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La vostra tristezza si cambierà in gioia

La vostra tristezza si cambierà in gioia: l’omelia nel decimo anniversario della consacrazione episcopale di mons. Giuseppe Giudice     la vostra tristezza si cambierà in gioia (Gv 16,20)     Sorelle e fratelli, Chiesa pellegrina in Nocera Inferiore-Sarno,  …

La vostra tristezza si cambierà in gioia: l’omelia nel decimo anniversario della consacrazione episcopale di mons. Giuseppe Giudice

 

 

la vostra tristezza si cambierà in gioia (Gv 16,20)

 

 

Sorelle e fratelli,

Chiesa pellegrina in Nocera Inferiore-Sarno,

 

ogni celebrazione della santa messa è una eucarestia, un rendimento di grazie che, attraverso le mani sacerdotali, dalla terra sale verso il cielo, patria trinitaria.

Ma ci sono delle occasioni nella vita di ognuno di noi – che se fosse possibile si vorrebbero vivere in silenzio! – in cui la messa acquista ancora di più un sapore eucaristico, e si ha la possibilità di raccogliere i tanti chicchi di grano, i tanti acini di uva e ripetere con il salmista:

Che cosa renderò al Signore

per tutti i benefici che mi ha fatto?

Alzerò il calice della salvezza

e invocherò il nome del Signore (Sal 116,12-13).

Alzare il calice, cioè celebrare nella gratitudine, e mettervi tutto dentro, ma proprio tutto: le gioie e i dolori, le omissioni e i ritardi, gli errori e le scelte, e soprattutto le persone che non ci sono più.

Ringraziare vuol dire deporre tutto in questo glorioso calice, mescolato al sangue prezioso (1Pt 1,19), perché nulla vada perduto (Gv 6,12), in modo da poter ripetere con l’Apostolo: Sono pieno di consolazione, pervaso di gioia in ogni nostra tribolazione (2Cor 7,4).

Questo grazie vuole essere corale, ecclesiale, espresso con Voi e per Voi, all’ombra della Madonna di Fatima che, apparendo ai pastorelli il 13 maggio 1917, consegnò loro un forte messaggio di conversione e speranza nel cuore della grande guerra, e messaggio attuale per ogni guerra.

Dieci anni forse non sono molti per la vita del mondo, ma per la nostra piccola storia sono qualcosa, specialmente se vissuti con trasporto ed intensità, in cammino e in comunione con la Chiesa di cui, senza alcun merito, siamo diventati Pastori.

Grazie sempre e soprattutto al Signore che ci consegna il Vangelo della gioia, affinché la gioia del Vangelo si diffonda negli ambienti di vita, dove Egli ancora in questa celebrazione ci ripete: la vostra tristezza si cambierà in gioia (Gv 16,20).

Donde la gioia?

Vorrei che questa domanda, come un filo sottile, potesse attraversare tutta questa celebrazione, e portarcela a casa come un interrogativo e una santa inquietudine.

Sì, la gioia come un dono eucaristico, come un profumo che si diffonde!

Un momento della celebrazione

Sappiamo che la gioia cristiana fiorisce e verdeggia sul tronco della Croce; e porta fiori e frutti nelle stagioni di Dio, e che solo Dio conosce.

La gioia cristiana è un dono dello Spirito Santo (cfr Gal 5,27), da implorare in ginocchio e da accogliere con cuore umile e docile.

Dono del Risorto, viene dall’alto e da un Altro, e si nasconde come tesoro e perla preziosa (cfr Mt 13, 44-45) nel terreno della nostra vita e della storia.

I Santi, canonizzati o della porta accanto, ci possono insegnare il segreto della gioia cristiana; essi sono maestri attendibili di fiducia e speranza, anche e soprattutto quando il sottilissimo filo della gioia è sotterrato e, intorno a noi, spira il vento della Passione.

In un cuore amante vanno tenuti insieme, in un unico abbraccio, Capo e Corpo: se si ama veramente Cristo, solo allora si ama veramente anche la Chiesa, perché non si può amare l’anima e disprezzare e offendere il corpo.

