OMELIA II DOMENICA D’AVVENTO RAI

Angri, 4.12.2016

Liturgia della Parola:       Is 11, 1-10  /  Salmo 71  /  Rm 15, 4-9  /   Mt 3, 1-12

Sorelle e Fratelli,

carissimi in ascolto attraverso i mezzi della comunicazione, il tempo di Avvento ci prepara al Natale e, nel contempo, ci proietta verso la venuta definitiva del Signore alimentando nelle nostre lampade il senso dell’attesa, della vigilia, dello stupore.

Chi siamo? Uomini e donne che attendono il suo ritorno e, nel frattempo, si chinano a lavorare sui solchi bagnati di sudore della nostra storia.

E, di tanto in tanto, per non smarrirci dobbiamo alzare lo sguardo verso il cielo e verso oriente, da dove ritornerà il Signore.

Questo tempo, impastato di grazia, ci educa alla speranza, al guardare oltre, ad affinare lo sguardo per non lasciarlo prigioniero del presente.

E, mentre spesso l’olio della speranza viene meno, noi ci iscriviamo alla scuola dei profeti e di Maria, terra di Avvento e Madre che attende per valutare con sapienza i beni della terra, nella continua ricerca dei beni del cielo.

Chi, meglio di un profeta, ci può dire come si alza il capo per guardare lontano?

Chi, meglio di una madre, ci può insegnare come si attende e si accoglie un bambino?

La Parola di Dio, in questa seconda domenica d’Avvento, ci invita a guardare un germoglio, a scorgere un virgulto.

Sempre, d’inverno, qualcosa nasce mentre tutto intorno sembra morire.

Quanta speranza nel cuore del profeta che attende nel buio l’avvicinarsi della luce!

Quanto avvento nel cuore e nel grembo di una mamma!

Ma ci vuole uno sguardo di fede per scorgere il germoglio.

Avvento è guardare e vedere con gli occhi della fede, intessuta di speranza, utilizzando il collirio suggerito dall’Apocalisse (cf. Ap 3, 18) per ungerti gli occhi e recuperare la vista:

La speranza vede la spiga quando i nostri occhi di carne non vedono che il seme che marcisce. Sono nostre anche le cose che marciscono e tanto più care perché marciscono… si credono le cose che si sperano, si sperano le cose che si amano. (Don Primo Mazzolari)

La Parola è la grande scuola della speranza, dove impariamo nuovamente la pazienza del contadino, che attende le prime e le ultime piogge, perché:

Il Signore non ritarda nel compiere la sua promessa, anche se alcuni parlano di lentezza.

Egli invece è magnanimo con voi, perché non vuole che alcuno si perda, ma che tutti abbiano modo di pentirsi (2Pt, 3, 9)

Si attende e si spera abbeverandoci alla sorgente della Parola:

Fratelli, tutto ciò che è stato scritto prima di noi, è stato scritto per nostra istruzione, perché, in virtù della perseveranza e della consolazione che provengono dalle Scritture, teniamo viva la speranza (Rm 15, 4ss).

Sì, di domenica in domenica, teniamo viva la speranza!

Nei suoi giorni fiorisca il giusto e abbondi la pace.

Colui che spunta e germoglia dal tronco di Iesse è dono e pienezza di Spirito.

Non giudica per sentito dire ma con giustizia, che è veste unita alla fedeltà.

Con lui viene il tempo in cui il lupo dimora con l’agnello e ci sarà la pace, l’armonia, la pietà, la salvezza.

Poveri di futuro, noi ci chiediamo: dove e quando?

Dov’è questa ritrovata armonia cosmica, mentre intorno io vedo segni di non-armonia?

Puntuale risponde la Parola, inverata dalla vita dei Santi. Si rinnova e si attua il sogno del profeta e lo sguardo della santità: è avvenuto e avviene tutte le volte che ci facciamo guidare da un fanciullo, un piccolo fanciullo ci guiderà.

Non i potenti e i prepotenti, non le grandi organizzazioni, ma un piccolo fanciullo:

Si scioglie l’inverno; una culla è l’inizio di ciò che germoglia / inizia di nuovo la terra / principio del mondo è un bambino (Novalis).

La convivenza tra vitello e leoncello avviene dentro di noi, nel nostro cuore, tutte le volte che rinnovato dalla grazia, riconosce all’altro il titolo di fratello e ricomincia, nella storia personale e del mondo, la civiltà dell’amore.

Giovanni Battista, tra i nati da donna il più grande e il più piccolo, nella sua essenzialità e sobrietà nel vestire e mangiare, ci ricorda il valore della testimonianza personale, che si fa economia solidale ed eucaristica.

Dal grembo materno, egli riconosce il bambino e danza e, dopo un’altra danza nelle sale del potere, per questo bambino divenuto uomo, che è la verità, re di giustizia e di pace, egli perde la testa e versa il suo sangue. Egli sa che quel bambino è più forte, che battezzerà in Spirito Santo e fuoco e, per questo, invita e ci invita: Convertitevi, preparate la via, raddrizzate i sentieri perché sta per venire.

Non ve ne accorgete? E, spesso, non ce ne accorgiamo.

Il profeta, colui che rimane in piedi dinanzi ai potenti, non si affida ai piani, alle strutture, alle strategie, ai numeri.

Nel deserto, egli grida il Vangelo con la sua vita, e sa di essere una voce in attesa della Parola, di Colui che sempre viene su tutti i balzi della storia e sulle rive del nostro cuore.

Grida nel deserto della nostra cultura, perché sa che il deserto fiorisce e, in questo, è alunno della speranza che non delude.

Con la sua vita seria e severa, giudizio per la vita degli altri, invita a fare frutti degni di conversione. Il profeta umile si fa guidare dal bambino, anticipando nella sua testimonianza il mistero della nascita e della morte, con la consapevolezza che Lui deve crescere e io diminuire e, ben sapendo che qui abita la gioia vera (cf Gv 3, 29-30).

Sorelle e Fratelli,

presi per mano della Vergine dell’attesa, partecipiamo anche noi alla scuola di Giovanni per imparare a vivere l’Avvento: Egli è lampada che arde e risplende e noi possiamo rallegrarci alla sua luce (cf. Gv 5, 35).

Con gioia, in questo tempo non stretto e costretto, ma dilatato dal soffio dello Spirito, alunni dello stupore, anche noi come nell’antica favola, posti in mezzo alla folla sapremo smascherare ogni ipocrisia, in noi e intorno a noi, gridando come un bambino: il re è nudo!

 

+ Giuseppe Giudice, Vescovo