Passi sinodali per l’anno 2021/2022
Passi Sinodali. Orientamenti e Prospettive per l’anno pastorale 2021/2022. Il vescovo Giuseppe indica il verbo Ripartire come termine guida dei prossimi mesi. Il riferimento biblico, invece, è quello dell’incontro tra Filippo e l’eunuco
Un angelo del Signore parlò a Filippo e disse: “Àlzati e va’ verso il mezzogiorno, sulla strada che scende da Gerusalemme a Gaza; essa è deserta”. Egli si alzò e si mise in cammino, quand’ecco un Etìope, eunuco, funzionario di Candace, regina di Etiopia, amministratore di tutti i suoi tesori, che era venuto per il culto a Gerusalemme, stava ritornando, seduto sul suo carro, e leggeva il profeta Isaia. Disse allora lo Spirito a Filippo: “Va’ avanti e accòstati a quel carro”. Filippo corse innanzi e, udito che leggeva il profeta Isaia, gli disse: “Capisci quello che stai leggendo?”. Egli rispose: “E come potrei capire, se nessuno mi guida?”. E invitò Filippo a salire e a sedere accanto a lui.
Il passo della Scrittura che stava leggendo era questo: Come una pecora egli fu condotto al macello e come un agnello senza voce innanzi a chi lo tosa, così egli non apre la sua bocca. Nella sua umiliazione il giudizio gli è stato negato, la sua discendenza chi potrà descriverla? Poiché è stata recisa dalla terra la sua vita.
Rivolgendosi a Filippo, l’eunuco disse: “Ti prego, di quale persona il profeta dice questo? Di se stesso o di qualcun altro?”. Filippo, prendendo la parola e partendo da quel passo della Scrittura, annunciò a lui Gesù. Proseguendo lungo la strada, giunsero dove c’era dell’acqua e l’eunuco disse: “Ecco, qui c’è dell’acqua; che cosa impedisce che io sia battezzato?”. Fece fermare il carro e scesero tutti e due nell’acqua, Filippo e l’eunuco, ed egli lo battezzò. Quando risalirono dall’acqua, lo Spirito del Signore rapì Filippo e l’eunuco non lo vide più; e, pieno di gioia, proseguiva la sua strada. Filippo invece si trovò ad Azoto ed evangelizzava tutte le città che attraversava, finché giunse a Cesarèa.
At 8, 26-40
E noi pensiamo di non errare scoprendo nell’uomo d’oggi una profonda insoddisfazione, una sazietà unita ad un’insufficienza, una infelicità esasperata dalle false ricette di felicità dalle quali è intossicato, uno stupore di non saper godere dei mille godimenti che la civiltà gli offre in abbondanza. Cioè egli ha bisogno di un rinnovamento interiore,
quale il Concilio ha auspicato
(San Paolo VI, Udienza Generale, 9 maggio 1973)
- La Chiesa è sempre mandata. Un angelo parla a Filippo, l’apostolo, la Chiesa: Alzati e va verso il mezzogiorno, sulla strada che scende da Gerusalemme a Gaza; essa è deserta.
Risorgi e cammina! Rinasci!
Traduciamo con queste parole teologiche il senso del ripartire e di una certa ripartenza che, certamente, non vuol dire riprendere il filo da dove lo abbiamo lasciato, e certi fili è meglio lasciarli per strada, ma si configura come un rinascere.
Gerusalemme è la Città di Dio, della Pasqua, della Cena e della Croce.
Gaza è la città dell’uomo, della gioia e dove si sperimenta il duro mestiere di vivere.
La striscia di Gaza è una zona significativa, strategica, è un groviglio di sorriso e lacrime, poliedro di vita e guerra.
Ma ora la strada è deserta. Immagine eloquente di questo nostro tempo di deserto e continua desertificazione, a tutti i livelli.
Storicamente siamo dopo la Pasqua; a Gerusalemme siamo saliti con il Maestro per celebrare la Pasqua, evento fondante la nostra fede; ma ora, pur avendo sempre Gerusalemme nel cuore, bisogna scendere a Gaza.
