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Discorso alla Città dell’Agro 2012

“Quale vantaggio c’è che un uomo guadagni il mondo intero e perda la propria vita?” (Mc 8,36). Città dell’Agro, riprenditi l’anima! (*)Prima di inoltrarci nel tema che vengo a proporvi, mi sembra doverosa qualche precisazione che può aiutare nella comprensione…

“Quale vantaggio c’è che un uomo guadagni il mondo intero e perda la propria vita?” (Mc 8,36). Città dell’Agro, riprenditi l’anima!

(*)Prima di inoltrarci nel tema che vengo a proporvi, mi sembra doverosa qualche precisazione che può aiutare nella comprensione del testo.

A)           Mi piace far notare, innanzitutto, che pur sapendo che di fatto non esiste la Città dell’Agro, utilizzo il termine quasi considerando i Comuni come un’unica entità, per indicare una direzione, un progetto; quasi il voler suggerire una vocazione per superare i campanilismi e tendere a lavorare per poter crescere insieme, a livello sociale e politico.

Anima antica di questa Città, e quasi suo tessuto connettivo, mi sembra essere la pietà popolare che, se purificata e valorizzata senza falsi timori, può – intelligentemente, sapientemente e prudentemente -, contribuire ad arginare la deriva secolaristica in atto e diventare per la nostra gente una bella opportunità di crescita umana e pastorale.

B)           È sotto gli occhi di tutti il disagio del mondo politico, delle amministrazioni, e non è mio compito girare il coltello nella piaga, ma mi piace ribadire che con il “Discorso” non intendo offrire soluzioni tecniche, “ricette pronte per l’uso”; né, d’altronde, voglio rimanere così in alto, quasi fuori dalla storia, da dimenticare che poiché i tempi siamo noi – come ci ricorda sant’Agostino – essi saranno migliori solo se noi saremo migliori, cioè all’altezza del compito che, a tutti i livelli, ci viene affidato.

C)           La terza precisazione vuole essere un invito rivolto a ciascuno di noi ad uscire da questo incontro con un minimo di proposta per “ridare anima” alla nostra terra e per rimanere nella concretezza della storia. Non dispiacerebbe soffermarsi sul tema dei Giovani per affrontare il loro presente e aprirlo a un futuro più ricco di speranza, anche per il loro inserimento nel mondo del lavoro.

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Signore e Signori, Autorità, Chiesa pellegrina in Nocera Inferiore – Sarno,

sin dai primi giorni del mio episcopato in questa terra gloriosa e benedetta, ho pensato ad un Appuntamento per poter parlare, non solo alla Chiesa di cui sono Pastore, ma a tutta la Città dell’Agro, pensando al territorio ben articolato in 13 comuni come ad un’unica entità geografica ed antropologica che, senza mortificare i tratti distintivi, tende verso l’unità.

Guardando alle esperienze già consolidate in altre Diocesi, ho pensato di indirizzare un “Discorso alla Città”, quasi per parlare al cuore di ogni uomo, “al cuore di Gerusalemme” (Is 40,2), icona di ogni città. (*)

Aiutato dal Consiglio Episcopale dei Giovani, che, dall’inizio del mio ministero episcopale, mi accompagna nel servizio a questa santa Chiesa, ho voluto chiedere proprio a loro, presente e futuro della nostra terra, quale tema sensibile poter affrontare.

Ne è nata una discussione vivace, durante la quale mi sono stati dati utili suggerimenti che, alla fine, ho sintetizzato nel tema che vengo a proporvi: “Quale vantaggio c’è che un uomo guadagni il mondo intero e perda la propria vita?” (Mc 8,36)
Città dell’Agro, riprenditi l’anima!

Il Discorso è pronunciato nella Cattedrale di San Prisco, patrono della Città e della Diocesi, dove si trova la Cattedra, dalla quale il Vescovo ordinariamente indirizza il suo Magistero ed oggi la Lectio Magistralis per contribuire a dare un’anima alla Città e quasi per ri-metterci alla scuola di San Prisco, primo Vescovo della antica Diocesi di Nuceria, in comunione e continuità con i Vescovi che mi hanno preceduto nella sede priscana.

Un contributo sostanziale dal punto di vista spirituale l’ho chiesto alle Monache dei due Monasteri che insistono sul nostro territorio: le monache domenicane di Sant’Anna e le monache di Santa Chiara. Esse hanno ricevuto il carisma di pregare e vegliare sulla città; servizio che svolgono sempre con fedeltà ed oggi uniscono la loro preghiera ai nostri intenti e desideri a favore del bene comune.

