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E la sua casa siamo noi

E la sua casa siamo noi (Eb 3,6): gli Orientamenti pastorali 2022/2023 del vescovo Giuseppe Giudice alla Diocesi di Nocera Inferiore-Sarno   Carissimi, il secondo anno del Cammino sinodale ci vedrà ancora impegnati sul tema dell’ascolto, con l’impegno però a…

E la sua casa siamo noi (Eb 3,6): gli Orientamenti pastorali 2022/2023 del vescovo Giuseppe Giudice alla Diocesi di Nocera Inferiore-Sarno

 

Carissimi,

il secondo anno del Cammino sinodale ci vedrà ancora impegnati sul tema dell’ascolto, con l’impegno però a passare da un ascolto generalizzato ad un ascolto sempre più partecipato e circoscritto, capace di mordere la realtà e aprire cantieri per la costruzione ecclesiale.

Per non disperderci nel vasto mare della comunicazione solo verbale, possiamo assumere come icona il tema della casa, come ci viene indicato anche dai suggerimenti emersi durante l’ultima Assemblea Generale della CEI (23/27 maggio 2022).

Casa per dire l’ambiente ordinario e familiare dove la vita si svolge, con le sue gioie e le sue angosce, con i suoi punti interrogativi ed esclamativi, e dove è reso quasi visibile il contatto e il contrasto tra le generazioni.

E la sua casa siamo noi, ci ricorda l’autore della Lettera agli Ebrei, per andare oltre i mattoni, le mura e le strutture e assumere la centralità e il dono delle persone, da proteggere e frequentare per poterle abitare.

La casa più bella, senza le persone, rischia di essere vuota, spazzata e adorna (Mt 12,44), piccolo museo senza vita, magazzino abbandonato, soffitta della memoria, spazio con visibile il cartello “fittasi”.

Una casa per essere tale ed abitabile, deve essere solida; per questo siamo sempre chiamati a verificare se costruiamo sulla roccia o sulla sabbia (cfr Mt 7,24-27), mettendo anche in conto che, non poche volte, nemici dell’uomo saranno quelli della sua casa (Mt 10,36).

Gesù, non avendo dove posare il capo (cfr Lc 9,58), si è fermato in tante case facendole diventare attuali pagine di Vangelo, e facendo della casa il luogo degli amici, della cura, della condivisione, della mano tesa, e lo spazio per la costruzione della Chiesa domestica.

Ripartiamo dalla casa e dalle case per ricucire i nostri rapporti, curare le relazioni ed educarci al dialogo tra le generazioni che, se vuole raggiungere le frontiere del mondo e le diverse periferie, deve necessariamente ricominciare dalla casa.

Come ritornano necessarie e ricche di stupore le parole pronunciate da San Paolo VI a Nazareth il 5 gennaio 1964: “La casa di Nazareth è la scuola dove si è iniziati a comprendere la vita di Gesù, cioè la scuola del Vangelo. Qui si impara ad osservare, ad ascoltare, a meditare, a penetrare il significato così profondo e così misterioso di questa manifestazione del Figlio di Dio tanto semplice, umile e bella. Forse anche impariamo, quasi senza accorgercene, ad imitare.

Qui impariamo il metodo che ci permetterà di conoscere chi è il Cristo.

Qui scopriamo il bisogno di osservare il quadro del suo soggiorno in mezzo a noi: cioè i luoghi, i tempi, i costumi, il linguaggio, i sacri riti, tutto insomma ciò di cui Gesù si servì per manifestarsi al mondo.

Qui tutto ha una voce, tutto ha un significato. Qui, a questa scuola, certo comprendiamo perché dobbiamo tenere una disciplina spirituale, se vogliamo seguire la dottrina del Vangelo e diventare discepoli del Cristo. Oh! come volentieri vorremmo ritornare fanciulli e metterci a questa umile e sublime scuola di Nazareth! Quanto ardentemente desidereremmo di ricominciare, vicino a Maria, ad apprendere la vera scienza della vita e la superiore sapienza delle verità divine! Ma noi non siamo che di passaggio e ci è necessario deporre il desiderio di continuare a conoscere, in questa casa, la mai compiuta formazione all’intelligenza del Vangelo. Tuttavia non lasceremo questo luogo senza aver raccolto, quasi furtivamente, alcuni brevi ammonimenti dalla casa di Nazareth.

