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Omelia della Messa Crismale 2024

Omelia della Messa Crismale 2024 pronunciata dal Vescovo mons. Giuseppe Giudice durante la celebrazione nella Cattedrale di San Prisco in Nocera Inferiore   Liturgia della Parola Is 61,1-3a.6a.8b-9 Sal 88(89) Ap 1,5-8 Lc 4,16-21   “Se il vasetto non viene…

Omelia della Messa Crismale 2024 pronunciata dal Vescovo mons. Giuseppe Giudice durante la celebrazione nella Cattedrale di San Prisco in Nocera Inferiore

 

Liturgia della Parola

Is 61,1-3a.6a.8b-9

Sal 88(89)

Ap 1,5-8

Lc 4,16-21

 

“Se il vasetto non viene rotto, il profumo rimane all’interno di esso. Allo stesso modo che il chicco di grano, se non si disfa sottoterra, non produce un numero di chicchi ben più grande (cfr Gv 12,24), lo stesso succede a questa boccetta di profumo: se non la si rompe, noi non possiamo venirne unti” (San Girolamo, Omelie sul Vangelo di Marco, 10).

 

 

Carissimi,

Dove vuoi che andiamo a preparare, perché tu possa mangiare la Pasqua? (Mc 14,12): è la stessa domanda che noi, come gli apostoli, poniamo ogni anno puntualmente al Maestro. E la risposta, ieri come oggi, non cambia: bisogna entrare nella città e, accompagnati da un uomo con una brocca d’acqua, cercare la grande sala al piano superiore (cfr Mc 14,12-16).

La Pasqua si celebra sempre nel groviglio della città, e nell’intimità della sala alta, in comunione con Lui e con la nostra storia, redenta dal suo sangue. Mentre avvertiamo “qualcosa di nuovo oggi nel sole, anzi d’antico” (Giovanni Pascoli, L’aquilone), con l’Ufficio delle Letture del Sabato santo preghiamo:

“Il trono celeste è pronto, pronti e agli ordini sono i portatori, la sala è allestita, la mensa apparecchiata, l’eterna dimora è addobbata, i forzieri aperti. In altre parole è preparato per te dai secoli eterni il regno dei cieli” (Da un’antica “Omelia sul Sabato santo”).

Guardate a Lui e sarete raggianti (Sal 34,6).

Con i nostri occhi fissi su di Lui, ancora una volta saliamo a Gerusalemme per celebrare la Pasqua, per essere incoraggiati nel nostro ministero presbiterale e ravvivare il sacerdozio battesimale dei nostri fedeli e il sacerdozio ministeriale, entrambi espressioni dell’Unico ed Eterno Sacerdozio di Cristo.

Vorremmo che la celebrazione della Messa Crismale, epifania della Chiesa eucaristica locale, diventasse un incoraggiamento, quasi una carezza dello Spirito per ripartire e continuare il cammino con rinnovato entusiasmo.

Ci aiuti la nostra preghiera come olio prezioso versato sul capo (Sal 133,2), che culmina nell’Eucarestia dove ungi di olio il mio capo; il mio calice trabocca (Sal 23,5); e diventi condivisione, in modo che ognuno prega per l’altro, e insieme ci rivolgiamo a Colui che, amandoci, ci ha chiamati e, chiamandoci, ci manda e sempre ci sostiene perché Egli è la nostra Pasqua (cfr 1Cor 5,6-8).

“Ciò che avviene in questa solenne assemblea, al centro di ogni Diocesi, si riproduce altrettanto bene, con la stessa pienezza, con gli stessi effetti, nella più umile Messa paesana o in quella, tutta silenziosa, del monaco nel suo deserto. Non importano le dimensioni o il decoro. La Chiesa santa e santificante edifica la Chiesa dei santi” (Card. Henri-Marie de Lubac, Meditazioni sulla Chiesa, 1953, pp.128-131).

In un tempo complesso, frammentato, dispersivo, in attesa di una nuova sintesi, con il salmista ripetiamo: l’olio del malvagio non profumi la mia testa, tra le loro malvagità continui la mia preghiera (Sal 141,5).

Per custodire la nostra vita presbiterale, il dono ricevuto, e per poter servire e preservare la fede del nostro popolo, minacciata da tante derive, prendiamo sempre le distanze dall’olio del malvagio, che prima di essere un’azione, diventa un modo di pensare, di giudicare, di rapportarsi, omologandosi ad un mondo che, ferendo l’anima e cosificandoci, confonde la gerarchia dei valori e delle creature, e non si affida più al Signore, cuore pasquale e centro della storia.

