Mons. Giuseppe Giudice propone l’icona della Casa che si inserisce nel solco del Cammino sinodale vissuto dalla Chiesa
«E la sua casa siamo noi, per andare oltre i mattoni, le mura e le strutture e assumere la centralità e il dono delle persone, da proteggere e frequentare per poterle abitare».
È l’incipit degli Orientamenti pastorali 2022/2023 che il Vescovo ha inviato quest’oggi alla Diocesi. Mons. Giuseppe Giudice incentra il suo ragionamento sul tema della “Casa”, icona indicata dai suggerimenti emersi durante l’ultima Assemblea generale della CEI dello scorso maggio.
«Casa per dire l’ambiente ordinario e familiare dove la vita si svolge, con le sue gioie e le sue angosce, con i suoi punti interrogativi ed esclamativi, e dove è reso quasi visibile il contatto e il contrasto tra le generazioni», si legge negli Orientamenti.
Perché «la casa più bella, senza le persone, rischia di essere vuota, spazzata e adorna (Mt 12,44), piccolo museo senza vita, magazzino abbandonato, soffitta della memoria, spazio con visibile il cartello “fittasi”».
Dialogo tra generazioni
Il Vescovo invita a ripartire «dalla casa e dalle case per ricucire i nostri rapporti, curare le relazioni ed educarci al dialogo tra le generazioni che, se vuole raggiungere le frontiere del mondo e le diverse periferie, deve necessariamente ricominciare dalla casa».
Mons. Giudice indica due passi evangelici che restituiscono la dimensione casalinga: il rifiuto di Nazareth (cfr Lc 4,13-30); l’accoglienza di Betania (cfr Lc 10,38-42). «Ci consoli lo Spirito affinché il primo atteggiamento non ci deprima, e il secondo non ci esalti», raccomanda il Pastore.
Il rifiuto di Nazareth
Rispetto all’episodio di Nazareth il Vescovo evidenzia: «Si passa, in un batter d’occhio, dalla meraviglia al parapiglia; dal sì al no; dall’accoglienza al rifiuto; dalla Domenica delle Palme al Venerdì Santo. È il Vangelo da cui non possiamo strappare mai le pagine della Croce. Se nella evangelizzazione non mettiamo in conto la possibilità di imbattersi in questi verbi, in questi passaggi, vuol dire che non annunciamo il Risorto, ma noi stessi; non il Vangelo, ma un nostro ritrovato, una nostra formula magica e non il Crocifisso-Risorto. Vuol dire che non procediamo e la parola Cammino sinodale può diventare un altro slogan per arricchire il nostro vocabolario ecclesiale, facendo della Chiesa una semplice aggregazione umana».
L’accoglienza di Betania
L’icona biblica della casa di Betania ci presenta, invece, un’altra scena, complementare per la nostra azione sinodale. «Mentre Gesù cammina con i dodici e alcune donne, è accolto nella casa di Marta che vive con la sorella Maria e il fratello Lazzaro. La Chiesa non ha percorsi privilegiati, sopraelevate, tangenziali, ma cammina sulle strade degli uomini, con tutti, e intercetta le loro domande e i loro bisogni. Marta e Maria sono due modi di accogliere il Signore: facendo e ascoltando; due modalità che devono trovare la sintesi nella sola cosa di cui c’è bisogno».
E così «nella casa, Chiesa domestica, si può sperimentare la prossimità, la fraternità, la capacità di dialogo, vivendo uno accanto all’altro e preoccupandosi dello spazio che ognuno deve avere per non soccombere».
«La casa chiede comunione e abilita alla missione, passando per la fatica della partecipazione. Le nostre famiglie e le nostre comunità hanno urgenza di passare dai molti servizi, dall’agitazione alla semplicità di rapporti veri, autentici, fraterni, capaci di attrarre e non di respingere chi passa per Betania. Tante volte, nel perdere tempo per abbellire e pulire le saliere e i lampadari, ci dimentichiamo di essere sale e luce, e trascuriamo le persone per occuparci solo del loro ruolo».
Le parrocchie formino “servitori”
Rispetto alle nostre comunità, «impegnate in tanti servizi, ci chiedono di formare i servitori, di qualificare il servizio, di rendere accogliente la casa per attrarre con la forza disarmante del Vangelo, che si fa sorriso e sguardo di pace. Costruiamo comunità gioiose, a cominciare dalla Messa domenicale (fonte del Cammino sinodale) in modo che sia esperienza di fede e di incontro, amicizia tra le generazioni, di ricarica e di gioia per poter, poi, andare a Nazareth e a Betania riconciliati e con la festa nel cuore».
Sa. D’An.