È giunto il tempo di dare un’anima, riprendersi l’anima perché, forse, “siamo andati avanti così rapidamente in tutti questi anni che ora dobbiamo sostare un attimo per consentire alle nostre anime di raggiungerci” (Michael Ende).

E utilizziamo la parola anima, ben sapendo della difficoltà del linguaggio, come è stato espresso dal Santo Padre Benedetto XVI nell’Omelia della Messa Crismale del 5 aprile u.s.:

“In alcuni ambienti, la parola anima è considerata addirittura una parola proibita, perché – si dice – esprimerebbe un dualismo tra corpo e anima, dividendo a torto l’uomo. Certamente l’uomo è una unità, destinata con corpo e anima all’eternità. Ma questo non può significare che non abbiamo più un’anima, un principio costitutivo che garantisce l’unità dell’uomo nella sua vita e al di là della sua morte terrena.

E come sacerdoti naturalmente ci preoccupiamo dell’uomo intero, proprio anche delle sue necessità fisiche – degli affamati, dei malati, dei senza-tetto – tuttavia noi non ci preoccupiamo soltanto del corpo, ma proprio anche delle necessità dell’anima dell’uomo: delle persone che soffrono per la violazione del diritto o per un amore distrutto; delle persone che si trovano nel buio circa la verità; che soffrono per l’assenza di verità e di amore. Ci preoccupiamo della salvezza degli uomini in corpo e anima” (Cfr Benedetto XVI, Omelia Messa Crismale, 5 aprile 2012).

Quando diciamo che nella Chiesa la salvezza delle anime (salus animarum) deve sempre essere la legge suprema (Cfr CJC 1752), noi vogliamo esprimere questa realtà, questa totalità della persona.

Riprenditi l’anima … allora può significare: riprendi in mano tutta la tua vita; ritrova quel quid che ti manca; riconosci la tua dignità, quella parte nobile di ogni uomo, quella luce senza la quale tutto è nel buio, quel principio unificante che ti ricorda che tu non sei una macchina, un organo, un numero, una parte interscambiabile, ma tu sei una persona, uni-totalità, un essere vivente segnato dal soffio del Creatore.

Ci accorgiamo che, consumati dal consumismo, bombardati da mille suggestioni, appesantiti da problemi e falsi-problemi, “noi non sappiamo più raccoglierci, non sappiamo più meditare, non sappiamo più pregare … Abbiamo conquistato il mondo e abbiamo perduto l’anima nostra …” (Card. Montini, maggio 1960).

Riprenditi l’anima che, forse, giace sotto un cumulo di immondizie!

Uomo e Donna, che vivi nella terra dell’Agro; sì, riprenditi l’anima!

Vuole essere questo il servizio urgente di chi è chiamato, oggi, a servire il bene della Città, secondo i suggerimenti della Dottrina Sociale della Chiesa.

Ma, qualcuno potrebbe obiettare, tutto questo cosa c’entra con la crisi che stiamo vivendo: crisi che è culturale, spirituale, sociale, antropologica, politica, e in fine economica?

Mi piace la risposta di un emergente filosofo, drammaturgo, scrittore cattolico francese, Fabrice Hadjadj, il quale conosce bene il nichilismo che attraversa la nostra cultura; risposta che offro come perla alla vostra meditazione:

“La nostra frenesia consumistica deriva dal fatto che non sappiamo più accogliere la gioia di essere insieme: non siamo più capaci di stare davanti al grande fuoco della Pasqua che illumina la notte, che ci permette di accontentarci di poche cose materiali e che ci fa danzare sull’abisso”.

 

Una parola al cuore della Città.

Ha scritto lo Spirito nel Concilio Vaticano II: “Nella vostra città terrestre e temporale il Cristo costruisce misteriosamente la sua Città spirituale ed eterna, la sua Chiesa” (dal Messaggio del Concilio ai Governanti).

Qual è il progetto delle nostre città: Abele o Caino, o meglio come possono convivere la Città di Dio e la Città degli Uomini?

Ci facciamo per un attimo alunni di sant’Agostino, vescovo di Ippona, nel De Civitate Dei.

Le due città – ci ricorda il santo Vescovo – nascono da due amori contrari: la città di Dio nasce dall’amore di Dio che giunge sino al disprezzo di sé; la città terrena dall’amore di sé che giunge sino al disprezzo di Dio; la prima vive secondo lo Spirito o secondo Dio, l’altra secondo la carne o secondo l’uomo.

