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Discorso alla Città 2013

30 aprile 2013 di Sua Ecc.za Mons. Giuseppe Giudice CUORE CHE ARDE LUNGO LA VIA (cfr. Lc 24,32) con i Giovani, fame di fiducia e di futuro: Non fatevi rubare la Speranza! Signore e Signori, Autorità, carissimi Giovani, Chiesa pellegrina…

30 aprile 2013
di Sua Ecc.za Mons. Giuseppe Giudice

CUORE CHE ARDE LUNGO LA VIA

(cfr. Lc 24,32) con i Giovani, fame di fiducia e di futuro: Non fatevi rubare la Speranza!

Discorso alla Città 2013Signore e Signori, Autorità, carissimi Giovani, Chiesa pellegrina in Nocera Inferiore – Sarno,
è con grande gioia e senso di responsabilità che, per la seconda volta, nel giorno in cui inizia la Novena in preparazione alla festa di San Prisco, indirizzo il DISCORSO ALLA CITTÀ, volendo raggiungere, oltre i confini dei nostri recinti ecclesiali, il cuore degli uomini e delle donne che in questa terra configurata come Città dell’Agro soffrono, combattono e sperano.

Non ho omesso, neanche quest’anno, di affidare questo momento di attenzione al territorio alla preghiera delle Claustrali dei nostri due Monasteri di vita contemplativa, dando così spazio al fondamento spirituale di ogni nostro dire che,perme, prendelemosse dal dialogo costante con i Giovani, mediato soprattutto dai presbiteri e dai tanti operatori pastorali, e in modo particolare

dall’incontro e lo scambio di ideeconi12ei72Giovani che, in forme e modi diversi, stanno accompagnando il mio Ministero episcopale, quasi a voler sottolineare una costante attenzione della Chiesa verso le nuove generazioni.

Ascoltando i loro sogni, le inquietudini, le incertezze, i tanti talenti nascosti e, armonizzando il tutto con le aspettative di noi adulti, ho formulato per quest’anno il seguente tema:

CUORE CHE ARDE LUNGO LA VIA (cfr. Lc 24,32)

con i Giovani, fame di fiducia e di futuro: Non fatevi rubare la Speranza!

mutuandolo da quella stupenda pagina evangelica dei discepoli di Emmaus (cfr. Lc 24,13-35), icona insuperabile di ogni nostro pellegrinaggio.

E vorrei che al termine del tratto di strada, che la Provvidenza ha tracciato per il nostro comune cammino, ognuno come quei discepoli potesse ripetere: Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via? (cfr. Lc 24, 32).

In questa nostra storia e in questo nostro tempo, siamo impegnati in un esercizio che sembra difficile: recuperare, disseppellendolo, il filo tenace ed indistruttibile della Speranza, ben sapendo dell’oscurità dell’ora presente, come è magistralmente descritta in una lirica di Lina Galli:

È sera.
Resta con noi, Signore! La dolcezza di quell’ora
ci avvolge.
Tutto il nostro precipitare nel vuoto ti chiama.
Quel tuo abbraccio, sentire il tuo contro
il nostro cuore.
Fuori buio,
minacce agghiaccianti ululati lontani.
Essere colmi di te
nella solitudine nemica.
È sera.
Resta con noi, Signore!

Divido questo mio intervento in tre momenti, che vorrei così definire:

  1. contro ogni Speranza (Rm 4, 18): una lettura al buio;
  2. saldi nella Speranza (Rm 5, 2): per una Speranza affidabile;
  3. perché la Speranza non delude (Rm 5, 5): profeti di Speranza.

Contro ogni Speranza (Rm 4, 18): una lettura al buio.

Mi sembra lucida e spietata, ma anche provocante, l’analisi di Jean-Claude Guillebaud, oggi uno degli intellettuali cattolici più in vista in Francia, che viene a dipingere a nere tinte la nostra realtà, dove sembra non avere casa la speranza. Ed è una provocazione che ci fa bene cogliere per poter superare il buio e incamminarsi verso la luce. “Vogliamo essere – dice il saggista – i procuratori intrattabili di tutte le illusioni, gli operatori sarcastici di una commedia che non ci fa più ridere.

Elettori, noi ci vantiamo di non avere più fiducia negli eletti.

Contribuenti, sospettiamo lo Stato per tutti gli sprechi. Cittadini, giudichiamo la nostra democrazia menzognera e frivola.

Malati, diffidiamo delle medicine.

Trasgressori della legge, ci facciamo beffa della giustizia. Genitori, proclamiamo che la scuola non sa più dove va.

Eccoci ebbri di lucidità e sospetto.

Un nuovo impero ci minaccia: quello del cinismo.

