Omelia ordinazione don Mattia D’Antuono
Omelia ordinazione sacerdotale di don Mattia D’Antuono presieduta dal Vescovo nella Collegiata di San Giovanni Battista in Angri
Liturgia della Parola
At 8,26-40
dal Salmo 65(66)
Gv 6,44-51
“Ogni celebrazione dell’Eucarestia è un raggio di quel sole senza tramonto che è Gesù Risorto” (Papa Francesco)
Sorelle e Fratelli,
Carissimi Presbiteri,
E tutti saranno istruiti da Dio (Gv 6,45): è questo l’orizzonte nel quale ci poniamo – per la seconda volta in questo mese di aprile nel tempo pasquale nella nascita sacramentale di due presbiteri – per essere servi, ministri della Risurrezione del Signore, Pasqua nostra, e umili collaboratori nell’evangelizzazione.
Oggi, il divino viandante, esperto delle nostre strade e conoscitore del nostro cuore, non ci lascia prigionieri delle ombre della sera, ma ci incontra su quella strada che da Gerusalemme scende a Gaza, e ci accompagna nella comprensione della Scrittura per condurci al Sacramento: “perché l’evangelizzazione nella sua totalità, oltre che nella predicazione di un messaggio, consiste nell’impiantare la Chiesa, la quale non esiste senza questo respiro, che è la vita sacramentale culminante nell’Eucarestia” (EN, 28).
Mattia, stasera per il dono dello Spirito e l’imposizione delle mani del Vescovo, ti poni a servizio di questo respiro, la vita sacramentale culminante nell’Eucarestia.
Noi preghiamo che tu lo faccia portando nel cuore l’atteggiamento disarmato e disarmante descritto in un testo di D. Bonhoeffer: “Essere con e per gli altri, in libertà, in gratuità, in gioia, fino al dono della vita, per poi tornare al Padre, consumati”.
Ora la strada su cui è inviato l’apostolo è deserta. Immagine del deserto umano, culturale, spirituale che abita il nostro tempo, sempre in attesa del Vangelo.
E qui ci soccorre il Precursore, che alla domanda Chi sei? Perché possiamo dare una risposta a coloro che ci hanno mandato. Che cosa dici di te stesso?”. Rispose:
“Io sono voce di uno che grida nel deserto:
Rendete diritta la via del Signore,
come disse il profeta Isaia” (Gv 1,22-23).
Nella fede, aiutati dalla Parola, anche il deserto può fiorire (cfr Is 35,1ss.) e portare il nuovo annuncio ad ogni uomo.
Ogni apostolo, ogni presbitero, ogni evangelista, in ascolto della mozione dello Spirito, deve fare come Filippo: Va’ avanti e accostati a quel carro. Stando accanto, si intreccia un dialogo che ci fa passare dalla non comprensione alla comprensione del testo sacro, e così da compagni di viaggio si può diventare guide, maestri dello Spirito, testimoni del Risorto, perché sempre lungo la strada è necessario uno che mi aiuti a leggere: E come potrei capire, se nessuno mi guida?
Ogni evangelizzazione, se vuole approdare all’annuncio del Risorto, deve partire dal vissuto, dalla vita e non deve temere di toccare le piaghe dell’esistenza: per crucem ad lucem.
L’eunuco è immagine della ricchezza e povertà di ogni uomo, dei suoi sogni e delle sue fragilità, del suo desiderio e della sua incapacità a realizzarlo.
Accostarsi, salire sul carro e sedersi accanto a lui è il compito del ministro della Parola che partendo da quel passo della Scrittura annuncia Gesù, Sacramento del Padre, Agnello condotto al macello.
Il carro su cui sale Filippo, e sul quale siamo invitati a salire, non è un carrozzone del circo, ma è la vita concreta dei nostri e fratelli e sorelle, è il vissuto esistenziale, la grammatica dell’umano.
Se vogliamo essere incisivi, presenti e significativi, non possiamo nascondere le pagine della theologia crucis, che è sempre una theologia crucifixa, al chiodo dell’amore di Dio; non possiamo eludere i tornanti del Calvario se vogliamo contemplare poi lo splendore del Risorto.
Per evangelizzare, per essere sacerdoti sulle strade del nostro mondo, bisogna prendere spunto dalla vita sul carro di ogni persona, e leggere nel volto del Servo sofferente, l’Umiliato tosato, il lumeggiare della luce pasquale.
Solo dopo questo passaggio faticoso, questa rielaborazione della Croce, si può fermare il carro e scendere nell’acqua per il Sacramento e accostarsi al pane che discende dal cielo.
