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Omelia per la festa di Materdomini 2024

Omelia del vescovo mons. Giuseppe Giudice per la festa di Materdomini 2024     Madre, vogliamo vedere Gesù (cfr Gv 12,21)   Liturgia della Parola Sir 24,14-16.24-31 Salmo Lc 1,46-55 Vangelo Gv 12,26-30     Sorelle e fratelli, Figli di…

Omelia del vescovo mons. Giuseppe Giudice per la festa di Materdomini 2024

 

 

Madre, vogliamo vedere Gesù (cfr Gv 12,21)

 

Liturgia della Parola

Sir 24,14-16.24-31

Salmo Lc 1,46-55

Vangelo Gv 12,26-30

 

 

Sorelle e fratelli,

Figli di San Francesco,

Presbiteri,

carissimi Pellegrini,

 

“è nella notte che è bello attendere la luce. Bisogna forzare l’aurora a nascere credendoci”, ha scritto il poeta Edmond Rostand.

Anche noi, pellegrini nella notte verso la luce, vogliamo forzare l’aurora e, innestandoci sull’antico sentiero di Materdomini, ci accorgiamo che ci viene incontro e ci precede Maria, aurora che annuncia il giorno, e a Lei chiediamo: Madre, vogliamo vedere Gesù.

Alcuni greci, estranei e venuti da fuori, saliti per il culto durante la festa, si avvicinano a Filippo e gli domandano: Signore, vogliamo vedere Gesù.

Filippo lo dice ad Andrea e, insieme, vanno a dirlo a Gesù.

C’è nella storia un passaparola che, di bocca in bocca, di mano in mano, nella certezza della trama ecclesiale apostolica, porta fino a Gesù.

E Gesù, con un’immagine semplice ed efficace – chicco caduto in terra che muore – dice che è giunta l’ora di vederLo, non come pensano molti, ma entrando nell’ora oscura della Croce che partorisce la Pasqua, il dono della vita offerta per amore.

Solo se si ha la pazienza di attraversare la morte del seme, si potrà cogliere la spiga nel sole di Pasqua.

Anche noi, pellegrini e non vagabondi, vogliamo vedere Gesù.

E chiediamo alla Madre; ma per vedere occorrono occhi di stupore, semplici, puliti, e sguardo di fede, antica e nuova.

Per vedere le cose di Dio, dobbiamo togliere gli ostacoli, i diaframmi, gli ingombri, le nebbie, tutti coloro che si frappongono e che ci impediscono di vedere oltre, imprigionandoci in qualche illusione ottica.

Per vederLo, bisogna purificare gli occhi e il cuore, perché il di più si vede sempre e solo con il cuore.

Madre, vogliamo vedere Gesù.

Maria, la Mater Domini, e la Chiesa Madre ci fanno vedere Gesù.

Maria ci mostra Gesù alla culla e alla croce, e in tutto il Vangelo ella è lo sfondo sul quale il Figlio si muove.

Lo mostra ai pastori e ai magi; tenendolo tra le braccia, nel vespro della croce, lo mostra all’umanità smarrita e sempre bisognosa di luce.

Maria è sempre là, dove si nasce e dove si muore, per mostrarci Gesù; e dove si rinasce perché c’è sempre Gesù, il Crocifisso-Risorto.

Ai crocicchi del nascere e del morire, Ella ci aspetta con tenerezza di Madre e non ci lascia mai soli nella notte a salmodiare le nostre paure.

 

 

Giovani pellegrini,

Chiesa giovane con Maria,

se volete essere e rimanere giovani, di quella giovinezza non solo fisica ma spirituale, non perdete mai il senso della culla e della croce.

Chiedete a Lei il segreto, adesso e nell’ora della nostra morte, quali viaggiatori verso il cielo.

Non vi sottraete, se volete essere felici, se volete una vita bella – e non una bella vita! – allo spessore del legno della culla e della croce, lasciandoVi abbagliare da chi Vi sussurra che la vita è una semplice passeggiata, più attraente e comoda se si eliminano culla e croce.

La culla e la croce, la vita e la sofferenza, dove Maria sta, sono gli orizzonti che una certa cultura oggi nasconde, per dirci che siamo tecnicamente potenti, quasi déi e non creature, per illuderci sul concetto di felicità, quella vera, che sempre include e mai può eludere se non vuole essere falsa o virtuale, la ruvidezza della culla e della croce, albero da cui sboccia la gioia vera, che nessuno può toglierci (cfr Gv 16,22).

Maria, Madre della Speranza, ce lo insegna con la sua vita e ce lo ripete in tutti i Santuari e luoghi di culto dove ci attende:

Io sono la Madre del bell’amore e del timore, della conoscenza e della santa speranza.