Ed è proprio il cinismo che fa indietreggiare, nella sua stessa freddezza, la speranza bambina di Charles Pèguy”.

In questo contesto, dove sembrano addensarsi le nuvole,

come collocare i Giovani e tentare un dialogo con loro? “Ritrovare la Speranza è prima di tutto comprendere che, se la coesione sociale è oggi in pericolo a causa della disoccupazione e delle ineguaglianze, la ‘coesione mentale’ lo è ancora di più.

E non si può vivere insieme senza un minimo di fiducia e di amore condiviso”.

Edgar Morin usa, da parte sua, una bella espressione per definire l’urgenza del momento: “Abbiamo bisogno di paladini di Speranza” contro i difensori delusi del capitalismo, che lo vedono irraggiato dalla fredda logica dei mercati finanziari.

E per i Giovani ci chiediamo: forse la Speranza si è trasferita all’estero?

L’ultima fotografia dell’Istat ci ricorda che fra gli under 25 il tasso di disoccupazione in Italia è del 37,8%.

Il futuro, allora, è solo fuori o si è spostato altrove?

Il 64% andrebbe a vivere lontano; il 37% ha inviato il curriculum oltre confine e sarebbe pronto a trasferirsi. Tante famiglie arrancano, e gli anziani, dove ci sono ed è ancora possibile, tentano a modo loro di finanziare i giovani, creando quasi un nuovo assistenzialismo.

Dove abita per i Giovani la Speranza?

Il sociologo francese Le Breton dipinge il disagio di tanti ragazzi vicini all’età adulta: crisi di lavoro, perdita del senso dei limiti, incertezza esistenziale, patologie sociali.

Che fare?

Sembra quasi, a dire di alcuni, che questo mondo che abbiamo costruito non è un mondo per i Giovani.

I dati dicono che il 20% vive nello sconforto. In famiglia e in

società spesso provano la violenza e la via più rapida per trovare l’incoscienza totale sono le droghe e l’alcool.
Ed è in questo scenario che le culle, il talamo e la mensa familiare vengono conservati in soffitta, in attesa di tempi migliori o affidandosi ad esperienze emotive, che non riescono a costruire il futuro.

C’è, in tutto questo, una sofferenza dei Giovani e degli adulti.

È interessante e lucida questa analisi; ci ricorda che: “le condotte a rischio rappresentano la ricerca di una sponda, facendosi del male scorticandosi, andando a sbattere contro le barriere del reale, sperimentando il contraccolpo della tossicodipendenza, dell’alcolismo, dell’anoressia, della bulimia…

Si tratta di fabbricare un dolore che argini provvisoriamente la sofferenza.
…all’incertezza delle relazioni, il giovane che non sta bene con se stesso preferisce il rapporto regolare con un oggetto che orienta totalmente la sua esistenza, ma che ha la sensazione di dominare come vuole e per sempre: droga, alcool, cibo, etc”.

Paradossalmente, queste condotte a rischio sono appelli alla vita e sono anche richieste di aiuto, da saper leggere.

Che fare in questo contesto?

I Giovani, con questi atteggiamenti, sollecitano un riconoscimento, un accompagnamento, una comprensione del fatto che questi comportamenti sono segno di una grande sofferenza che va ricercata a monte.

Devono mobilitare le Istituzioni tutte perché, sul tratto di Emmaus, si accostino ai Giovani, non per condannarli o criticarli, ma per ascoltarli nei loro linguaggi ed accompagnarli in un passaggio, che è una pasqua, dal volto triste alla gioia, dalla notte al giorno, dalla disperazione alla Speranza.

Si tratta di Giovani che si allontanano dalla comunità, o da comunità che non ritengono più tali, e vanno tristi verso Emmaus, alla ricerca di adulti che, lungo la strada, gli possano ridonare la gioia e il gusto della vita.

Da qui la necessità, urgente, di farsene carico in termini di accompagnamento, di presenza, di consigli, di testimonianza, facendo spazio e non ingombrando la via verso la locanda di Emmaus.

Qui devo chiedere alle Parrocchie di ridiventare sempre meglio e sempre più Locande di Emmaus, luoghi educativi capaci di accogliere le fragilità e i sogni dei nostri Giovani; qui devo chiedere ai nostri Oratori di essere nuovamente, secondo la bella e recente Nota della CEI del 2 febbraio 2013, Laboratori dei talenti per accompagnare le persone in quel processo educativo, che non è il capriccio di un momento, ma dura tutta la vita.

