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Messaggio per la Quaresima 2018

Carissimi, la carta di identità dell’uomo ferito e questuante, ma sempre anelante alla Pasqua, è ben descritta dalla parola di Abramo, mentre sta alla presenza del Signore in un momento di difficoltà per la città: io che sono polvere e cenere…

Carissimi,
la carta di identità dell’uomo ferito e questuante, ma sempre anelante alla Pasqua, è ben descritta dalla parola di Abramo, mentre sta alla presenza del Signore in un momento di difficoltà per la città: io che sono polvere e cenere (Gen 18, 27).
Abramo, visitato da Dio alle Querce di Mamre (Gen 18), ci aiuta a conoscere profondamente la nostra identità di creature, fatte di polvere e cenere, cioè di niente.

Ma quest’uomo, inconsistente, sa di essere dinanzi al suo Signore, e pur sapendo di essere polvere e cenere, ardisce parlare; la creatura dinanzi al Creatore acquista la sua dignità e consistenza: Vedi come ardisco parlare al mio Signore, io che sono polvere e cenere (Gen 18, 27). Abita qui il segreto della preghiera e del colloquio con Dio, il Creatore e Padre (cfr Mt 7, 7-11).

Questo uomo, l’uomo di sempre, fragile e forte, luce ed ombra, terra e cielo, osa aprire la bocca dinanzi al suo Signore; osa chiedere, domandare, non tanto per sé, ma innanzitutto per gli altri e per far conoscere che Dio è giusto. E Abramo, dinanzi alla distruzione di Sodoma, si mette a contrattare con il suo Signore, dichiarandosi così esperto in economia della salvezza.

Davvero sterminerai il giusto con l’empio? (Gen 18, 22). E comincia, per un senso di giustizia senza la quale non c’è carità, la contrattazione sindacale con il suo padrone, il suo Dio che, scendendo e scontando, alla fine risponde: Non la distruggerò per riguardo a quei dieci (Gen 18, 32).

Abramo, nostro padre nella fede, è riuscito a commuovere il cuore di Dio, Padre di misericordia e di giustizia, e a cambiare le sorti della città con l’insistenza e la potenza della preghiera.

L’uomo, questuante e penitente, convegno di punti interrogativi, sempre risponde:
Dio degli eserciti, ritorna!/ Guarda dal cielo e/ vedi e visita questa vigna,/ proteggi quello che la tua destra ha piantato/ il figlio dell’uomo che per te hai reso forte (Sal 80, 15-16).

Questo uomo, cumulo di domande, come il cieco di Gerico, grida: Gesù, figlio di Davide, abbi pietà di me! (Lc 18, 38) ed ha anche l’ardire di gridare più forte davanti a coloro che lo rimproverano. Polvere e cenere nelle mani di Dio è la materia della nostra creaturalità che, in Lui, si fa figlio e figlio amato.

E la contrattazione nella storia biblica scende fino a concentrarsi nel Figlio, il solo Giusto, offerto per noi sulla croce. Per questo figlio che sempre chiede, Dio risponde donando suo Figlio: Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio. E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio. (Gv 3, 16-21).

Ed è questo il nostro itinerario quaresimale, pasquale e battesimale, che ci conduce allo splendore dell’alba di Pasqua: dalle tenebre alla luce, dalla morte alla vita, dal peccato alla grazia e, in Lui, la cenere è dispersa e la polvere brilla come il sole del mattino di Pasqua per accogliere con stupore la visita del Signore.

Vi benedico
Giuseppe, vescovo

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