Insieme per guarire il mondo
Il numero di settembre è in distribuzione: l’editoriale di Insieme per riflettere sulla tragedia consumatasi il 2 settembre scorso a Roccapiemonte.
di Salvatore D’Angelo
Non è facile commentare a caldo della tragedia consumatasi il 2 settembre a Roccapiemonte. Sapere che un bambino è stato gettato tra le aiuole poco dopo la sua nascita strazia il cuore. È inconcepibile.
Non vogliamo scendere nei particolari giudiziari, nella cronaca. Non sappiamo, mentre scrivo, cosa stesse vivendo quella madre; non conosciamo l’humus familiare; ignoriamo lo status psicologico. Una domanda però possiamo e dobbiamo farcela. Può la vita essere trattata in questo modo? No. Non può essere scaraventata tra i rifiuti, né in quelli di un cassonetto stradale e neppure in un cestino di sala operatoria.
Quando lo scorso 19 luglio un neonato fu lasciato nella culla termica allestita nella parrocchia di San Giovanni Battista a Bari il volto di tutti si rigò di lacrime. Erano di gioia, meraviglia, commozione e speranza. Quei genitori lasciarono il loro Luigi con accanto un biglietto: «Mamma e papà ti ameranno per sempre». Donarono una nuova vita al loro pargoletto.
Davanti a noi si presentano la strada del bene e quella del male. La prima, anche se costa fatica, edifica. La seconda, che istintivamente può richiedere meno energie, nel tempo segna e logora. Siamo liberi di scegliere. Ma Gesù ci insegna la strada del bene. Non si può che scegliere la prima opzione.
Mentre scrivo mi interrogo anche sui giudizi sommari che animano la rete in merito a questa vicenda. Sempre la solita cattiveria, quasi non sorprende. Scaraventiamo le nostre pietre su questa famiglia. Il loro gesto è incomprensibile, ingiustificabile. Allo stesso tempo non autorizza la violenza verbale. Scacciare il male con il male. Che frustrazione.
Una tragedia che è anche conseguenza dell’individualismo, della solitudine.
Oggi siamo chiusi nei nostri appartamenti lasciando fuori la condivisione. Non cerchiamo aiuto, né vogliamo darlo. Il cortile – dove pure si spettegolava – era veicolo di solidarietà. La pena portata nel cuore sarebbe stata intuita, intercettata, canalizzata verso il bene.
Quando un bambino è buttato nella spazzatura o si consente di uccidere di botte un figlio, o si picchia a morte la propria moglie, vuol dire che siamo vittime di una grande solitudine. Quella personale e quella comunitaria.
Cambiamo rotta. Riscopriamoci fratelli.
Diamo nuovo volto alla nostra società. Accogliamo l’invito di papa Francesco arrivato durante l’udienza generale del 12 agosto scorso: «Se non ci prendiamo cura l’uno dell’altro, a partire dagli ultimi, da coloro che sono maggiormente colpiti, incluso il creato, non possiamo guarire il mondo. Egli ci ha creati non come oggetti, ma come persone amate e capaci di amare. Chiediamo, dunque, al Signore di darci occhi attenti ai fratelli e alle sorelle. Come discepoli di Gesù non vogliamo essere indifferenti né individualisti. Possa il Signore “restituirci la vista” per riscoprire che cosa significa essere membri della famiglia umana».