Qui devo chiedere alle Istituzioni di fare, fare presto e fare bene la propria parte, prima che sia troppo tardi, per dare testimonianza di senso civico ed educazione al bene di tutti. Qui devo ricordare che il nostro primo compito sta nel convincere i Giovani, con la nostra vita riuscita e trasparente, di quanto la loro esistenza sia preziosa, e di distoglierli, con un supplemento concreto di Speranza, dai loro giochi di morte per condurli all’entusiasmante gioco del vivere.

Saldi nella Speranza (Rm 5, 2): per una Speranza affidabile.

Per non rimanere fuori dalla casa della Speranza, e per non fermarci soltanto ad una lettura al buio, mi piace farci illuminare da una densa pagina del Magistero di Benedetto XVI che, dopo aver evidenziato i lati incerti del mondo giovanile, si sofferma su esperienze promettenti perché intrise di futuro.

“Non mancano – dice il Santo Padre – fenomeni decisamente positivi. Gli slanci generosi e coraggiosi di tanti giovani volontari che dedicano ai fratelli più bisognosi le loro migliori energie; le esperienze di fede sincera e profonda di tanti ragazzi e ragazze che con gioia testimoniano la loro appartenenza alla Chiesa; gli sforzi compiuti per costruire, in tante parti del mondo, società capaci di rispettare la libertà e la dignità di tutti, cominciando dai più piccoli e deboli. Tutto questo ci conforta, e ci aiuta a tracciare un quadro più preciso ed obiettivo delle culture giovanili.

Non ci si può, dunque, accontentare di leggere i fenomeni culturali giovanili secondo paradigmi consolidati, ma divenuti ormai dei luoghi comuni, o di analizzarli con metodi non più utili, partendo da categorie culturali superate o non adeguate.

Ci troviamo, in definitiva, di fronte ad una realtà quanto mai complessa ma anche affascinante, che va compresa in maniera approfondita e amata con grande spirito di empatia…” (cfr. Benedetto XVI, Udienza ai Partecipanti alla Plenaria del Pontificio Consiglio della Cultura, febbraio 2013).

Perché la Speranza non delude (Rm 5, 5): profeti di Speranza.

Per non perdere la grande Speranza e per tradurla in esercizio concreto nelle piccole speranze, mi sento di chiedere ai Giovani, e a tutti coloro che vivono la giovinezza del cuore, tre piccoli gesti o atteggiamenti, per ritornare ad essere nuovi Profeti della Civiltà della Speranza.

Siamo convinti che non si esce da nessuna crisi se non ci si esercita nell’arte dell’attesa di una salvezza, arte gioiosa e dolorosa insieme.
Sintetizzando un articolo di Luigino Bruni su Economia e attesa, apparso su Avvenire del 2 dicembre 2012, vorrei così indicare tre prospettive, racchiuse in tre parole: virtù civile; relazioni; imprenditore.

Virtù civile: c’è tutta un’antica e persino gloriosa tradizione che ha teorizzato che dalle crisi si esce con i vizi, non con le virtù. È un’idea che purtroppo si ritrova ben radicata in buona parte della classe dirigente italiana, che invoca le virtù civili ormai solo in riferimento all’evasione fiscale, senza comprendere la regola elementare che sta alla base della vita in comune: se uno “spot progresso” condanna il “parassita sociale” e quello successivo spinge al gioco d’azzardo, i due segni si annullano l’un l’altro. La vera lotta all’evasione si chiama coerenza etica, che diventa forza politica e amministrativa.

Relazioni: sono impressionanti i dati sull’aumento della litigiosità nel nostro Paese durante questo tempo. Dai condomini ai rapporti con i colleghi, dal traffico alle denunce a maestri e dottori, la crisi sta incattivendo le relazioni di prossimità. Il peggiorare delle relazioni è un dato preoccupante, perché altre gravi crisi che abbiamo attraversato (pensiamo alle grandi guerre e alla dittatura) avevano nella sofferenza rinsaldato i legami sociali, ricreato amicizie e concordia civile che furono essenziali anche per la ripresa economica. È urgente curare le malattie relazionali per riprendere un rapporto anche tra le generazioni. Non si costruisce e non si può vivere accusandosi a vicenda e, molto spesso, senza alcun fondamento.

Imprenditore: i grandi maestri che hanno educato alla Speranza sono stati e sono i contadini, gli artisti, gli scienziati, soprattutto le madri. Ma anche l’imprenditore. I veri imprenditori, tutti e soprattutto quelli medio-piccoli, oggi stanno soffrendo molto, più di quanto si dica e si racconti. Speranza è aiutare i Giovani ad essere imprenditori, cioè uomini e donne dell’attesa, capaci di investire, di sperare, di continuare, senza farsi bloccare da false illusioni.