Se mi dimentico di te, Gerusalemme,
si dimentichi di me la mia destra;
mi si attacchi la lingua al palato
se lascio cadere il tuo ricordo,
se non innalzo Gerusalemme
al di sopra di ogni mia gioia (Sal 137,5-6).
Senza dimenticare Gerusalemme, ci accorgiamo che le due città sempre si confondono e si confrontano, perché la Chiesa è nel mondo ma non è del mondo (cfr Gv 17).
Si riparte sempre da Gerusalemme, dal Cenacolo, dal luogo della Comunione. Ci rimettiamo in cammino a partire dalla Domenica, Pasqua settimanale, fonte sorgiva della fede, speranza e carità. La conversione pastorale oggi ci chiede di riscoprire la Domenica, e con essa l’eucarestia, come fons e non semplicemente come culmen.
Nondimeno la liturgia è il culmine verso cui tende l’azione della Chiesa e, al tempo stesso, la fonte da cui promana tutta la sua energia. Il lavoro apostolico, infatti, è ordinato a che tutti, diventati figli di Dio mediante la fede e il battesimo, si riuniscano in assemblea, lodino Dio nella Chiesa, prendano parte al sacrificio e alla mensa del Signore. A sua volta, la liturgia spinge i fedeli, nutriti dei «sacramenti pasquali», a vivere «in perfetta unione»; prega affinché «esprimano nella vita quanto hanno ricevuto mediante la fede»; la rinnovazione poi dell’alleanza di Dio con gli uomini nell’eucaristia introduce i fedeli nella pressante carità di Cristo e li infiamma con essa. Dalla liturgia, dunque, e particolarmente dall’eucaristia, deriva in noi, come da sorgente, la grazia, e si ottiene con la massima efficacia quella santificazione degli uomini nel Cristo e quella glorificazione di Dio, alla quale tendono, come a loro fine, tutte le altre attività della Chiesa (SC 10).
Certamente, come ci ricorda il Concilio, essa è fons et culmen; ma forse ora è bene evidenziare la fonte per poter ripartire con il piede giusto. E mi spiego.
- Tutta la nostra pastorale è uno sforzo immane, e i frutti sono sotto gli occhi di tutti, per andare verso, per preparare, per accedere alla vita cristiana e ai sacramenti. Quanto tempo ed energia impieghiamo e, man mano che si raggiunge il culmen, la meta, rimaniamo sempre più pochi, soli e vuoti: essa è deserta. Ed oggi, dopo il terremoto pandemico, ancora di più sperimentiamo la fatica della presenza.
Ripartiamo dalla Domenica, dal primato della grazia, da Gerusalemme, da una messa sobria e solenne, durante la quale possiamo sperimentare la presenza del Risorto e una ministerialità diffusa (cfr Ministeri laicali: lettorato, accolitato, catechista). – Papa Francesco: Spiritus Domini; Antiquum Ministerium.
Ripartiamo dalla Domenica come primo giorno della settimana per riapprodare ancora alla Domenica, dopo aver attraversato il deserto dei giorni feriali. Da Domenica a Domenica, da Pasqua a Pasqua, dal primo all’ottavo giorno; ripartiamo dal senso vero della festa che è Cristo, perché Egli è la festa della Chiesa.
Ecco, la prima indicazione concreta, e fortemente motivata dal punto di vista teologico e spirituale.
Da dove ripartiamo? Dalla Domenica, da Gerusalemme, non senza aver ricompreso il dono e la portata sovversiva di questo giorno: O giorno radioso e splendido del trionfo di Cristo!
(cfr CEI: Il giorno del Signore, 15 luglio 1984; San Giovanni Paolo II: Dies Domini, 31 maggio 1988 e Mane nobiscum, Domine, 7 ottobre 2004; Mons. Giuseppe Giudice: Esortazione Pastorale Frumento di Cristo, 19 novembre 2020).
È intorno all’altare che dobbiamo incontrarci nuovamente e riscoprirci famiglia di Dio; come comunità cristiana da esso si può ripartire.