Con fiducia, con gioia, senza vergogna, anche dopo il peccato con i piedi sporchi di fango, Ella sempre ci attende, come ogni madre il figlio, anche se è notte.

Incontrandoci, non ci mortifica, non ci umilia, non soffoca la nostra libertà, non punta il dito sul quadrante dei nostri ritardi, ma sempre ci accoglie perché sa attendere, cioè sa sperare.

La Mater Domini e Madre nostra ci insegna a rialzare lo sguardo, ad aspettare nella notte che si apra la porta del Santuario, per apparirci con il suo sguardo di pace, con la pace tra le braccia che è Cristo.

E come ogni mamma, quando andiamo via, preoccupata ci ricorda di portare con noi qualche indumento per coprirci dal freddo e di stare attenti alla strada.

Sulle sue ginocchia, tra le sue braccia, ritornati bambini e pellegrini di speranza, nutriamoci ancora del latte spirituale per crescere robusti nella fede, speranza e carità.

Non ci affidiamo ai venditori di illusioni che, tarpandoci le ali, ci rendono schiavi e prigionieri dell’effimero, del nulla, dell’attimo fuggente, insegnandoci a cantare il vuoto e la noia, che ci aiuta a perderci lungo le autostrade della vita, per piangere domani altre giovani vittime.

Insieme, come Chiesa da conoscere ed amare sempre, siamo chiamati ad essere costruttori di una nuova umanità che, relegando i figli delle tenebre, investe sui figli della luce, profeti e poeti di un umanità ricca e stupenda, capace di meraviglia, di attenzione al creato e all’ambiente, di rispetto e pace vera, di dialogo sereno tra le generazioni e di inclusione fraterna.

Ecco, cosa ci dice sorridendo la Mater Domini, e cosa vuol dire in concreto vedere Gesù e camminare con Lui nella luce.

Chi lo ha visto, chi lo vede, cambia la sua vita e la vita degli altri; e così, pellegrini con Lui, la storia fatta di guerre e soprusi diventa storia di pace ed armonia, storia inzuppata di Vangelo, secondo la teologia della storia che Maria canta nel Magnificat.

Il Santo Padre Francesco, in una bella Lettera inviataci il 4 agosto u.s., ci ha invitati a servirci della letteratura e della poesia nella formazione per cogliere meglio i semi del Vangelo tra di noi.

A suggello di questa notte e di questo primo Pellegrinaggio dei Giovani, che già ci immette sulla strada per il Giubileo ordinario del 2025, voglio lasciarVi un testo di Salvatore Quasimodo, Lettera alla madre, che ben sintetizza la fatica del pellegrinaggio della vita, il senso della gratitudine, e il punto fermo nel cammino dell’esistenza che è la madre e la Madre di Dio, sorella, compagna di viaggio e stella del cammino.

«Mater dolcissima, ora scendono le nebbie,
il Naviglio urta confusamente sulle dighe,
gli alberi si gonfiano d’acqua, bruciano di neve;
non sono triste nel Nord: non sono
in pace con me, ma non aspetto
perdono da nessuno, molti mi devono lacrime
da uomo a uomo. So che non stai bene, che vivi
come tutte le madri dei poeti, povera
e giusta nella misura d’amore
per i figli lontani. Oggi sono io
che ti scrivo.»

– Finalmente, dirai, due parole
di quel ragazzo che fuggì di notte con un mantello corto
e alcuni versi in tasca. Povero, così pronto di cuore
lo uccideranno un giorno in qualche luogo. –

«Certo, ricordo, fu da quel grigio scalo
di treni lenti che portavano mandorle e arance,
alla foce dell’Imera, il fiume pieno di gazze,
di sale, d’eucalyptus. Ma ora ti ringrazio,
questo voglio, dell’ironia che hai messo
sul mio labbro, mite come la tua.
Quel sorriso m’ha salvato da pianti e da dolori.
E non importa se ora ho qualche lacrima per te,
per tutti quelli che come te aspettano,
e non sanno che cosa. Ah, gentile morte,
non toccare l’orologio in cucina che batte sopra il muro
tutta la mia infanzia è passata sullo smalto
del suo quadrante, su quei fiori dipinti:
non toccare le mani, il cuore dei vecchi.
Ma forse qualcuno risponde? O morte di pietà,
morte di pudore. Addio, cara, addio, mia dolcissima mater.»

 

Santuario di Materdomini

Nocera Superiore, 14 agosto 2024

+ Giuseppe Giudice, Vescovo

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