Le due città, inoltre, pur avendo sentimenti opposti, perché animate da una diversa fede, una diversa speranza e un diverso amore, vivono nel tempo confuse e mescolate l’una all’altra.

Ma Agostino va oltre, non separando troppo le due città, ma affermando che la Chiesa è la città di Dio, l’anima dell’altra Città, o meglio la parte di essa che vive nella storia “tra le persecuzioni degli uomini  e le consolazioni di Dio” (Agostino, De Civitate Dei, XVIII, 51,2).

Il momento centrale della vita della Chiesa, Anima Mundi, è la celebrazione eucaristica, quando essa si unisce al sacrificio di Cristo sulla croce e con lui offre se stessa.

Dall’Eucaristia i cristiani, di ieri e di oggi, attingono la forza per sostenere le persecuzioni ed il martirio e, per questo motivo, essi non possono vivere senza la Domenica.

La città di Dio, che è la Chiesa pellegrina, vive nel mondo sottomessa alle leggi e all’autorità dello Stato, rispetta tutto ciò che non è contrario alla religione e non fa mancare il suo contributo, attraverso le sue Istituzioni che hanno innanzitutto valenza educativa, per creare una società pacifica, perché considera la pace un bene prezioso per tutti.

La Chiesa, ossia la comunità ben visibile dei credenti, che vive nel tempo con lo sguardo fisso al cielo, soffre e si impegna nella storia per alleviare le miserie degli uomini, per animare ogni realtà, perché essa stessa è animata da una fede, dono dall’alto, “che opera per mezzo della carità” (Gal 5,6).

 

Caino o Abele?

Abele, che non costruisce nessuna città, e Caino che costruisce la prima città (Gn 4,17) sono figure ben rappresentative delle due città.

Abele mette a disposizione se stesso perché un Altro si manifesti (sua praesentia servientem) e Caino ha invece il problema di dimostrare di esserci e quindi di contare (suam praesentiam demostrantem) (Agostino, op.cit., XVIII, 15,2).

Quale città, dunque costruire? Con quale anima, di Abele o di Caino? È l’eterno problema della convivenza delle due città, o dei due modelli.

I cittadini della città terrena sono tali perché vivono ripiegati sulla terra, ricercano solo i beni di questo mondo e per il loro possesso si affaticano e lottano tra loro.

Il cristiano invece vive nel mondo senza attaccarsi ad esso; fa buon uso dei beni temporali, senza farsi possedere da essi, perché si considera esule in questo mondo e tiene gli occhi sempre rivolti alla patria del cielo, che è Dio stesso.

Altro elemento distintivo della città di Dio è la carità che spinge i suoi membri a servirsi reciprocamente, mentre nella città terrena domina la passione del potere e del dominio (Cfr Agostino, op. cit., XIV,28).

Agostino opera un confronto fra le due città sulla base di un’altra immagine biblica, quella delle rispettive offerte di Abele e Caino a Dio, l’una gradita e l’altra rifiutata.

Rifiutata – commenta Agostino – non perché Caino non offra qualcosa di suo, ma perché proprio offrendo qualcosa a Dio, intendeva in realtà non servire, ma servirsi di Dio.

“I buoni si servono del mondo per godere di Dio, i cattivi al contrario vogliono servirsi di Dio per godere del mondo” (Agostino, op. cit., XV,7,1).

Ecco l’eterno dilemma: servire o servirsi? Avere un’anima o non averla?

Ci sovviene la parola del Maestro, che ci ripete: “Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi li opprimono.

Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuol essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti” (Mc 10,43-44).

 

Ricostruire il tessuto della città attraverso i Cortili della gioia

“Le città hanno una vita propria. Hanno un loro essere misterioso e profondo. Hanno un loro volto. Hanno, per così dire, una loro anima ed un loro destino. Non sono cumuli occasionali di pietra. Sono misteriose abitazioni” (Giorgio la Pira, Discorso al Comitato internazionale della Croce Rossa, Ginevra, 1954).

Come ci fa bene riascoltare oggi questa parola di La Pira, il Sindaco santo di Firenze.

Le città … hanno una loro anima, cioè sono vive, abitate dai viventi e dalla memoria di coloro che, prima di noi, le hanno costruite e le hanno abitate.

Come è bello riscoprire i Cortili che, nella terra dell’Agro, sono come la struttura primaria della città, spazi aperti, pensati per intessere le relazioni.