Ci può essere ancora un’Italia, e lo sappiamo che c’è, capace di recuperare le piccole cose per farle diventare grandi. È una vocazione alla quale non possiamo e non dobbiamo

rinunciare. Lo esige, innanzitutto per le nuove generazioni, l’intelligenza di un popolo e la sua coscienza civile.

Verso una conclusione…

Certo a noi non è permesso, in quanto figli della Pasqua, affidarci ad un’antropologia negativa, a un vivere senza Speranza, né legarci ad una falsa illusione.

E per rimanere in una Speranza affidabile, mi piace presentare due realtà nelle quali tutti, in modi diversi, siamo immersi e dove la Speranza concreta può essere coltivata: la famiglia e il tempo della fragilità.

Per la famiglia mi affido ad una parte della Lettera di invito al cammino di discernimento verso la XLVII Settimana Sociale, che si terrà a Torino dal 12 a 15 settembre p.v. sul tema: La famiglia, speranza e futuro per la società italiana.

“Nella prossima Settimana Sociale vorremmo parlare di famiglia in modo speciale nella prospettiva specifica e propria delle Settimane Sociali, che oggi significa ad esempio: ascoltare la Speranza che ci viene dal vissuto di tantissime famiglie; riconoscere la famiglia come luogo naturale e insostituibile di generazione e di rigenerazione della persona, della società e del suo sviluppo anche materiale; essere concretamente vicini ed essere percepiti come vicini dalle famiglie – genitori e figli – che soffrono per i motivi più diversi; valorizzare la prospettiva presente nella nostra Costituzione repubblicana in favore della famiglia fondata sul matrimonio di un uomo e una donna;

riconoscere e tutelare sempre e in primo luogo i diritti dei figli; considerare ritardi e inadempienze politiche, legislative e organizzative…; mettere in evidenza il legame che unisce il favor familiae con il bene comune e lo sviluppo del Paese, al di là di pregiudizi e ideologie, per cogliere le tante ragioni condivisibili da molti, ben oltre gli schieramenti, le posizioni culturali e religiose”.

La Speranza poi, quella che non illude e non delude, che non è l’ultima a morire, ma la prima che fa vivere, deve essere coniugata dai Giovani anche e soprattutto nel tempo della fragilità e della apparente non-speranza.

Propongo un bel testo poetico di Renzo Barsacchi – Il letto si fa croce –, che presenta la Speranza non come una virtù del passato, ma una apertura sempre nuova al futuro veniente di Dio.

Spargi Speranza sopra il nostro letto con le lenzuola verdi e rinfrescate

e verdi anche i guanciali come fossero dolci cumuli d’erba sopra il prato.

È qui che i nostri figli sgambettarono verso un futuro che credemmo rosa e, sereni, anche noi li contemplammo come un dono più grande dell’attesa.

È la stessa coperta che oggi insieme tiriamo su con i suoi fiori stinti,

che ci avvolge ugualmente quando un freddo di tristezza ci dà gli stessi brividi.

Non disperare se il letto si fa croce dalla quale seguiamo i nostri bimbi ora uomini, urtati dalla vita.

Offrili, come stendi i panni al sole (l’unico gesto che tu fai cantando) quanto più in alto puoi con le tue braccia stanche, rigenerati dal dolore.

Possiamo essere anche noi, uomini e donne urtati dalla vita, ma ci affidiamo a quella Speranza che non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori (cfr. Rm 5, 5), per essere così, anche se con le braccia stanche, rigenerati dal dolore.

“Ogni generazione e ogni individuo – scrive Magris – devono rifare, e non solo una volta, l’esperienza traumatica ma salvifica dei primi cristiani, che attendevano la parusia, il ritorno del Salvatore che era stato loro promesso fiduciosi – almeno molti di essi – che sarebbe venuto già durante la loro vita. La parusia non è arrivata e non deve essere stato facile resistere alla delusione e capire che non si trattava di una smentita, ma di una dilazione della salvezza e forse nemmeno di un rinvio, ma della rivelazione che la salvezza non arriva una volta per tutte ma è sempre in cammino fino alla fine dei tempi” (cfr. C. Magris, Utopia e disincanto, in Nuova antologia, ott-dic 1996, volume 577°, Fasc. 2200, p. 81).

Rileggere poi oggi, con occhi nuovi, il Messaggio del Concilio Vaticano II ai Giovani dell’8 dicembre 1965, potrebbe essere in un tempo di fiato corto un bell’esercizio di rinnovata Speranza per me, per ognuno di voi e di rinnovata simpatia verso il mondo, questo mondo, il nostro mondo, mentre con Papa Francesco ripeto ai Giovani: Non fatevi rubare la Speranza!

Nocera Inferiore, 30 aprile 2013

Vi benedico

+ Giuseppe, Vescovo

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