovesse fare.
Questa rivelazione la fece apertamente al popolo e separatamente ai discepoli, tra i quali scelse i Dodici, come partecipi del suo magistero universale. Perciò… ordinò di andare e ammaestrare le nazioni, battezzandole nel Padre e Figlio e Spirito Santo.
Gli apostoli… testimoniarono la fede in Gesù Cristo prima in Giudea e poi in tutto il mondo, istituendo ovunque chiese particolari. Ovunque fecero risuonare il medesimo insegnamento e annunziarono la medesima fede. Così fondarono chiese in ogni città. Da queste ricevettero la linfa della fede e i segni della dottrina tutte le altre chiese e tutte le altre popolazioni che tendono a divenire chiese. Tutte queste chiese venivano considerate apostoliche come figlie delle chiese degli apostoli.
È necessario che ogni cosa risalga alle sue origini. Perciò tra le tante e tanto grandi chiese, unica è la prima fondata dagli apostoli e dalla quale derivano tutte le altre. Così tutte sono prime e tutte apostoliche, perché tutte sono une.
La comunione di pace, la fraternità che la caratterizza, la vicendevole disponibilità dimostrano la loro unità. Titolo di queste prerogative è la medesima tradizione (della fede) e il medesimo sacro legame.
Che cosa poi gli apostoli abbiano predicato, cioè che cosa Cristo abbia loro rivelato, non può essere altrimenti provato che per mezzo delle chiese stesse che gli apostoli hanno fondato, e alle quali hanno predicato sia a viva voce, sia in seguito per mezzo di lettere… Essi (gli apostoli) avevano la promessa di ricevere “tutta la verità” per mezzo dello Spirito di Verità. la promessa fu mantenuta come provano gli Atti degli Apostoli quando narrano la discesa dello Spirito Santo”. Fin qui Tertulliano.
Dagli apostoli si passò ai loro discepoli, che scelsero – a loro volta – gli “anziani”, cioè i presbiteri nella fede e gli uomini più maturi e prudenti delle comunità che si venivano a formare dappertutto. Poi furono – queste persone – chiamate indifferentemente anche “guardiani”, o “epìscopoi” cioè “guide e responsabili delle chiese nascenti”. È questo lo sfondo dell’ordinamento primitivo della Chiesa. Vennero poi gli anni delle grandi persecuzioni, delle catacombe e della dispersione di tanti cristiani. Passarono tre secoli prima della grande liberazione. Finalmente si poté uscire alla luce del sole, a parlare di cristo e a professare la fede in Lui.
Questa è l’epoca – secondo molti studiosi – in cui sorsero anche nella nostra terra della Campania, molte Chiese particolari, anche se vivevano già sul territorio e si iniziavano a formare e ad abbozzare primitive comunità di credenti, ormai dagli inizi dell’Era cristiana. Nocera, come Chiesa, costituita storicamente, risale a questa epoca. Prisco, l’antico, il primo, l’anziano tra i fedeli dell’Agro nocerino, divenne colui che poi si chiamò “il primo “Vescovo”, riconosciuto ufficialmente come responsabile capo e guida e guardiano, “episcopus” della comunità dei credenti della Nuceria d’allora.
Nocera e Prisco sono legati indissolubilmente tra loro! D’allora, dal terzo secolo, ininterrottamente quasi, continua la serie dei Vescovi, che, dopo Prisco, hanno assicurato la continuità della presenza della Chiesa voluta da Cristo e iniziata da chi, ha raccolto in unità i credenti in Cristo.
Ritornare oggi con la memoria e la fede indietro nei secoli, per agganciarci al nostro primi vescovo S, Prisco, per noi significa riagganciarci alla fede della Chiesa degli apostoli di Cristo. questa è la sicurezza che S. Prisco ci dà oggi e di questo lo vogliamo ringraziare, insieme a Cristo, unico Fondatore dell’unica Chiesa cui appartiene anche quella che vive in questa terra dell’Agro… Oltre il folklore, oltre la festa ed il momento aggregativo, che pure riesce a dare il ritorno annuale della ricorrenza di S, Prisco, questo giorno costituisce soprattutto la riaffermazione del principio dell’unità e della comunione che lega un popolo alla sua fede.