In primo luogo essa ci insegna il silenzio. Oh! se rinascesse in noi la stima del silenzio, atmosfera ammirabile ed indispensabile dello spirito: mentre siamo storditi da tanti frastuoni, rumori e voci clamorose nella esagitata e tumultuosa vita del nostro tempo. Oh! silenzio di Nazareth, insegnaci ad essere fermi nei buoni pensieri, intenti alla vita interiore, pronti a ben sentire le segrete ispirazioni di Dio e le esortazioni dei veri maestri. Insegnaci quanto importanti e necessari siano il lavoro di preparazione, lo studio, la meditazione, l’interiorità della vita, la preghiera, che Dio solo vede nel segreto.

Qui comprendiamo il modo di vivere in famiglia. Nazareth ci ricordi cos’è la famiglia, cos’è la comunione di amore, la sua bellezza austera e semplice, il suo carattere sacro ed inviolabile; ci faccia vedere com’è dolce ed insostituibile l’educazione in famiglia, ci insegni la sua funzione naturale nell’ordine sociale. Infine impariamo la lezione del lavoro. Oh! dimora di Nazareth, casa del Figlio del falegname! Qui soprattutto desideriamo comprendere e celebrare la legge, severa certo, ma redentrice della fatica umana; qui nobilitare la dignità del lavoro in modo che sia sentita da tutti; ricordare sotto questo tetto che il lavoro non può essere fine a se stesso, ma che riceve la sua libertà ed eccellenza, non solamente da quello che si chiama valore economico, ma anche da ciò che lo volge al suo nobile fine; qui infine vogliamo salutare gli operai di tutto il mondo e mostrar loro il grande modello, il loro divino fratello, il profeta di tutte le giuste cause che li riguardano, cioè Cristo nostro Signore”.

Poiché l’ascolto sinodale è finalizzato all’evangelizzazione, altrimenti è perdita di tempo, flatum vocis, e per non rimanere fine a se stesso, è bene mettere in conto due atteggiamenti, il rifiuto e l’accoglienza, che sono spesso frutti diversi del medesimo ascolto.

Due testi del Vangelo ci possono aiutare per approfondire questi due atteggiamenti:

il rifiuto di Nazareth (cfr Lc 4,13-30);

e l’accoglienza di Betania (cfr Lc 10,38-42).

Ci consoli lo Spirito affinché il primo atteggiamento non ci deprima, e il secondo non ci esalti.

 

Ma Egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino (Lc 4,30)

Che gesto elegante compie Gesù a Nazareth, insegnandoci un altro aspetto, non meno importante, della evangelizzazione.

L’episodio avviene a Nazareth, dove era stato allevato; cioè nella sua casa: Venne fra la sua gente, ma i suoi non l’hanno accolto (Gv 1,11).

E siamo all’inizio della missione.

È interessante soffermarsi su queste azioni riportate nel testo, che sono come le sequenze di un film (cfr Lc 4,28-30):

 

occhi fissi su di lui

– meravigliati

– pieni di sdegno

– si levarono

– lo cacciarono fuori dalla città

– lo condussero fin sul ciglio del monte

– per gettarlo giù dal precipizio

 

Si passa, in un batter d’occhio, dalla meraviglia al parapiglia; dal sì al no; dall’accoglienza al rifiuto; dalla Domenica delle Palme al Venerdì Santo.

È il Vangelo da cui non possiamo strappare mai le pagine della Croce.

Se nella evangelizzazione non mettiamo in conto la possibilità di imbattersi in questi verbi, in questi passaggi, vuol dire che non annunciamo il Risorto, ma noi stessi; non il Vangelo, ma un nostro ritrovato, una nostra formula magica e non il Crocifisso-Risorto.

Vuol dire che non procediamo e la parola Cammino sinodale può diventare un altro slogan per arricchire il nostro vocabolario ecclesiale, facendo della Chiesa una semplice aggregazione umana.

Sufficit tibi gratia mea (2Cor 12,9): Ti basta la mia grazia ci ripete il Risorto per incoraggiarci nei momenti no, nelle pause, nelle paure, negli inciampi, nei fallimenti, negli ostacoli, negli incidenti, negli imprevisti.

E fidati della grazia pare ripeterci la Vergine sostando ai piedi della Croce perché la potenza si manifesta pienamente nella debolezza.

Il gesto di Gesù che si mette in cammino passando in mezzo a loro non è disprezzo, non curanza, ma grande rispetto per la missione affidatagli dal Padre, la notizia buona che Egli deve portare fino ai confini della terra come Seminatore e Seme.

