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Omelia ordinazione sacerdotale don Domenico Petti

L’omelia pronunciata dal Vescovo per l’ordinazione sacerdotale di don Domenico Petti che si è tenuta giovedì 20 aprile nel santuario di Santa Maria Materdomini in Nocera Superiore     Liturgia della Parola At 5,27-33 Dal Salmo 33(34) Gv 3,31-36    …

L’omelia pronunciata dal Vescovo per l’ordinazione sacerdotale di don Domenico Petti che si è tenuta giovedì 20 aprile nel santuario di Santa Maria Materdomini in Nocera Superiore

 

 

Liturgia della Parola

At 5,27-33

Dal Salmo 33(34)

Gv 3,31-36

 

 

Sorelle e Fratelli,

Carissimi Presbiteri,

siamo chiamati a obbedire a Dio piuttosto che agli uomini (At 5,29), alla scuola dell’Obbediente che pur essendo Figlio, imparò l’obbedienza da ciò che patì (Eb 5,8), sapendo che chi non obbedisce al Figlio non vedrà la vita (Gv 3,36), domiciliati sempre a Nazareth dove stava loro sottomesso (Lc 2,51).

Di quale obbedienza parliamo? Certo non di quella che “non è più una virtù”, quella militaresca, che va contro la coscienza e la dignità dell’uomo, per dirla con don Lorenzo Milani (1965).

Qui, alla scuola degli Apostoli, resi tali dalla Pasqua e dallo Spirito del Risorto, noi celebriamo l’obbedienza della fede.

Obbedire da ob-audire: vuol dire ascoltare da un Altro, aprendo umilmente il cuore e le orecchie. Non è, forse, l’ascolto la sorgente di ogni vocazione?

Domenico è qui, stasera, dinanzi al suo Vescovo, perché un giorno ha ascoltato una voce: Vieni e seguimi!

Sì, “fra tutte le voci che risuonano in noi e intorno a noi, ve n’è una, semplice come un sospiro e profonda come un dramma: la voce di Cristo che anche oggi, e oggi più che mai, ripete: vieni e seguimi…” (San Paolo VI).

L’obbedienza, quella che ci lascia liberi perché radicati nell’amore, si impara alla scuola della sofferenza del Servo: pur essendo Figlio imparò l’obbedienza dalle cose che patì.

Ci è chiesta una obbedienza radicata nella fede: Per fede, Abramo, chiamato da Dio, obbedì partendo per un luogo che doveva ricevere in eredità, e partì senza sapere dove andava (Eb 11,8).

Per fede, Gesù ripete all’ombra degli ulivi del Getsemani e sotto lo sguardo del Padre: Tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà (Lc 22,42).

E come è bella la fede sincera del centurione lodata da Gesù che, riconoscendo l’autorità del Maestro, esclama: Signore, io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto, ma di’ soltanto una parola e il mio servo sarà guarito. Pur essendo anch’io un subalterno, ho dei soldati sotto di me e dico a uno: “Va’!”, ed egli va; e a un altro: “Vieni!”, ed egli viene; e al mio servo: “Fa’ questo!”, ed egli lo fa” (Mt 8,8-9).

Ed anche noi, con Gesù e come Gesù, ci meravigliamo di una fede così grande (cfr Mt 8,10 ss.).

Ci aiuta il Concilio a cogliere questa dimensione essenziale della vita religiosa: “I presbiteri, dal canto loro, avendo presente la pienezza del sacramento dell’ordine di cui godono i vescovi, venerino in essi l’autorità di Cristo supremo pastore. Siano dunque uniti al loro vescovo con sincera carità e obbedienza. Questa obbedienza sacerdotale, pervasa dallo spirito di collaborazione, si fonda sulla stessa partecipazione del ministero episcopale, conferita ai presbiteri attraverso il sacramento dell’ordine e la missione canonica” (P.O.7).

Chi ascolta nella fede obbedisce e, come Gesù, DONA SENZA MISURA.

La fede e l’amore danno e si danno senza misura.

La fede non calcola; non fa i conti e non fa sconti perché non teme di sprecare: in finem dilexit: li amò sino alla fine (Gv 13,1).

