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Omelia per l’ordinazione presbiterale di don Claudio Scisciola

Omelia del vescovo monsignor Giuseppe Giudice per l’ordinazione presbiterale di don Claudio Scisciola nella Cattedrale di San Prisco   Liturgia della Parola At 3,1-10 Sal 104 Ap 3,14-22 Lc 24,13-35     Sorelle e fratelli, Chiesa santa e sempre sulla…

Omelia del vescovo monsignor Giuseppe Giudice per l’ordinazione presbiterale di don Claudio Scisciola nella Cattedrale di San Prisco

 

Liturgia della Parola

At 3,1-10

Sal 104

Ap 3,14-22

Lc 24,13-35

 

 

Sorelle e fratelli,

Chiesa santa e sempre sulla via di Emmaus,

nella luce della Grande Domenica che è la Pasqua del Signore, in questi giorni risorti celebrati come un unico giorno, giubilanti ripetiamo: Questo è il giorno che ha fatto il Signore: rallegriamoci ed esultiamo, Alleluia.

Abitati da questo stupore alleluiatico, ci facciamo educare dalla Parola di Dio che, abbondantemente, è stata proclamata dall’ambone, segno del sepolcro di Cristo ormai spalancato sulla nostra storia; parola pasquale nella quale, in filigrana ma con tratti chiari e precisi, possiamo intravedere l’identità e la ricchezza del ministero presbiterale, che ha come fons et culmen la celebrazione eucaristica.

Ogni presbitero è segno sacramentale del Viandante di Emmaus, il Risorto, che innestandosi nei tanti sentieri interrotti dell’umano, riconduce i dispersi sull’unico sentiero che riporta al giardino di Pasqua.

Nel Vangelo di Emmaus, in controluce, si intravedono i momenti della celebrazione eucaristica che, celebrata una volta per sempre sull’altare della Croce, il Risorto continua a presiedere lungo la strada e nelle diverse Emmaus attraverso l’opacità luminosa dei segni sacramentali.

La sera stessa di Pasqua, due di loro, forse oggi una folla, si allontanano dal Cenacolo di Gerusalemme, volgono le spalle alla Comunità, e coniugando i verbi al passato – noi speravamo – intessono una sorta di liturgia delle parole, fatta di tristezza, delusione e quasi disperazione.

Il Risorto, senza essere riconosciuto, li raggiunge sulla strada della loro delusione, e cammina con loro, esercitando lungo la strada il primo e più difficile ministero, l’ascolto concreto della loro vita e delle loro aspettative, accogliendo i loro sogni infranti.

Si fermarono, con il volto triste, meravigliati dal fatto che il Forestiero fosse l’unico a non sapere i fatti accaduti a Gerusalemme. Il Pellegrino l’invita a raccontare, ad aprire la porta del cuore per far venire fuori tutto l’accumulo di paura e delusione. Ed è dopo questo ascolto, silenzioso e paziente, che il Risorto innesta il suo dolce ed autorevole richiamo: Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti!  Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria? (Lc 24,25-26).

Viandante e Pellegrino li invita a passare, dal fiume di parole tristi e scoraggiate al racconto dell’unica Parola, il racconto di Pasqua, contenuto in tutte le Scritture.

Stupenda Liturgia della Parola che, lungo la strada della vita, apre e riapre alla speranza, e sboccia nella prima e più bella preghiera della Pasqua: Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto (Lc 24,29).

Adesso invitano ad entrare Colui che sta alla porta e bussa (cfr Ap 3,20) ed Emmaus diventa paese dell’anima, cuore eucaristico, cattedrale della speranza, dove lo Straniero è riconosciuto nello spezzare il pane, gesto pasquale per eccellenza.

I fuggiaschi cominciano a comprendere: Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture? (Lc 24,32).

Abitati da Lui, perla ritrovata, non più in fuga ma in missione, fanno ritorno a Gerusalemme dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro (Lc 24,33). L’Eucarestia è quest’incontro sui sentieri difficili della vita, questa Presenza che viene riconosciuta e scalda il cuore, questo pane fragrante e spezzato che ci fa tornare sui nostri passi in comunità e nel cenacolo della Chiesa, sempre dopo ogni delusione e peccato, per dire in comunione con Pietro e gli Undici, ormai sapendo che non esiste missione senza comunione: Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone! (Lc 24,34).

 

Carissimo Don Claudio,

sempre acceso dal fuoco di Pasqua che si fa fiamma di Pentecoste per radunare la Chiesa dalle genti, mai tiepido, ascolta il Risorto che sempre sta alla porta e bussa, ed aprigli perché vuole entrare per cenare con te.

L’Eucarestia non è una devotio privata, ma il cuore ardente della Chiesa che fa la Chiesa, inviandoci come missionari lungo le strade.

E quando sali al tempio per la preghiera, fermati sempre ad ogni porta del tempio, detta Bella, per vedere l’uomo storpio dalla nascita, l’uomo mendicante di ieri e di oggi, l’umanità sempre questuante, e ripeti con Pietro e Giovanni: Non possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, àlzati e cammina! (At 3,6).

È Cristo, e solo Lui, la nostra ricchezza da condividere con gli altri. È scritto nella Parola il ministero di ogni presbitero: fermarsi, ascoltare, dare Gesù Cristo, e sollevare ogni uomo per farlo ritornare un pellegrino di speranza.

Allora preghiamo con i Discepoli di Emmaus, quasi presi per mano da San Prisco, Sant’Alfonso Maria de Liguori, San Francesco di Paola, e con le stupende parole del cardinale Carlo Maria Martini: «Signore, Gerusalemme è ormai vicina. Abbiamo capito che essa non è più la città delle speranze fallite, della tomba desolata. Essa è la città della Cena, della Pasqua, della suprema fedeltà dell’amore di Dio per l’uomo, della nuova fraternità. Da essa muoveremo lungo le strade di tutto il mondo per essere testimoni della sua risurrezione. Amen».

Nocera Inferiore, 23 aprile 2025

+ Giuseppe Giudice, Vescovo

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