- Per rimetterci in cammino e raggiungere Gaza dobbiamo liberarci dai pesi, dalle zavorre, dal di più, da una pastorale appesantita e che appesantisce condizionando il cammino. Si cammina se si è semplici e leggeri, non appesantiti e impediti da ingombri vari. Leggerezza, che non è superficialità, ma dono dello Spirito.
- Sulla strada ecco un eunuco, etiope, funzionario: esprime al massimo la ricchezza e la povertà di ogni uomo che è in cammino. Un uomo che possiede tutto, ma è tanto fragile perché incapace di generare. A volte, come tante nostre realtà.
Pare che, oggi, l’inverno non sia solo demografico, ma anzitutto spirituale, in una circolarità che sta minando le stesse fondamenta del generare.
Egli sta leggendo il Profeta Isaia e Filippo, mandato dallo Spirito, lo raggiunge.
Sta andando a Gerusalemme per il culto, ma l’annuncio lo raggiunge lungo la via, per strada. La strada è sempre il luogo dell’incontro, degli incontri, positivi o negativi. Anche Gesù si è definito strada: Io sono la via (Gv 14,6), e su questa via ecco l’homo viator.
Capisci quello che stai leggendo?
La Chiesa, prima di dare risposte e per poter rispondere, deve domandare, deve chiedere, deve intercettare le domande dei viandanti.
E come lo potrei se nessuno mi istruisce?
Bellissima risposta e bellissima domanda. L’eunuco nella sua fragilità riconosce che ha bisogno di un istruttore, maestro, catechista, testimone, di un altro per entrare nel mistero. Ogni uomo se vuole camminare nella fede ha bisogno di un mistagogo.
- Per la nostra istruzione, catechesi, formazione, mistagogia più che preoccuparci degli spazi – aule – dobbiamo pensare a coloro che istruiscono, e lo devono fare lungo la via, dopo aver partecipato alla Cena nel cenacolo di Gerusalemme. È da recuperare la diaconia della strada, quasi a dire che i soliti ambienti chiusi non aiutano più, ma bisogna cercare luoghi aperti all’incontro e al dialogo.
Che ne è della nostra formazione e della nostra catechesi?
Come mai non attrae più e si fa fatica a trasmettere, a generare?
Forse perché, non partendo dalla Domenica, siamo anche noi viandanti senza meta, e non accompagnatori appassionati?
Forse, perché abbiamo perso il gusto sapido del Vangelo e tutto scade a semplici certificati?
- E invitò Filippo a salire e a sedersi accanto a lui.
Filippo è invitato; la Chiesa si propone e non si impone; l’istruttore è umile e non saccente; umile operaio nella vigna del Signore (Benedetto XVI).
- Il passo della scrittura presenta il Servo sofferente. È singolare che, lungo la strada, il contenuto dell’annuncio è il mistero della sofferenza.
Abbiamo sperimentato durante il Covid-19 la nostra impotenza dinanzi alla sofferenza e alla morte. Educati ad una scienza senza sapienza, cresciuti pensando di essere onnipotenti, avendo relegato la morte dietro ad un paravento, ci siamo trovati impreparati, con parole insipide, mentre la gente attendeva da noi una parola sapida, saporosa e sapiente, condita di Vangelo.
Non poche volte, e facendo le debite differenze, forse abbiamo avuto paura, ci siamo chiusi dentro, lasciando altri a gestire i nostri affetti, i nostri cari, gli anziani e i morti.
- Ecco che il tema della sofferenza e della morte, di cui la Chiesa è maestra per istituzione, cacciato dalla finestra da una cultura contro l’uomo, è rientrato dalla porta e ci ha trovati smarriti, impreparati, a volte burocrati o semplici operatori sanitari.
Tutte le battaglie per il fine vita sono diventate, all’improvviso, sforzi per proteggere la vita.
