Una lettura degli orientamenti pastorali di mons. Giuseppe Giudice per l’anno 2012-2013

a cura di don Silvio Longobardi

Orientamenti Pastorali di mons. Giuseppe Giudice per l’anno 2012-2013Non è facile presentare gli Orientamenti: non posso limitarmi ad una sintesi (che ciascuno di voi può fare) e non posso avventurarmi in una lettura che rischia di sovrapporre mie riflessioni a quelle che il vescovo propone. Cercherò allora di sottolineare alcuni aspetti della Lettera, richiamando le parole principali, mostrando la sintonia con il cammino ecclesiale.

Una sosta

La Lettera del vescovo è ricca di citazioni bibliche, un continuo ricamo di testi che ci rimandano a quella Parola che costituisce la sorgente viva della nostra fede. È uno stile che abbiamo imparato ad amare e che intercetta un sentire ecclesiale che negli anni post-conciliari si è imposto con sempre maggiore chiarezza. Parafrasando Paolo VI (Evangelii nuntiandi, 41) possiamo dire che il mondo non ascolta più le nostre parole – e spesso neppure la nostra gente! – ma ascolta ancora la Parola di Dio. E ci ascolta quando spieghiamo con passione la Scrittura.

La frase che fa da titolo agli Orientamenti è tratta dalla vicenda di Elia: “Esci e fermati sul monte alla presenza del Signore” (1Re 19,11). L’episodio biblico non è l’annuncio della vocazione ma un’esperienza posta a confine tra una missione già realizzata e un’altra ancora da fare. Un profeta scoraggiato e deluso viene invitato a salire sul monte, tornando così alle origini di quell’alleanza che lui stesso aveva con coraggio difeso. Elia accoglie l’invito ma quando arriva sul monte lo raggiunge un altro invito: entra nell’intimità di Dio, ascolta la Parola che vuole dirti. Sarà un incontro decisivo per il profeta, l’inizio di una nuova missione. questa Parola si rivolge dunque ad una Chiesa che ha già alle spalle un cammino – non privo di delusioni – ma anche una storia ancora da scrivere.

Il titolo biblico contiene il messaggio principale che il vescovo esplicita nel sottotitolo – “una sosta contemplativa” – e che ritorna subito fin dalle prime righe

« Siamo invitati [fusion_builder_container hundred_percent=”yes” overflow=”visible”][fusion_builder_row][fusion_builder_column type=”1_1″ background_position=”left top” background_color=”” border_size=”” border_color=”” border_style=”solid” spacing=”yes” background_image=”” background_repeat=”no-repeat” padding=”” margin_top=”0px” margin_bottom=”0px” class=”” id=”” animation_type=”” animation_speed=”0.3″ animation_direction=”left” hide_on_mobile=”no” center_content=”no” min_height=”none”][…] ad una Sosta Contemplativa, ad un Anno in cui più che fare delle cose, vogliamo fermarci, per stare con Lui (Mc 3,14), per ascoltare e ascoltarci e per ricollocarci nuovamente nel grande progetto di Dio » (n. 1).

La sosta è dunque un passaggio, ma non una parentesi. Un passaggio che insegna uno stile personale ed ecclesiale; E che poi si traduce in una prassi pastorale.

Il metodo

Prima dei contenuti è bene soffermarci sul metodo per comprendere la via che il vescovo propone (hodos in greco significa appunto via). Partiamo dunque da questa precisazione iniziale:

«Questi Orientamenti, consegnati all’inizio del nuovo Anno Pastorale, hanno lo scopo di orientare la vita delle nostre comunità, che formano la Chiesa Diocesana. Non intendono essere un piano, né un progetto e tanto meno una strategia » (n. 1).

Non si tratta di una Lettera pastorale ma di orientamenti, cioè suggerimenti che non hanno tanto un sapore normativo ma intendono comunque orientare, cioè invitare la comunità a guardare verso oriente, lì dove sorge il sole (oriens ex alto, cantiamo ogni giorno nel Benedictus).