Date e vi sarà dato: una misura buona, pigiata, colma e traboccante vi sarà versata nel grembo, perché con la misura con la quale misurate, sarà misurato a voi in cambio (Lc 6,38).

Invece, chi accumula solo per sé, si danna.

Gesù, Colui che si è fatto obbediente fino alla morte di Croce (Fil 2,8), ci chiama all’obbedienza sincera:

Fate questo in memoria di me (Lc 22,19).

Va’ e fa’ anche tu lo stesso (Lc 10,37).

L’imperativo teologico in Gesù: Andate-Fate, è sempre preceduto da un indicativo teologico: come ho fatto io (Gv 13,15).

Quale grande lezione se vogliamo essere testimoni del Risorto!

Si è maestri nella misura in cui si è testimoni, non come i farisei che dicono e non fanno:  Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno. Legano infatti fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito. Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dalla gente: allargano i loro filattèri e allungano le frange; si compiacciono dei posti d’onore nei banchetti, dei primi seggi nelle sinagoghe, dei saluti nelle piazze, come anche di essere chiamati “rabbì” dalla gente (Mt 23,2-7).

Nella Chiesa ci poniamo come servi o come figli? Fra qualche istante, nel cuore del Rito dell’Ordinazione, risuonerà la domanda:

Prometti a me e ai miei successori filiale rispetto e obbedienza?

Ci possono aiutare i diversi termini per dire il mistero del sacerdozio:

– sacerdote: colui che dà le cose sacre;

– presbitero: anziano nella fede;

– ministro: servitore-aiutante;

– prete (dal francese): uomo sacro.

Ma la sintesi è unica: UOMO DI DIO E UOMO PER GLI UOMINI, figlio d’obbedienza, perché solo chi obbedisce lealmente sa anche comandare correttamente.

L’uomo di Dio DONA SENZA MISURA

– ascolta il grido del povero

– è vicino a chi ha il cuore spezzato

– salva gli spiriti affranti: ecco chi è Gesù, ecco il presbitero che lo vuole imitare!

Trent’anni fa (20 aprile 1993) moriva il Vescovo mons. Tonino Bello, un uomo di Dio, che ci ha insegnato a tenere insieme nel ministero la stola e il grembiule, Dio e l’uomo, la lode e il servizio, l’attenzione al Dio che si è fatto povero e ai poveri di Dio, in una solenne liturgia della fede e della vita.

Oggi ancora ci raggiunge la sua benedizione da quell’altare scomodo, come ebbe a definire il suo letto di sofferenza.

A ben pensare ogni messa, celebrata nell’obbedienza al comando del Signore, è un altare scomodo e che scomoda.

Ha scritto Nicolino Sarale: “Ogni santa messa è un incontro tra cielo e terra, è una penetrazione tremante e appassionata nel Mistero, è un dramma di amore e di dolore, è una crocifissione alla fede nel Dio Uno e Trino e alla speranza nel Cristo incarnato”.

Ora siamo nella Casa della Materdomini, Colei che ha partecipato alla messa del Figlio raccogliendo per noi il suo testamento d’amore. Maria è un’opera d’arte, plasmata da Dio, un monumento alla fede obbediente e, Donna dei nostri giorni, per dirla ancora con mons. Bello.

A Lei noi ripetiamo con le parole di Elisabetta: Beata te che hai creduto! Si, perché anche noi con tutte le generazioni la chiamiamo Beata.

Accanto al grande fuoco della Pasqua e della Pentecoste, fedeli al sì obbediente promesso e non ancora consumato, ci rivolgiamo al Signore:

Signore, fa’ di noi figli obbedienti, presbiteri radicati nell’obbedienza della fede, con un orecchio teso verso di Te e l’altro verso le domande della storia, in ascolto delle lacrime e delle gioie dei nostri fratelli e sorelle, in obbedienza e pace:

fa’ di noi

pietre vive e preziose,

scolpite dallo Spirito

con la Croce e il martirio

per la città dei Santi (Inno Liturgia)

Amen, Alleluia.

 

+ Giuseppe Giudice, vescovo

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