III. S. Prisco, modello di virtù
Un padre è tale non solo e non tanto perché trasmette la vita fisica, ma soprattutto perché sa far nascere da una creatura un uomo, ciò perché, con la sua parole e il suo esempio, riesce a coinvolgere nell’avventura della crescita e della vita il proprio figlio.
La stessa cosa si può affermare di un maestro e di ogni educatore. È una logica di mestiere, è una regola pedagogica
Così è anche nel campo della formazione e della pratica della vita cristiana. E questa regola non poteva certo sfuggire S. Prisco!
Egli – come vuole la Scrittura – è stato non solo pastore, ma modello di virtù del suo gregge. Non poteva essere altrimenti! Ma modello vivente di virtù!
Sulla sua vita ascetica e cristiana non abbiamo molte notizie storiche. Ma una sola ci basta e ce la dà S. Paolino da Nola, allorché lo ricorda, in un suo carme, chiamandolo “Beato Prisco”. Il pensiero corre subito ad un altro grande santo, quando si legge un aggettivo così essenziale affianco alla parola “uomo”. Il pensiero va a quando dice il Vangelo di quell’uomo “giusto” Giuseppe, che fu lo sposo della Vergine Maria.
È solo dei grandi artisti eternare con poche pennellate una fisionomia, il profilo essenziale di un personaggio. Tenuto conto delle relative proporzioni, S. Paolino sembra essere l’evangelista di S. Prisco, quando lo scolpisce “Beato” e vescovo di Nocera.
Infatti è proprio questo il titolo che usa la Chiesa quando, dall’alto del suo Magistero infallibile, dichiara l’eroicità delle virtù di un cristiano. “Beatus”!
S. Paolino non è infallibile, ma lo è la Chiesa quando, raccogliendo la voce del popolo e la testimonianza dei fatti e delle prove incontrovertibili che si tramanda dalla gente credente, dichiara – da esperta in santità qual essa è – la eroicità delle virtù di un uomo, ch’è stato coerente con la sua fede ed è divenuto – come per Prisco – “forma gregis” – .
Nella Novena che ha preceduto, quest’anno, la festa di S. Prisco, opportunamente è stato scelto, il criterio di presentare ai fedeli S. Prisco come l’uomo che ha incarnato le virtù teologali e le virtù cardinali, affermando giustamente, così, il punto di partenza incrollabile, che cioè non si può costruire un cammino di santità, se non partendo dall’ascolto e dalla pratica della Parola di Dio per una conseguente “conversione” e, quindi, per una crescita spirituale e umana.
Il teologo Bruno Forte (Piccola introduzione alla vita cristiana, Ed. S. Paolo, 1995, pag. 17) così scrive: “Fede, speranza e carità sono le esperienze fondamentali e caratterizzanti della vita nuova, suscitata nel cuore dell’uomo dall’accoglienza della chiamata e del dono di Dio…
Fede, speranza e carità nascono dalla partecipazione alla vita stessa di Dio Trinità d’amore. perciò sono dette virtù teologali. Esse manifestano la presenza e l’azione della Persona divina nel più profondo del cuore umano… “Lo stesso teologo (nel citato libro a pag. 41) afferma ancora: “Gesù ci ha detto ch’è Lui, e Lui solo, la via, la verità e la vita (Giov 14,6). Lo è per coloro che per primi Lo incontrarono. Lo è per noi, per le donne e gli uomini di tutti i tempi, di tutti i luoghi.
Nasce allora la domanda inevitabile: come è possibile scavalcare il passato dei secoli, che ci separano da Lui, e incontrarlo oggi come il Signore, di cui possiamo fare esperienza vera e trasformante?
Come può il Cristo diventare oggi per noi la Via per andare al Padre, la Verità che illumina il senso dell’esistenza, la Vita stessa della nostra vita?
Per rispondere a questi interrogativi non basta dire che Cristo è vivo, perché è un esempio di vita. Il Cristo, modello mirabile di moralità, uomo che ha realizzato nella maniera più alta l’aspirazione all’ideale di una umanità unita nel segno dell’amore, resta fuori di noi, lontano e straniero rispetto alla nostra vita. ridurre Cristo ad una norma esemplare o ad una legge è inaccettabile per la fede cristiana, perché soltanto se Lui è il Vivente, che contagia e trasforma la vita di chi lo incontra, può venire in noi e consentirci di produrre frutti di vita eterna ad essere autenticamente il Signore per noi.