Sant’Agostino mette sulle labbra del Signore Gesù espressioni di questo tipo: “Sono salito al cielo, ma rimango ancora sulla terra; lì siedo alla destra del Padre, qui ancora patisco la fame, ho sete e sono pellegrino…

Ecco dove rimango, io che ascendo.

Ascendo sì, perché sono il capo, ma il mio corpo resta ancora quaggiù.

Dove? Per tutta la terra.

Stai attento a non colpirlo, a non violarlo, a non calpestarlo” (Sant’Agostino, Trattati sulla prima lettera di Giovanni: 10,9).

 

Concreto, vero e leale è l’amore a Cristo, se è amore anche alla Chiesa, questa Chiesa, la Chiesa del Concilio, oggi la Chiesa di Francesco e Giuseppe, la Chiesa nostra, semper reformanda, ma giovane e bella (cfr LG,4).

Se si ama il Padre, si deve amare anche la Madre, perché “Non può avere Dio per Padre chi non ha la Chiesa per Madre” (Cipriano); solo l’amore converte, guarisce, riabilita, rimette in carreggiata dopo ogni sbandata, e dona la vera gioia.

Proprio quaranta anni fa (13 maggio 1981) Piazza San Pietro si trasformò in calice per accogliere il sangue di San Giovanni Paolo II; la dimensione materna della Chiesa si espresse nuovamente nell’abbraccio ecclesiale, significato dal colonnato del Bernini, capace di amare ovunque e in ogni epoca usque ad sanguinis effusionem.

La gioia cristiana, sgorgata dalla Croce, ha bisogno di uno sguardo limpido, semplice, appassionato, struggente, sul mondo, sulla vita, su se stessi, e si esprime in un cuore contento e che si accontenta, non esaltato e né depresso, nonostante le tempeste e gli imprevisti del cammino.

“Questa gioia, quaggiù, includerà sempre in qualche misura la dolorosa prova della donna nel parto, e un certo abbandono apparente, simile a quello dell’orfano: pianti e lamenti, mentre il mondo ostenterà una soddisfazione maligna. Ma la tristezza dei discepoli, che è secondo Dio e non secondo il mondo, sarà prontamente mutata in una gioia spirituale, che nessuno potrà loro togliere” (San Paolo VI, Gaudete in Domino, 3)

La gioia promessa da Gesù si realizza la sera di Pasqua: E i discepoli gioirono al vedere il Signore (Gv 20,20).

E da quella sera la gioia diventa contenuto essenziale dell’annuncio evangelico; per cui la Chiesa, se vuole essere fedele al suo Maestro, mai può sottrarsi ad evangelizzare la gioia piena (cfr Gv 16,24), introdotta da Gesù in questa valle di lacrime.

Mi piace raccogliere dal Libro di Dio tre piccole parole, che mi sembrano essere presenti in ogni vita consacrata e, specialmente, nella vita di un Vescovo.

Hosanna (Mt 21,9) – Crucifige eum (Mc 15,13) – Mane nobiscum, Domine (Lc 24,29)

 

  • La vita, ed ogni vita che si fa dono e offerta, comincia sempre con un ingresso festoso, tra rami di ulivo, palme e mantelli stesi a terra, e gente che grida Hosanna (cfr Mt 21,8-9).

Così è l’incipit di ogni vita e di ogni vocazione, di ogni storia che vuol dirsi cristiana. Tutto comincia con una festa; mentre commentano i nostri anziani con serena saggezza: è il tempo della settimana della sposa!

 

  • Poi, mentre Gerusalemme si staglia sempre più all’orizzonte come la città della Pasqua, la scena comincia a cambiare.

La madre dei figli di Zebedeo si avvicina per chiedere qualcosa (Mt 20,20); gli altri dieci si indignano (Mt 20,24); il Maestro ha scelto i suoi sulla riva di un lago; predicando e guarendo, compie gesti semplici ma significativi e, nel frattempo, racconta parabole, mentre il potere si agita.