Questo stile scialbo e sciatto, se vogliamo rimanere amici di Gesù (cfr Gv 15,15), a noi non è consentito, perciò abbiamo bisogno annualmente della Messa Crismale per fare scorta dell’olio benedetto e consacrato, olio fluente di pace e di perdono, balsamo di misericordia da versare sulle tante ferite, nostre e dei fratelli.

Celebriamo quest’anno il sessantesimo anniversario della Costituzione conciliare sulla Chiesa Lumen Gentium (21 novembre 1964), dono dello Spirito Santo e dei Padri conciliari, e siamo chiamati a verificare la nostra fedeltà alla Chiesa di Cristo, affidata a Pietro, oggi Francesco, e la recezione del Concilio Vaticano II.

Come si riflette la luce di Cristo, Lumen Gentium, sul volto della nostra Chiesa?

Quali ombre si devono ancora diradare perché risplenda la bellezza del suo volto?

Far risplendere il volto della Chiesa, vuol dire anche non affidarsi in modo superficiale e sprovveduto a qualche lettura parziale, prodotta da quello che definisco magistero giornalistico, che dice sulla Chiesa ma non sa chi è la Chiesa; o alla ossessione di certi social o siti che, extra moenia ed intra moenia, deturpano sistematicamente il volto della Sposa e, di riflesso, i nostri volti ecclesiali.

A noi è chiesto, per formazione e ministero di essere professionisti di spiritualità ecclesiale, alla scuola dei grandi Santi, e perciò è necessario andare alle fonti, leggere i documenti, rimanere in comunione con la mens di Pietro e, in caso di non comprensione per incapacità personale, sospendere il giudizio.

Se si ama veramente la Chiesa, bisogna fare argine a tutti i profeti di sventura che, amplificando la pagliuzza nella bisaccia che pende al collo dell’altro, non riescono o non vogliono vedere la trave, che appesantisce la bisaccia posta sulle loro spalle.

Il Santo Padre Francesco, porgendo gli auguri natalizi alla Curia Romana il 21 dicembre u.s., si chiedeva se nella Chiesa viviamo da innamorati o da abituati.

Si, perché solo chi ama cammina; gli altri rimangono indietro e rallentano e appesantiscono il cammino della carovana, quasi vanificando i sofferti passi sinodali.

Attingiamo oggi dalla ricchezza di questa Santa Messa l’entusiasmo necessario, e l’incoraggiamento di cui tutti abbiamo bisogno per essere pastori e fedeli profetici in questo nostro tempo.

Ascoltiamo Gesù, Lettera di Dio, inviata ad ogni uomo; e Pietro, Lettera della Chiesa, per l’umanità; e si realizzi anche per noi l’effetto riportato alla lettura della lettera apostolica inviata dopo il Concilio di Gerusalemme negli Atti degli Apostoli: Quando l’ebbero letta, si rallegrarono per l’incoraggiamento che infondeva (At 15,31).

Sì, sorelle e fratelli, se vogliamo essere oggi Chiesa profumata di crisma, dobbiamo avere l’umiltà di incoraggiarci a vicenda; e, sapendo bene ciò che è la Chiesa per noi, evitare di essere mine vaganti che spargono disordine e sfiducia, erodendo innanzitutto la nostra identità, lanciando colombe di pace in aria e nascondendo le armi, ma sempre pronti, non a giustificare l’errore, ma sicuramente ad accogliere ed accompagnare l’errante.

Chiediamo allo Spirito che ri-unti e ri-uniti ci doni uno sguardo nuovo, limpido e sereno di chi, come Geremia, nel cuore dell’inverno, esclama con stupore: Vedo un ramo di mandorlo (Ger 1,11).

Questo sguardo evangelico ci occorre per comprendere che l’altro non è, sempre e soltanto un poco di buono; ma vogliamo investire ancora su quel poco di buono, che abita in ognuno di noi; cogliere qualche scintilla di bellezza che brilla ovunque; scommettere su quel minimo, che altri non vedono e non apprezzano, ma che il Signore ha seminato in ogni cuore, impasto di luci ed ombre, grano buono e zizzania (cfr Mt 13,24-30).