Dove si nasce, si soffre e si muore la Chiesa non può essere assente; è una delle vie – certamente la più delicata – sulla quale siamo invitati come apostoli per salire sul carro della sofferenza e, alla luce della Parola, dare un senso e un significato rimanendo accanto; e solo allora, a partire dal quel passo, si può annunciare la buona novella di Gesù. Non sottovalutiamo la pandemia interiore, dell’anima, che ha colpito tanti. Il vaccino servirà a curare e prevenire, ma non congeliamo i danni interiori, i cui sintomi non sempre sono immediati dopo una tragedia. Come Chiesa, esperta in umanità e in anima, dobbiamo attrezzarci per accompagnare e prenderci cura.
- La Domenica ci rimette in strada: Dopo aver cantato l’inno, uscirono verso il monte degli Ulivi (Mt 26,30); per questo motivo le “aulette” di catechismo non bastano più, possono essere solo l’inizio di un cammino di formazione che, a partire dalla famiglia, deve intercettare i sentieri dell’umano.
Paradossalmente devono crollare le mura, per far crescere le comunità e le persone.
Se cominciamo a ragionare così allora… la Rivista Diocesana, il Teatro, il Cinema, il Museo, gli Archivi, le Biblioteche, i Luoghi della Cultura, la Scuola, l’Ospedale, i Luoghi dello Sport, il Mondo della Comunicazione, i Bar, le Spiagge, i Siti dell’Arte, etc. possono diventare i carri sui quali possiamo salire per aprire la mente all’intelligenza delle Scritture (cfr Lc 24,45) e contagiare il senso e il bisogno della Domenica.
Così l’eucarestia, raccogliendo tutti gli spazi del vivere, si allarga a cerchi concentrici, per incontrare la gente e riaccompagnarla verso l’altare, dando a tutta la pastorale un forte impulso missionario – ecumenico.
- Ecco qui c’è acqua: che cosa mi impedisce di essere battezzato?
Ecco qui c’è acqua, pane, olio, sale, vino, in poche parole ci sono i segni di Gesù; ed ecco che i sacramenti vengono recuperati lungo la strada, in una rielaborazione lenta e faticosa, senza contrapposizione tra evangelizzazione e sacramenti.
Bisogna tenere sempre insieme, questi e quelli: i segni della Chiesa che sono i sacramenti e i segni del Regno. Andate e riferite a Giovanni ciò che avete visto e udito: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciata la buona notizia (Lc 7,22).
Il linguaggio dei segni che in-segnano, in un tempo di nuovo analfabetismo, può essere la cifra per educare a riprendere il filo educativo delle relazioni.
Per questo motivo, i Santi parlano sempre!
Il carro si ferma, Filippo e l’eunuco scendono e si celebra il sacramento (cfr At 8,38). Immersi nella fede della Chiesa siamo chiamati a rileggere con più attenzione il libro della Parola, il libro della Creazione e il libro del Fratello.
- Filippo se ne va rapito dallo Spirito del Signore, perché deve annunciare in un’altra città: evangelizzava tutte le città che attraversava.
L’eunuco non lo vide più e proseguì pieno di gioia il suo cammino.
I sacramenti si celebrano non per tenere la gente con noi, quasi per fare gruppi autoreferenziali, ma per poter continuare il cammino con gioia, che è sempre il cammino lungo la strada della vita e per dare ai credenti il carburante adatto e necessario per il cammino.
- Ecco che questa pagina degli Atti ci può aiutare a ri-partire, a rimetterci in viaggio, a riscoprire la dimensione esodale della vita cristiana dove c’è sempre un Egitto da lasciare e una terra promessa verso la quale incamminarsi.
La Chiesa di Nocera Inferiore-Sarno si vuole porre sulla strada che da Gerusalemme scende a Gaza in una Scuola di Formazione Permanente (SFP), di cui daremo i tempi, le modalità e i contenuti. Vogliono essere piste aperte da percorrere insieme per un cammino sempre nuovo e sorprendente.