La folla osannante, mentre si addensano le ombre della Passione, si fa vociante e ripete Crucifige eum, e sceglie Barabba. Barabba era un brigante (Gv 18,40).

Pietro, dopo la guarigione dello storpio, leggerà con intuito spirituale, magistero del primo papa: voi invece avete rinnegato il Santo e il Giusto, e avete chiesto che vi fosse graziato un assassino. Avete ucciso l’autore della vita, ma Dio l’ha risuscitato dai morti: noi ne siamo testimoni (At 3,14-15).

Sempre, e per questo possiamo e dobbiamo rimanere sereni nel nostro ministero, nella storia della Chiesa e del mondo si confondono i due cori: Hosanna e Crucifige!

 

  • Ma c’è una terza parola, carissimi, che viene a mettere ordine e a far recuperare il cammino con il Maestro, dando ad esso lo spessore della fede.

Quando arriva la sera, e le sere si fanno più lunghe senza coloro che amiamo, e abbiamo ormai sperimentato che senza di Lui non si può far nulla (cfr Gv 15,15); quando – come canta Dante –

Era già l’ora che volge il disio
ai navicanti e ‘ntenerisce il core
lo dì c’han detto ai dolci amici addio;

e che lo novo peregrin d’amore
punge, se ode squilla di lontano
che paia il giorno pianger che si more;

(Dante, Divina Commedia, Purgatorio, Canto VIII, 1-6),

sboccia dal cuore dei due di Emmaus e dalla Comunità la preghiera più bella: Mane nobiscum, Domine!

Hanno e abbiamo fatto esperienza della solitudine senza il Maestro; abbiamo ormai coscienza dei nostri limiti e delle ferite; ci siamo accorti che sulla sabbia la casa non regge, e il cuore convertito passa dalla vocazione all’invocazione: Rimani con noi!

E sperimentiamo che la gioia per noi nasce dalla saggezza spirituale, sintesi del mistero pasquale: non esaltarsi con gli osanna; non deprimersi con i crucifige, ma tutto ricomporre sulla strada di Emmaus in quella stupenda preghiera vespertina con la presenza del Risorto.

 

Il Vescovo con la cornice regalata dai sacerdoti

Carissimi,

per dire Grazie e per mettere ognuno in condizioni di ringraziare, aiutatemi a sostenere la sarcina episcopale in un tempo non facile per la Chiesa e per il mondo, ma che può essere felice.

Ancora sant’Agostino in un Discorso nell’anniversario della sua ordinazione episcopale, sperimentando la fatica del ministero, scrive:

“Bisogna riprendere gli inquieti, incoraggiare i timidi, sostenere i deboli, confutare gli oppositori, guardarsi dagli insidiatori, istruire gli ignoranti, scuotere i pigri, calmare gli ostinati, reprimere gli orgogliosi, rappacificare i litigiosi, soccorrere i poveri, liberare gli oppressi, approvare i buoni, sopportare i cattivi, amare tutti (Sant’Agostino, Discorso 340).

E sant’Ambrogio di rimando:

“Voi pensate: i tempi sono cattivi, i tempi sono pesanti, i tempi sono difficili. Vivete bene e muterete i tempi”

Ecco il segreto di una vita riuscita e consegnata al Signore: amare sempre, amare tutti, vivere bene, amare anche questi tempi difficili e in questi tempi difficili e, convertendo se stessi e i tempi, amare la Chiesa, perché è il suo amore che ci fa vivere.

Sostenuto dalla grazia, alla scuola di Maria, Causa della nostra gioia e dei nostri Santi, continuerò a farlo con entusiasmo, contribuendo a fabbricare le tende con l’aiuto di Aquila e Priscilla (cfr At 18,3), tende quale segno profetico di comunità accoglienti e di Chiesa aperta sul territorio; fino al giorno in cui vorremmo sentire, come rivolta a tutti, la parola del Maestro: sei stato fedele… prendi parte alla gioia del tuo padrone (Mt 25,21).

 

Vi benedico

+ Giuseppe Giudice, Vescovo

 

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