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Mons. Illiano: il ricordo del 5 maggio 1998

Mons. Gioacchino Iliano, vescovo emerito della Diocesi di Nocera Inferiore-Sarno, in un colloquio con Antonietta Abete ricordava “i giorni del dolore” vissuti durante la frana del 5 maggio 1998 che colpì Sarno, Siano, Bracigliano, Quindici e San Felice a Cancello.…

Mons. Gioacchino Iliano, vescovo emerito della Diocesi di Nocera Inferiore-Sarno, in un colloquio con Antonietta Abete ricordava “i giorni del dolore” vissuti durante la frana del 5 maggio 1998 che colpì Sarno, Siano, Bracigliano, Quindici e San Felice a Cancello. In un’intervista rilasciata nel 2018, nel ventennale della tragedia, ricorda tre immagini di quei giorni

 

Ricordare la frana di Sarno a 82 anni è come aprire un capitolo doloroso della propria vita e della Chiesa locale per lasciarsi di nuovo ferire. Il ricordo emerge attraverso le immagini, tre scene che hanno segnato quei giorni e che fanno parte di quel bagaglio di ricordi indelebili che mons. Gioacchino Illiano porterà per sempre nel cuore.

Il pomeriggio del 5 maggio il Vescovo è a Siano, nella terra in cui è cresciuto ed ha esercito il ministero sacerdotale, quando c’è il primo smottamento con le prime 5 vittime. Rientra a Nocera preoccupato per partecipare a un incontro della Caritas, c’è anche il dottor Raffaele Catalano, responsabile della pastorale degli anziani. Il medico è di Sarno e riceve continue telefonate dalla moglie che lo implora di tornare a casa. Piove tantissimo e a Episcopio c’è stata una prima frana nel pomeriggio. Quella sera, a mezzanotte, perderanno entrambi la vita in viale Margherita.

Le forze dell’ordine chiedono alle persone di rimanere in casa per non bloccare le strade, così il Vescovo segue con apprensione la lunga diretta di Telenuova. Raggiunge Sarno il giorno dopo. Insieme a don Antonio Calabrese – che aveva passato la notte con trenta persone nella Concattedrale di Sarno e solo al mattino era stato portato giù al mercato ortofrutticolo da un elicottero –, accompagnati dalle forze dell’ordine, da Foce salgono a Sarno. La tragedia gli si staglia di fronte nella sua sconvolgente violenza. Ed ecco la prima immagine: tra il fango vede una mamma che stringe al petto il suo bambino, con la faccia rivolta verso il cielo. «Una tragedia nella tragedia», sussurra. I piedi affondano nel fango, dalla grande e sconfinata massa di melma emergono parti di corpi senza vita: mani, braccia, gambe. L’Apocalisse. «Ho sentito il bisogno di pregare».

Ritorna a Nocera e convoca la Caritas, la Forania di Sarno e i frati francescani di Foce: «Chiamai padre Terenzio, allora responsabile della Caritas e insieme a padre Pietro Lombardi e padre Pierluigi Ciocchi stabilimmo il nostro quartiere generale dai Pavoniani, presso la parrocchia Sant’Alfredo. Ciascuno assunse la responsabilità di un settore dell’accoglienza e dei soccorsi. La Chiesa scese immediatamente in campo, offrendo assistenza spirituale e un contributo materiale, in stretta collaborazione con le autorità e la popolazione». La parrocchia Santa Maria delle Grazie, a San Valentino Torio, guidata da don Gaetano Ferraioli, diventa il quartier generale della Caritas che raccoglie e distribuisce mezzi economici e materiali. Tutto dettagliatamente riportato nella pubblicazione “Non solo fango”, curata dalla Caritas diocesana con il contributo della Caritas svizzera: la cronaca degli eventi, quella dei soccorsi e una sezione con i progetti per le zone colpite. “Un libro bianco per una notte nera calata su Sarno – scrive nella prefazione il Vescovo – perché ciò che offende i morti e uccide ancora i vivi è sempre il dimenticare”.

La seconda immagine è legata alla domenica del dolore, quella dei funerali di 95 vittime celebrati il 10 maggio nello stadio comunale alla presenza di numerose autorità politiche. Alle spalle, giornate di fatica e dolore. «Ci siamo preparati per la Celebrazione nello spogliatoio del campo sportivo, c’erano un centinaio di sacerdoti, l’ultimo ad uscire sono stato io. Tra le bare e quel popolo numeroso che piangeva, in mezzo a tutta quella disperazione scorgo una bara piccolissima, sembrava una scatola bianca delle scarpe. Mi sono dovuto aggrappare al pastorale per non cadere, è stato un momento terribile».

Ma il giorno prima era accaduto un fatto straordinario. Roberto  Robustelli, la sera del 5 maggio, mentre cercava di mettere in salvo il papà e la zia era stato trascinato dal fango per molti metri e seppellito in uno scantinato con una radice di albero conficcata in un’ascella. Stavano per tiralo fuori quando una nuova onda di fango lo aveva scaraventato contro il soffitto e dal quel momento era calato il buio più fitto. Era iniziata per il giovane una notte terribile, a fargli compagnia il freddo e la paura. Passano 72 ore, Roberto pensa che si stia avvicinando la morte quando sente gridare il suo nome. È l’8 maggio, ci vorranno 7 lunghe ore per tirarlo fuori.

Questa terza immagine, di forza e speranza, fa ritornare un guizzo di luce negli occhi di mons. Illiano. «Durante l’omelia ho potuto dire che Dio non ci aveva abbandonato». Era possibile riprendere in mano il timone della propria vita puntando lo sguardo su Cristo.

Antonietta Abete

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