Ma non è forse questa la pedagogia del Figlio dell’uomo, il Redentore, che nel suo sangue prezioso è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto? (cfr Lc 19,10).

Non è, altresì, questa la profezia del mistero pasquale, espressa da Caifa?

Non vi rendete conto che è conveniente per voi che un solo uomo muoia per il popolo, e non vada in rovina la nazione intera! (Gv 11,50).

Annota con acume l’evangelista: Questo però non lo disse da se stesso, ma, essendo sommo sacerdote quell’anno, profetizzò che Gesù doveva morire per la nazione; e non soltanto per la nazione, ma anche per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi (Gv 11,51-52).

Ritorniamo al cuore eucaristico, sacrificio e mensa pasquale, perché è nel cuore che si scrivono i grandi romanzi della letteratura della vita:

Delitto e castigo, 1866, di Fëdor Dostoevskij

Guerra e pace, 1867, e Resurrezione, 1899, di Lev Tolstoj;

I miserabili, 1862, di Victor Hugo;

L’avventura di un povero cristiano, 1968, di Ignazio Silone;

solo per citarne alcuni, già significativi nei titoli.

A noi il compito, oggi, di rileggerli e tradurli alla luce della Pasqua nelle umili storie della nostra gente, delle nostre famiglie, comunità religiose, parrocchiali e presbiterali.

Noi che, vestiti a festa, torniamo sempre dalle nostre feste fallite; noi che, sognando altro, spesso ci adattiamo abitando i paesi della mediocrità; noi che, nonostante solenni professioni di fede, ci arrendiamo e ci areniamo ad ogni vicolo della Croce.

Illuminati dal Cero pasquale, consacrati dall’Olio, non possiamo forse produrre una nuova ed aggiornata letteratura di santità, di fede, carità, speranza, di tanti uomini e donne, toccati dal Risorto e costruttori della Civiltà dell’amore?

Solo adesso ci rendiamo conto come è prezioso questo olio che oggi consacriamo, e quanto bene potrà fare, e quante storie di santità potrà alimentare.

Accogliamolo con fede nelle nostre comunità, ed usiamolo abbondantemente nei Sacramenti, senza farne un possesso privato e senza timore di sprecarlo, sapendo che la grazia precede, accompagna e sostiene ogni nostra azione pastorale.

 

Carissimi, entrando nei tre giorni oscuri e luminosi della passione, morte e risurrezione del Signore, torniamo sempre alla sorgente eucaristica, posta al centro del presbiterio e della nostra vita; e, sitibondi qual cervo alla fonte, attingiamo con fiducia, affinché mai l’olio della spiritualità venga a mancare nelle nostre povere vite, consegnate per vocazione e con passione al Signore.

E se ci chiederanno: dov’è quest’olio? dove i campi di ulivo? dov’è il frantoio?

Invitiamoli a cercarli nella Chiesa: nel Cenacolo; alla Croce; al Sepolcro vuoto.

Nella Sacra Scrittura, nell’Eucarestia, nella Carne dei poveri noi attingiamo l’olio per le nostre lampade, in modo che ci illumini la strada verso il Paradiso.

La Chiesa senza la quale saremmo esuli e pellegrini, senza una tenda e senza una meta, spaesati, incerti e sempre a corto di gioia, è nostra Madre, è la Sposa bella, è la Maestra sapiente che ci ama, ci incoraggia e ci dona la verità, il Cristo luce che mai si spegne, stella che non conosce tramonto (cfr Exultet Veglia Pasquale).

“Aprite gli occhi e osservate quante luci di quella carità irradiano dal suo mantello, dal suo abito. Un abito non tutto ugualmente splendido e nuovo, un abito antico e tanto umano, che sempre ha bisogno di essere riparato e rinnovato, ma tutto smaltato dalle gemme scintillanti della presenza di Cristo. Noi abbiamo, fra tante angustie e amarezze, questo quotidiano, superlativo conforto di vedere ogni giorno scintillare gli esempi della carità eroica della santa Chiesa; e, potremmo fare il giornale della carità, che sarebbe il documento quotidiano di quei segni commoventi e meravigliosi dell’attualità di Cristo fra noi (San Paolo VI, 9 novembre 1966).

Amen.

Nocera Inferiore, Cattedrale di San Prisco, 28 marzo 2024

+ Giuseppe Giudice, Vescovo

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