Rinunciare ai grandi progetti pastorali non vuol dire vivere alla giornata, tirare a campare, ma contiene una precisa indicazione di merito, profondamente radicata nella Scrittura:

« vogliono educarci allo spirito del pane quotidiano (cf. Lc 11,3) e all’accoglienza della manna nel deserto, da raccoglierne quanto basta per un giorno, secondo il suggerimento del Signore: Il popolo uscirà a raccoglierne ogni giorno la razione di un giorno (cf. Es 16,4) » (n. 1).

Scorrendo la Lettera non troviamo indicazioni normative precise ma suggerimenti, proposte, spunti per la riflessione pastorale. Il vescovo scommette sulla responsabilità ecclesiale che diventa accoglienza amorosa delle parole del Pastore che Dio ha posto a guidare la Chiesa.

Non mancano però quelli che il vescovo chiama “punti fermi”, richieste precise. Provo a fare un rapido elenco, forse non del tutto esaustivo, seguendo l’ordine del documento:

« dobbiamo sempre, tutti e nuovamente, tornare alla scuola del Vangelo, dall’unico Maestro, per imparare la inesauribile lezione evangelica » (n. 2).

« deve risuonare con freschezza e passione il nome di Gesù, liberandolo dalle tante incrostazioni pastorali, che lo hanno quasi soffocato e seppellito » (n. 2).

« educare ad una ministerialità che riesca a stare fuori, tra la gente, dove il dramma rischia di consumarsi e gli uomini e le donne di perdersi » (n. 3).

« La prima azione pastorale è pregare, imparare a pregare e insegnare a pregare. […]  Il Vescovo,  […] invita i suoi presbiteri ad essere attenti alla Lectio Divina e alla Preghiera, anzi alla qualità della preghiera […] (n. 6).

« il nostro impegno primario durante l’Anno della Fede – a rifare della Messa il cuore della Chiesa» (n. 7).

Nelle parole conclusive, citando Ap 3, 20-21, il vescovo richiama anche quelli che considera “binari obbligati”: “Ritornano in questo testo l’Ascolto, la Fede e l’Eucaristia, che vogliono essere in questo Anno Pastorale i binari obbligati del nostro percorso ecclesiale” (n. 8). Come si vede, gli orientamenti vanno intese come stelle che orientano il cammino.

La dimensione contemplativa

Il primo anno è stato segnato dal verbo ricominciare il secondo anno, invece, pone l’accento sul verbo stare, rimanere. Non è un passo indietro ma una chiara indicazione di metodo. Andare e rimanere, scrive il vescovo Giuseppe, non sono alternativi ma complementari, e non sono due fasi successive ma due facce della stessa medaglia, sono esperienze che s’intrecciano continuamente nella stessa prassi pastorale.

«Rimanere è il verbo della comunione; andare è il verbo della missione e vanno tenuti sempre insieme » (n. 3).

Non c’è prima il rimanere e poi l’andare, anche se lo stare è l’indispensabile premessa dell’annuncio e della testimonianza.

Il vescovo chiede una “pausa di riflessione” per “riscoprire la dimensione contemplativa della vita e riascoltare la mai definitivamente compresa Parola del Maestro” (n. 1). L’espressione usata fa pensare al Cardinale Martini che iniziò il suo ministero pastorale nell’operosa diocesi milanese con un triennio tutto dedicato alla preghiera: la dimensione contemplativa della vita (1981), In principio la Parola (1982), Attirerò tutti a me (1983). Silenzio, Parola ed Eucaristia. Ma fa pensare anche alle indicazioni che, all’inizio del terzo millennio, Giovanni Paolo II ha dato a tutta la Chiesa:

“se volessimo ricondurre al nucleo essenziale la grande eredità che essa ci consegna [cioè l’esperienza del grande giubileo], non esiterei ad individuarlo nella contemplazione del volto di Cristo” (Novo millennio ineunte, 15).