Che ridiventino, con il contributo di ognuno, Cortili della vita, della famiglia, della gioia!

Dobbiamo pur ammettere che una sottovalutazione dell’esperienza estetica, la mancanza di una pianificazione armonica del territorio, stretto tra due grandi province, l’inadeguatezza di una cultura indipendente dalle esigenze del sistema produttivo e le insufficienze, o sforzi non mirati o mal riusciti, della guida politica hanno trasformato il volto delle nostre città, rendendole meno abitabili e più città-dormitorio.

Urge una profonda riflessione sulla città per rivedere il concetto di civitas, per sentire la necessità dell’emergenza di educazione alla cittadinanza, cioè l’educazione civica che deve rientrare al più presto nei piani di studio; per ridisegnare insieme le rotte dell’identità della città, del suo ethos: la città è elemento strutturale della società, è luogo di coerenza sociale, è il paradigma che organizza intorno a sé la sua intera produzione culturale, è consapevolezza delle proprie radici, del proprio senso storico, della propria memoria.

Sembra, tante volte, di risentire il lamento di Gesù su Gerusalemme, che può essere esteso alle nostre città:

“Gerusalemme, Gerusalemme, tu che uccidi i profeti e lapidi quelli che sono mandati a te: quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli, come una chioccia i suoi pulcini sotto le ali, e voi non avete voluto!”  (Cfr Lc 13,34).

Oggi, nel villaggio globale, la città ha la presenza degli esterni, degli immigrati. Essi portano con sé un’altra storia, un’altra cultura, un altro ethos, altre lingue, un’altra religione.

Specialmente nei centri storici, sono essi ad abitare i cortili, che furono un tempo solo della nostra gente.

Non possono essere gli immigrati un’insidia, una opposizione; possono e devono diventare un’opportunità per tutta la città a cominciare dai cortili, pensati come laboratori per educarsi a vivere civilmente insieme.

Come costruire, allora, un confronto di simpatia, a cominciare da ciò che è umano per evitare che la città, che ha come vocazione il nome di Gerusalemme (Città dove Dio è presente), ridiventi Babilonia, città della confusione?

Siamo richiamati a ricostruire un percorso di bellezza, a cominciare dal mio cortile, dove non vince il “brutto” e il “pericoloso”, o il “fai da te”, per esprimere il dovere sociale primario che è la manutenzione della città, il farla bella e accogliente, ma non “bella senz’anima”.

Attraverso percorsi educativi, che ri-cominciano dalla Famiglia, dalla Scuola e dalla Chiesa, ognuno deve ripetere:

Mi sta a cuore la mia città e perciò ne faccio un giardino, cioè le dico: “fa’ brillare il volto della tua anima!” (Dalle “Catechesi di Gerusalemme” Catech. 22 Mistagogica 4,1.3-6.9; PG 33, 1089-1106).

 

Ti chiameranno riparatore di brecce (Is 58,12)

Siamo invitati con urgenza a passare dall’emergenza alla proposta educativa per fondare un nuovo patto, una nuova “alleanza educativa” tra Famiglia, Chiesa ed Istituzioni statali, per ri-costruire la città dell’uomo, tenendo presente il progetto disegnato da Dio e proposto ad ogni uomo affinché, con un’impresa etica, possa realizzarlo. (Cfr CEI, Orientamenti, Educare alla vita buona del Vangelo, 2010)

Città dell’uomo, cioè prima di tutto umana; dove ogni uomo possa incontrarsi nella verità, nella giustizia, nella lealtà, nella sincerità dei rapporti e nella sussidiarietà dei ruoli.

Città dove la ricchezza umana è cibo quotidiano per la festa dei fratelli; luogo di incontro, spazio di gioia, per leggere il dono della vita nella serenità dei giorni.

Città dove c’è posto per le culle e per le tombe.

Città dell’uomo, città umana, a dimensione del cuore di ogni uomo e di ogni donna.

Città dove il bambino, il ragazzo, l’adolescente, il giovane, il maturo, l’anziano, la donna, il malato, il morente – ognuno, ognuna – possa sentirsi a casa. Città come sinonimo di famiglia, convivenza di famiglie allenate nelle relazioni fraterne.

In questa città anche nei giorni feriali si vive con il cuore della festa, con il cuore in festa, perché si lascia una finestra sempre aperta verso il cielo.

In questa città nessuno è solo, se non per una scelta di colloquio con l’Eterno.