Quante volte la nostra evangelizzazione si interrompe in alcune tappe, e non approda mai alla bellezza del mistero della Chiesa, lasciando la nostra gente in itinerari incompiuti.
Forse e perché bypassiamo l’umano, che i nostri sacramenti stanno diventando tappe insignificanti?
Forse è il timore di accostarci al carro e salirci, che ci rende estranei, stranieri al nostro tempo, relegando la Chiesa tra gli oggetti e le nostalgie del passato?
Noi, unti dallo Spirito, non siamo i figli dello scoraggiamento e non abbandoniamo i carri dei nostri fratelli e sorelle, ma umilmente continuiamo ad accostarci e salire, solo e soltanto per donare la luce del Vangelo.
Poi, anche se non accolti, continuiamo la strada, perché sappiamo che è la sua grazia ad agire.
Qui, carissimo Mattia, si gioca la preziosità ed attualità del nostro ministero: accostarsi, salire, spiegare, aprire la mente e il cuore, fermare il carro, scendere nell’acqua, pazientare e poi celebrare la vita nei sacramenti e i sacramenti nella vita; tenendo sempre insieme Scrittura e Sacramento per chiamare ogni uomo all’orizzonte della Santità.
E così, pieni di gioia, proseguire la strada, sapendo che altri carri ci aspettano per ricominciare il mandato dell’evangelizzazione che terminerà solo al Suo ritorno, quando non Gli chiederemo più nulla (cfr Gv 16,23).
Qui si colgono le tappe e la bellezza del ministero che tu, stasera, inizi e noi continuiamo con te, sempre in comunione con la nostra Chiesa amata, e dicendo grazie ai tanti viandanti che, accostandosi sulle nostre strade, ci hanno fatto intravedere qualcosa del volto del Risorto.
Carissimo Mattia,
mentre profumato di crisma inizi la tua avventura presbiterale, in comunione con il Vescovo e il Presbiterio che stasera ti accoglie, non dimenticare di imitare la grande lezione di San Giovanni Battista, il Precursore, che da piccolo ha affascinato la tua vita.
Nella vita di San Giovanni Battista, ultimo tra i profeti e primo tra i testimoni di Cristo Salvatore, possiamo cogliere alcuni tratti del profilo del ministero presbiterale:
– l’amico dello sposo, che è presente e l’ascolta, esulta di gioia alla voce dello sposo (cfr Gv 3,29);
– lampada che arde e risplende, alla cui luce ci rallegriamo (cfr Gv 5,35); testimone della luce (cfr Gv 1,7-8), poiché solo Gesù è Lumen Gentium, e noi pallida luna che rischiara il canto e il cammino notturno dei tanti pellegrini erranti;
– cosciente che a Lui non sono degno di slegare il laccio del sandalo (cfr Gv 1,27);
– disposto a rinnovare quotidianamente la danza dinanzi ad ogni vita nella pancia di una donna, nella plancia di un barcone o di un letto di ospedale (cfr Lc 1,41);
– ricordando che se tu diminuisci Lui cresce (cfr Gv 3,30) non temerai di perdere la testa per Cristo, se avrai il coraggio di essere l’indice che mostra l’Agnello che toglie il peccato del mondo (cfr Gv 1,29);
– con un vestito di peli di cammello e una cintura di pelle attorno ai fianchi, mangiando cavallette e miele selvatico (cfr Mt 3,4), cioè con uno stile sobrio, prenditi cura della tua vita fisica e spirituale, per poter curare i tanti malcapitati che incontrerai lungo la strada e condurli, con i Sacramenti, nella locanda della Chiesa, in attesa del suo ritorno (cfr Lc 10,25-37);
– e se un giorno, nel carcere della finitezza o di questa cultura evanescente, ti salirà alle labbra il dubbio fecondo di Giovanni: Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettarne un altro? – Tu torna subito alla scuola del Maestro che dice: Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo. E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo! (Mt 11,4-6).
Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno (Gv 6,44).
Sapendo che non siamo noi ad attirare, ma è il Padre, poniamoci umilmente sulla strada dei tanti cercatori di Dio ricordando con gratitudine che un giorno, che ha cambiato la nostra vita, il Padre ha attirato e chiamato anche noi nel cerchio ampio di coloro che, nella fede della Chiesa, sanno perché vivono e per chi vivono e per questo sono immersi in una profonda gioia pasquale, che nulla può scalfire e nulla potrà toglierci.
Commenta con acume Sant’Agostino: “Non conoscono la nostra felicità interna, perché non l’hanno gustata. … perché non sanno discernere questi tipi di gioia” (S. Agostino, Serm. de Diversis 354,2).
Amen. Alleluia.
+ Giuseppe Giudice, Vescovo