Niente e nessuno, e tanto meno il peccato, possono ostacolare la corsa del Vangelo.

È il gesto di chi ha la coscienza lucida della missione ricevuta dall’alto, e ripete Non date le cose sante ai cani e non gettate le vostre perle davanti ai porci, perché non le calpestino con le loro zampe e poi si voltino per sbranarvi (Mt 7,6).

 

Il gesto di Gesù, nell’eleganza dello stile, deve diventare sempre più il gesto della Chiesa e dei Discepoli se vogliamo far passare il Vangelo, e non l’involucro, nei sentieri interrotti del nostro tempo e della nostra storia, perciò fate attenzione dunque a come ascoltate (Lc 8,18).

 

Mentre erano in cammino, entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo ospitò (Lc 10,38)

L’icona biblica della casa di Betania ci presenta un’altra scena, complementare per la nostra azione sinodale.

L’una non esclude l’altra, ma entrambe offrono un valido insegnamento.

Mentre Gesù cammina con i dodici e alcune donne, è accolto nella casa di Marta che vive con la sorella Maria e il fratello Lazzaro.

La Chiesa non ha percorsi privilegiati, sopraelevate, tangenziali, ma cammina sulle strade degli uomini, con tutti, e intercetta le loro domande e i loro bisogni. Marta e Maria sono due modi di accogliere il Signore: facendo e ascoltando; due modalità che devono trovare la sintesi nella sola cosa di cui c’è bisogno.

Nella casa, Chiesa domestica, si può sperimentare la prossimità, la fraternità, la capacità di dialogo, vivendo uno accanto all’altro e preoccupandosi dello spazio che ognuno deve avere per non soccombere.

Con la casa, il Vangelo entra nel quotidiano e interroga il nostro modo di vivere nelle faccende domestiche, tra i fornelli e le cose di ogni giorno.

La casa offre ristoro, intimità, capacità di rivedere le relazioni, pause per il riposo.

Bisogna evitare – ed è la lezione di Gesù – l’agitazione per i molti servizi, che fanno dimenticare la centralità della persona. Marta fa bene a preparare; Maria fa bene ad ascoltare; ma Gesù chiede ad entrambe di non assolutizzare il proprio carisma, ma saperlo mettere insieme per evitare aria pesante nella casa e per darle il respiro dell’accoglienza autentica. Non si può servire da soli e né si può ascoltare solo per sé.

La casa chiede comunione e abilita alla missione, passando per la fatica della partecipazione.

Le nostre famiglie e le nostre comunità hanno urgenza di passare dai molti servizi, dall’agitazione alla semplicità di rapporti veri, autentici, fraterni, capaci di attrarre e non di respingere chi passa per Betania.

Tante volte, nel perdere tempo per abbellire e pulire le saliere e i lampadari, ci dimentichiamo di essere sale e luce, e trascuriamo le persone per occuparci solo del loro ruolo.

Le nostre comunità, impegnate in tanti servizi, ci chiedono di formare i servitori, di qualificare il servizio, di rendere accogliente la casa per attrarre con la forza disarmante del Vangelo, che si fa sorriso e sguardo di pace.

Costruiamo comunità gioiose, a cominciare dalla Messa domenicale (fonte del Cammino sinodale) in modo che sia esperienza di fede e di incontro, amicizia tra le generazioni, di ricarica e di gioia per poter, poi, andare a Nazareth e a Betania riconciliati e con la festa nel cuore.

Potremmo scolpire sull’ingresso delle nostre case la frase che l’abate di Cluny fece incidere sul portone del monastero: Porta pandet, sed cor magis! – la porta è larga, spaziosa, accogliente, ma il cuore ancora di più.

Cerchiamo di essere testimoni credibili, accendiamo la nostra luce, non per nasconderla sotto un secchio, ma poniamola sul lucerniere perché faccia luce a tutti quelli che sono nella casa (Mt 5,15).

Maria, Domus aurea, Casa d’oro, abitata dal Verbo di Dio, ci aiuti a fare delle nostre case e delle nostre chiese ambienti sereni e profumati di Vangelo.

Vi benedico

 

Dal Palazzo Vescovile

Nocera Inferiore, 29 giugno 2022

Solennità degli Apostoli Pietro e Paolo

+ Giuseppe Giudice, Vescovo

 

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Orientamenti pastorali 2022-2023

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