Ripartire dalla Domenica, dalla Parola, dai Sacramenti, cioè dal primato di Dio nella nostra vita, ma con uno stile nuovo e rinnovato. Non è più possibile restare chiusi in casa e aspettare, quasi sbarrati in schemi vecchi, ma andare per le strade, cioè nei luoghi di vita, e salire sui carri dove incontriamo l’uomo questuante, e specialmente sui carri che pensiamo non adatti o non consoni alla nostra idea di sacralità. È questo lo stile sinodale – strada percorsa insieme – a cui ci sprona il Santo Padre e che la Chiesa italiana vuole attuare nei prossimi anni.
Il cammino sinodale, che è uno stile, ci richiama sempre alla pedagogia di Emmaus, pagina evangelica alla quale fa bene sempre ritornare ed attingere per riprendere i passi sinodali.
Ripartire da relazioni semplici, vere, profonde, capaci di pazienza e di ascolto, senza la fretta di voler arrivare subito, evitando la frenesia del tutto e subito.
Riscoprire la semplicità dei fanciulli che – per citare Leopardi – “trovano il tutto nel nulla, mentre gli uomini il nulla nel tutto”.
Ripartire da una pastorale capace di accompagnare la gente nel suo faticoso cammino, evitando di imporre altri pesi. Ripartire senza dare nulla per scontato; senza richiamare o inveire; senza perdere la pazienza; senza pretendere frutti dove non abbiamo seminato; senza scoraggiare nel cammino; senza presentarsi come padroni della grazia, ma semplici ed umili amministratori; senza usare due pesi e due misure e senza la presunzione che il nostro punto di vista sia sempre il migliore.
Questo tempo ci chiede di cambiare non il Vangelo, non i Sacramenti, non la Chiesa ma – come in ogni epoca di transizione – cambiare il nostro cuore, convertirci, e rimetterci in cammino quali testimoni del Risorto, con un cuore che arde lungo la strada (cfr Lc 24,32). Confronta il Progetto seme divento della Cei per accompagnare gli adolescenti in questa ripresa post pandemica.
Per far circolare nei nostri ambienti la gioia della pastorale, bisogna investire molto sulla pastorale della gioia, sapendo che essa si sprigiona da comunità nate dal soffio dello Spirito, il quale come il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai da dove viene né dove va (Gv 3,8).
Comunità oranti ed adoranti che, prima di andare, perdono molto tempo con il Signore e davanti al Signore. Comunità radicate nella preghiera che diventano vere oasi spirituali per i tanti viandanti e naufraghi della vita. Comunità che si impegnano a formarsi e a formare, non per stazionare, ma per andare rimanendo nel Signore (Gv 15,4). Comunità gioiose che, alla scuola di Maria e dei Santi, attingono a piene mani alla fonte della gioia perché abbiano in se stessi la pienezza della mia gioia (Gv 17,13).
Comunità che camminino, e che non restino bloccate nelle processioni che – per dirla con la saggezza dei nostri anziani – tante volte la cera si consuma e la processione non cammina; immagine di comunità stanche e ripetitive che non sanno cogliere le opportunità e le novità che vengono dai segni dei tempi (cfr Alessandro Pronzato, Stanchi di non camminare).
Dopo il Covid-19 – e convivendo con esso e tanti altri virus – ci è chiesta una pastorale di accompagnamento sulla strada che scende da Gerusalemme a Gaza perché abbiamo compreso che prendersi cura è ben di più che curare, quasi finestra aperta sugli orizzonti della santità.
“Possa il mondo del nostro tempo, che cerca ora nell’angoscia, ora nella speranza, ricevere la Buona Novella non da evangelizzatori tristi e scoraggiati, impazienti e ansiosi, ma da ministri del Vangelo, la cui vita irradii fervore, che abbiano per primi ricevuto in loro la gioia del Cristo, e accettino di mettere in gioco la propria vita affinché il Regno sia annunziato e la Chiesa sia impiantata nel cuore del mondo” (Evangelii Nuntiandi, 80).
Dalla Cattedrale di San Prisco
Nocera Inferiore, 6 giugno 2021
Solennità del Corpus Domini
+ Giuseppe Giudice, Vescovo
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