Non basta neanche uno sforzo di “ascesi”, mediante cui uscire dalla provvisorietà del momento presente e raggiungere la vivificante esperienza dell’eterno. In una simile via non è Lui che si fa contemporaneo a noi, quanto piuttosto noi che, per un itinerario di oblio del mondo con tutte le sue miserie, lacrime e peccati, raggiungiamo la divina bellezza.
Incontrare Gesù equivarrebbe, in questo caso, a vivere la fuga e il disprezzo del mondo.
Pur suggestiva, una simile concezione dissolve lo scandalo centrale del cristianesimo, il fatto cioè che Dio s’è fatto storia, entrando nella carne della vicenda umana.
Per trovare Dio il cristiano non deve uscire dalla storia, ma entrarvi fino in fondo: il Dio di Gesù è il Dio vivente nel tempo degli uomini… Perciò, il cristianesimo dovrà essere pensato non come moralismo o fuga dal mondo, ma come gioioso incontro con Colui che, qui e ora, viene a cambiare la vita e farne inizio di vita eterna.
Questo orientamento progressivo e realizzante è favorito dall’esercizio delle virtù morali (o cardinali: veri cardini dell’esistenza morale), che sono gli atteggiamenti profondi e stabili mediante cui l’uomo vive la propria storia… disponendosi così alle sorprese del dono di Dio”.
In questo senso è “Beato” S. Prisco, in quanto il suo incontro col Cristo lo ha portato a cambiare la sua vita sul modello di Cristo (ch’è immagine viva del Padre).
S. Prisco ha vissuto immergendosi nella vita del suo tempo facendo passare la sua esperienza.
S. Prisco giustamente poteva essere chiamato a pascolare il gregge di Cristo, Buon Pastore, perché come il Maestro anche lui visse nell’esercizio quotidiano delle virtù evangeliche della prudenza, giustizia, fortezza e temperanza.
La Chiesa si poggia e cresce solamente sulla santità, quella di Cristo e dei suoi discepoli che da Cristo prendono forza ed esempio: “Imparate da Me” disse a chi lo voleva seguire.
Non basta guardare oggi a S. Prisco, carissimi, come ad un modello freddo e lontano da noi. ma chiederci: come avrebbe vissuto oggi al posto nostro? Qui a Nocera, nella vita di ogni giorno, in mezzo a situazioni di ateismo, di indifferenza religiosa, di egoismo, di rinuncia all’impegno cristiano e civile?… Tra disoccupazione, droga, usura, prostituzione e materialismo?
Alla nostra comunità cristiana S. Prisco deve far venire la voglia di vivere il vangelo. Una nuova svolta evangelizzatrice si sta imponendo; sperando che allarghi a tutti i ceti l’annuncio sistematico della Parola di Dio. all’inizio fu una scelta di pochi apostoli. Poi anche atri sperimentarono esperienze analoghe. E alla fine divenne un orientamento generale della Chiesa, quello di rivolgersi ai “pagani”.
Dobbiamo uscire tutti e subito dal privato, dal provvisorio, dall’attesa passiva dei tempi nuovi.
Dobbiamo amministrare a tutti un patrimonio religioso, culturale e morale che si è fossilizzato in riti sempre più superficialmente vissuti. Un consumo inutile del sacro!
La Chiesa, cioè i cristiani, non sono nuovi a queste svolte di cambiamenti speciali (per es. dopo il 1000, dopo il Concilio di Trento…). Ora abbiamo un traguardo: il 2000. Il Papa ci indica come varcare la soglia del millennio. La nostra Chiesa di Nocera – Sarno si prepara a celebrare il Sinodo.
Vogliamo, con il nostro Vescovo e S. Prisco, nostro modello, incamminarci insieme verso una santità comunitaria, ecclesiale… per non farci sorprendere impreparati dal Giudice e Signore della Storia che viene, che vuol venire anche oggi.