Nessuno è emarginato, perché ognuno può esprimere la propria ricchezza, vivendo del proprio lavoro, per far ricco l’altro. In questa città chi possiede è come se non possedesse perché, nella trama della carità, tutto è di tutti, pur rimanendo proprietà di ognuno.

Questa città non ha porte e finestre, se non per ripararsi dal freddo e dal sole e per aprire verso l’Altro, verso gli altri e verso l’Alto. Questa città non mortifica le persone ma le realizza in profondità perché ogni persona è dialogo, apertura, incontro, relazione, dono di sé.

In questa città non ci sono barriere architettoniche, tantomeno culturali ed umane.

In una città così Dio è di Casa, perché dove l’umano si realizza il Divino è pienamente presente.

 

Dov’è questa città? Nei nostri sogni?

No, è nella fatica quotidiana delle opere e dei giorni, nella fedeltà al piano del Signore, nell’onestà dei rapporti, perché questa città ha un’anima, l’anima onesta e semplice del nostro popolo che, vivendo sul pianerottolo della storia, dà anima alle piccole e grandi storie quotidiane, facendo così grande la storia di tutti e di ciascuno.

Affidiamo ai piccoli ed ai giovani, nel cui sguardo il riflesso di Dio è meno inquinato, il compito di dare anima alle nostre parole ed ali alla nostra speranza per ricostruire il tessuto sfilacciato della nostra città.

 

Verso una conclusione

Mi piace a conclusione proporre tre testi.

Il primo è tratto dalla “Lettera a Diogneto”:

“I cristiani abitano ciascuno la loro patria, ma come forestieri; partecipano a tutte le attività di buoni cittadini e accettano tutti gli oneri come ospiti di passaggio. Ogni terra straniera è patria per loro, mentre ogni patria è per essi terra straniera. Come tutti gli altri si sposano ed hanno figli, ma non espongono i loro bambini. Hanno in comune la mensa, ma non il talamo.

… in una parola, i cristiani sono nel mondo quello che è l’anima nel corpo” (Cfr Lettera a Diogneto Capp 5-6; Funk, pp. 397-401)

 

Il secondo testo è del poeta Rainer Maria Rilke:

“Perché Signore le grandi città sono

smarrite e stravolte?

Come fuga dalle fiamme è la più grande,

e non c’è sollievo alcuno che le possa sollevare,

e il loro tempo, piccolo, va oltre.

 

Uomini ci vivono, e malamente vivono, a fatica,

in buie camere, impauriti già nei gesti,

più spaventati che un gregge d’agnelli;

e fuori, là, la terra tua sta sveglia, e respira,

e loro esistono e più non lo sanno.

 

Là crescono bambini, per finestre e scale

sempre avvolti nella propria stessa ombra,

e non sanno che là fuori i fiori chiamano

a un giorno tutto spazio, e gioia e vento,

e dovrebbero essere bambini:

ma è con tristezza che lo sono” (Cfr R.M. Rilke, Il libro d’ore, Milano 1992).

 

Il terzo testo, che è un invito alla Speranza e alla Contemplazione, lo attingiamo dalla Sacra Scrittura, che è l’anima di tutta la nostra fede:

“L’angelo mi trasportò in spirito su di un monte

grande e alto, e mi mostrò la città santa,

Gerusalemme, che scende dal cielo, da Dio,

risplendente della gloria di Dio.

La città non ha bisogno della luce del sole,

né della luce della luna:

la gloria di Dio la illumina

e la sua lampada è l’Agnello.

Le nazioni cammineranno alla sua luce,

e i re della terra a lei porteranno il loro splendore.

Le sue porte non si chiuderanno mai durante il

giorno, perché non vi sarà più notte.

E porteranno a lei la gloria e l’onore delle nazioni.

Non entrerà in essa nulla d’impuro,

né chi commette orrori o falsità,

ma solo quelli che sono scritti

nel libro della vita dell’Agnello”. (Ap 21,10.23-27)

San Prisco, primo Vescovo e Patrono della Diocesi, consegna a ciascuno di noi una Parola, dono in preparazione alla sua festa, che è certezza della fede e impegno per ognuno, ripetendoci che:

“le porte di Gerusalemme risuoneranno di canti di esultanza, e in tutte le case canteranno: «Alleluja»” (Cfr Tb 13,18).

Vi benedico!

+ Giuseppe Vescovo

Nocera Inferiore, 30 aprile 2012[/fusion_builder_column][/fusion_builder_row][/fusion_builder_container]

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