Il vescovo Giuseppe, tuttavia, legge questo invito nel contesto dell’anno della fede e ricorda con l’apostolo Paolo che “fides ex auditu” (Rom 10,17), “la fede viene dall’ascolto e l’ascolto riguarda la Parola di Cristo” (n. 1). Da notare che la medesima citazione ritorna nel n. 4. Nel linguaggio biblico stare vuol dire fermarsi ma ascoltare. Maria di Nazaret e Maria di Betania sono le icone di questo stare che diventa lo spazio in cui il Verbo si fa carne.

La contemplazione è il luogo in cui facciamo esperienza di silenzio e di ascolto. Emerge qui una delle direttive: “Ascoltare sarà il verbo da ripetere in questo Anno Pastorale”. È una doppia sfida per l’uomo, da parte perché oggi è immerso in un vivere dominato dal rumore; e dall’altra perché il peccato di Adamo è proprio quello di non voler ascoltare la voce di Dio (n. 4). L’ascolto della Parola che il vescovo chiede non ha solo una dimensione personale ma anche una cornice ecclesiale:

«Il Vescovo, quest’anno, vuole innanzitutto essere Maestro di Ascolto e di Preghiera e invita i suoi presbiteri ad essere attenti alla Lectio Divina e alla Preghiera, anzi alla qualità della preghiera» (n. 6).

Nelle intenzioni del vescovo la Lectio divina deve accompagnare e ritmare il cammino della vita ecclesiale. Lui stesso dà l’esempio attraverso un appuntamento mensile in cui rilegge il Vangelo di Luca. Una fede nutrita con la Parola è una fede fondata sulla roccia, una fede robusta ed ecclesiale, una fede che resiste ai venti delle opinioni e alle tempeste della vita.

Il vescovo chiama in causa tutti: “le Famiglie, le Parrocchie, i Monasteri, le Case Religiose, i Gruppi, le Associazioni e i Movimenti ri-diventino autentiche Scuole di Preghiera, dove si impara a conoscere il Maestro e a stare con Lui… per poi andare” (n. 6).

Quale annuncio

La dimensione contemplativa non fa perdere di vista l’annuncio. Anzi. Il vescovo Giuseppe invita a fare della preghiera il grembo della Parola, accolta e annunciata. “la parola dell’annuncio – dice Papa Benedetto – deve essere sempre immersa in un rapporto intenso con Lui, in un’intensa vita di preghiera. Il mondo di oggi ha bisogno di persone che parlino a Dio, per poter parlare di Dio” (Benedetto XVI, 15 ottobre 2011).

Nel documento troviamo alcune indicazioni che confermano e rilanciano una pastorale tutta protesa a seminare la buona notizia.

In Lc 10,1-42 possiamo individuare il soggetto dell’azione: il Signore; il predicato: tutti i verbi che invito a sottolineare, a cominciare da designò altri 72; il complemento: sono le persone, la gente (missio ad gentes) con il cuore gonfio e con le mani stanche.

Il vescovo non parla genericamente di evangelizzazione e/o di annuncio ma, utilizzando una bella formula biblica, dice che la Chiesa è chiamata a “far risuonare il nome di Gesù”: « Il nome di Gesù, detto e ri-detto nella Fede della Chiesa, è il contenuto della Nuova Evangelizzazione, e i Cortili sono i luoghi dove la gente vive e aspetta di ri-sentire in modo caldo e appassionato, da trafiggere il cuore (cf. At 2,37), il nome di Gesù » (n. 2).

Nell’ultimo discorso che papa Benedetto ha tenuto ai vescovi italiani ha detto che nella nostra gente c’è una sete di spiritualità che la Chiesa non sempre riesce a intercettare (24 maggio 2012). Il vescovo si fa eco di questa preoccupazione quando invita a darsi da fare

“prima che i nostri fedeli perdano il gusto delle cose di Dio e vadano ad abbeverarsi ad altre sorgenti, o a cisterne screpolate” (n. 6).

Tutti sono chiamati all’annuncio e tutti sono oggetti dell’annuncio. La preghiera mette nel cuore il desiderio di andare nei sentieri dell’Agro e di entrare nei vicoli del cuore, anche e soprattutto dove si annida la sofferenza e dove nascono e crescono i dubbi. il vescovo richiama spesso questo obiettivo: è la gente che gli sta a cuore, uomini e donne che attendono una parola di speranza, l’invito alla riconciliazione, il perdono di Dio.

Annunciare vuol dire “abitare la storia da credenti” e portare nella storia il Signore Gesù perché trasformi ogni cuore e ogni situazione. Non è improprio in questo contesto un accenno, anche se brevissimo, alla Dottrina Sociale della Chiesa: per ridare anima alla nostra terra, sempre in affanno e bisognosa di carità e giustizia” (n. 2). Il vescovo invita a fare silenzio per “sentire i passi dei poveri” (n. 5). Il pensiero del Pastore corre certamente a quel Discorso alla Città, da proporre in concomitanza con la festa di san Prisco, che egli vuol fare diventare un appuntamento significativo della missione ecclesiale e dell’incontro con il vasto e operoso mondo della società.

Appunti pastorali

Il documento episcopale non manca di sferzare quegli atteggiamenti pastorali che hanno messo salde radici nelle nostre parrocchie. Ad esempio il vescovo denuncia quella

“pastorale autoreferenziale e narcisistica, che non invita ad andare, ma solo a rimanere; ma più che a rimanere, stazionare, se non a bighellonare, nei recinti delle nostre Parrocchie, diventate tante volte orti conclusi e inaccessibili » (n. 3).

L’esperienza vissuta nel primo anno del suo ministero, che lo ha portato in tutte le parrocchie della diocesi, lo spinge a chiedere ai parroci un “umile lavoro di restauro, ripulitura, rinnovamento per restituire la Messa alla sua centralità e recuperare altre celebrazioni liturgiche” (n. 7).

Il tema è molto importante, sui siamo infatti nel cuore stesso della fede: “il cuore della preghiera cristiana, alla quale dobbiamo arrivare e dalla quale sempre dobbiamo ripartire, è il Mistero Eucaristico” (n. 7). Per questo il vescovo offre una serie di domande che sollecitano una verifica puntuale:

  • Che ne è, oggi, della Messa?
  • Qual è il numero, la qualità, la necessità delle Messe che celebriamo?
  • Siamo coscienti che la Messa, e non le Messe, non è una devozione tra le tante?
  • Che posto ha la Messa nella mia vita, nella vita delle comunità, nel nostro cammino di Fede?
  • Come purificare, restituendole alla bellezza e alla sobrietà, le celebrazioni delle nostre Messe?
  • Quale è il rapporto, a cinquant’anni dal Concilio Vaticano II, tra denaro e Sacramenti?

L’ultima domanda chiama in causa in modo particolare i presbiteri. È una domanda neutra, almeno in apparenza; ma il fatto stesso di proporla fa pensare all’esistenza di alcune criticità che vanno attentamente considerate.

Il modo di celebrare, dice il vescovo citando il cardinale Martini, rispecchia il modo di vivere la fede. Per questo il vescovo Giuseppe non dà norme ma invita a rileggere attentamente la Costituzione Sacrosanctum concilium per riscoprire il “fondamento teologico della liturgia”. E nello stesso tempo fa capire che solo una sincera conversione può determinare un nuovo stile celebrativo.

Un pellegrinaggio

Una sosta vissuta secondo lo stile che il vescovo Giuseppe tratteggia nei nove capitoli della sua Lettera, non solo prepara una nuova missione ma sarà essa stessa “un vero cammino” (n. 9), una tappa di quella grande avventura della fede iniziata in quella terra che noi chiamiamo santa perché è lì che il Tre volte Santo si è manifestato in tutta la sua pienezza. In quella terra il Vescovo invita ad andare per sigillare il cammino pastorale. E da lì ripartire per una nuova tappa del nostro pellegrinaggio terreno.

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