Messa Pontificale nella Solennità di San Prisco

A porte chiuse e senza popolo per l’emergenza Covid-19

Omelia del Vescovo Giuseppe

 

Basilica Cattedrale di San Prisco

Sabato, 9 maggio 2020

 

 

Sorelle e fratelli,

celebriamo la messa solenne in onore di San Prisco, patrono della città di Nocera Inferiore e della Diocesi. Lo facciamo in una forma singolare, diversa, ma non meno partecipata dal punto di vista umano e spirituale. Ringrazio il Sindaco per la sua presenza perché, parlando a lui come primo cittadino, io posso parlare a tutta la città e a tutta la Diocesi ricordando che quando presiede il Vescovo nel suo ministero è presente tutta la Chiesa: ubi episcopus ibi ecclesia, ce lo ricordavano i Padri, dove c’è il Vescovo c’è la Chiesa. E vorrei anche incoraggiare la mia Chiesa ricordandole che durante il tempo della quarantena, durante questi giorni, mai è mancata l’Eucaristia, perché ogni giorno il Vescovo ha celebrato, ogni giorno quasi tutti i sacerdoti hanno celebrato in silenzio. Anche se il popolo non sempre ha potuto partecipare, non è venuta meno l’Eucarestia e, proprio per questo, «la Chiesa avanza oggi nel suo pellegrinaggio tra le persecuzioni degli uomini e le consolazioni di Dio»[1] come ci ricorda sant’Agostino.

Quest’anno viviamo la festa in modo certamente diverso, però mi piace pensare a ciò che la teologia ci dice: ognuno di noi è Tempio dello Spirito Santo. Ogni persona credente può celebrare dentro di sé la festa e può “contagiare” (questa parola che oggi potrebbe essere equivocata), può contagiare nella Fede, nella Speranza e nella Carità anche l’altro! Una festa senza espressioni esterne ma certamente con una grande attenzione interiore. Prisco, primo vescovo, è colui che vigila, colui che sta attento, ieri Prisco, oggi la Chiesa e il Vescovo, sempre con la stessa attenzione verso il territorio. Siamo stati educati dalla Parola di Dio a cogliere la profondità di coloro che ci accompagnano sia dal punto di vista civile che dal punto di vista religioso. L’attenzione verso coloro che sono come le sentinelle nella famiglia, sul territorio, nella Chiesa e in tutte le realtà.

Ieri abbiamo celebrato i 75 anni dalla conclusione della Seconda guerra mondiale (8 maggio 1945). L’Italia usciva da un’immane tragedia e c’era bisogno di ricostruire, di riprendere il filo della Speranza che era rimasto sotto le macerie. E un popolo educato al sacrificio, educato anche dal punto di vista cristiano, ha ricostruito il nostro Paese dotandolo anche di una Carta costituzionale a garanzia di tre aspetti fondamentali della vita: la dignità, i diritti di ogni persona e la costruzione del bene comune. Ancora oggi la nostra Carta costituzionale ci ricorda che ogni uomo è un cittadino, è una persona e che dobbiamo lavorare per il bene comune. Non è stata facile la ricostruzione dopo la guerra, e potrebbero raccontarcelo i nostri nonni, i nostri anziani che man mano si sono dati da fare. Quando i lavoratori nei cantieri facevano i cappelli con un foglio di giornale, quando anche il servizio pubblico ha compreso che la cultura era importante, anche i più poveri, anche quelli che non sapevano scrivere, hanno imparato a fare la loro firma, perché dove c’è la cultura c’è la libertà. E dopo la tragedia della guerra anche la sanità man mano ha ripreso una dimensione più sociale, una dimensione che potesse servire quell’aspetto che sempre viene fuori, quello della friabilità e della povertà umana di ogni uomo, il bene che è la salute.

Qualcheduno ha detto che questo tempo è come il tempo dopo la guerra, è vero questo! Però forse una differenza c’è: mentre quelli che ci hanno preceduto e hanno ricostruito l’Italia hanno saputo riprendere il tema della speranza, abituati a camminare a dieci, hanno imparato a camminare a cento; noi, invece, abituati a camminare a cento facciamo fatica a camminare a settanta o a ottanta. Forse abbiamo perso il filo della speranza! Però, aiutato da San Prisco, questa mattina io vorrei riprendere questo filo. E ci siamo accorti in questi giorni di distanziamento, di chiusura, di attenzione all’altro, che cosa ha retto.

Ha retto innanzitutto la famiglia! La famiglia che è diventata in poco tempo scuola, chiesa, pizzeria, giostra… quella famiglia su cui ultimamente non avevamo molto investito.

Ha retto, nonostante le grandi perdite in termini di vite umane, la sanità. Quella sanità a cui avevamo fatto tanti tagli, quella sanità fatta di medici e infermieri che oggi chiamiamo – senza esagerare – eroi e che fino a qualche giorno fa abbiamo trattato male.

Ha retto la scuola, quella scuola che non è un’azienda ma che è sempre una comunità educante. Sono stati degli eroi anche i nostri insegnanti che in poco tempo hanno dovuto inventare, senza mezzi e senza preparazione adeguata, una didattica a distanza.

Anche la politica ha retto perché, tranne qualche voce che continua a dare fastidio, abbiamo avuto la capacità di vedere insieme.

Anche l’Europa sta reggendo, e dovrebbe reggere ancora di più. L’Europa è stata il sogno dei nostri Padri, l’Europa però – permettetemi che citi don Tonino Bello – non può essere solo una cassa comune ma deve essere anzitutto una casa comune[2]. E non si va a bussare alla casa solo quando si ha bisogno o nei momenti delle tragedie, bisogna condividere insieme tante cose.

E ha retto, permettete che lo dica, la nostra Chiesa! La Carità! I parroci che si sono spesi in tanti modi, con una creatività anche dal punto di vista liturgico e catechetico. Era importante tutto questo, perché Prisco ieri e oggi ci ricorda una Parola di Gesù: “Non di solo pane vive l’uomo ma di ogni Parola che esce dalla bocca di Dio” (Mt 4, 4). Una Chiesa, sorelle e fratelli, che non vuole essere dirimpettaia, che non è contro nessuno e che vuole camminare insieme. In questo tempo, anche quando abbiamo compreso che dovevamo chiudere le nostre Chiese e non dovevamo celebrare insieme al popolo, abbiamo capito che non ce lo chiedeva una dittatura ma ce lo chiedevano i nostri governanti per poter contribuire al bene e alla salute dei cittadini. Non è mancata, l’Eucarestia, sorelle e fratelli, non è mancata la preghiera, non sono mancati i gesti di carità, anzi abbiamo riscoperto tante cose. Ha scritto ultimamente una teologa: “Solo adesso ci siamo accorti che le Chiese sono vuote? Non ce ne eravamo accorti qualche mese fa? Quando i giovani non venivano più? Quando i ragazzi fatta la prima comunione non ritornavano più? Quando le nostre celebrazioni a volte erano piene di elementi che non servivano?”[3].

Ecco, sorelle e fratelli, dobbiamo uscire con fiducia, con prudenza, perché ancora non è finito tutto. Fiducia, prudenza e attenzione. Dobbiamo avere una nuova forma di società, una nuova forma di Chiesa. Certamente non cambia la sostanza ma le modalità devono cambiare. Ecco, se la festa di San Prisco, se le nostre feste sospese ci faranno comprendere tutto questo, allora comprenderemo – sorelle e fratelli – che questo tempo non è un tempo tra parentesi e che, cadute le parentesi, non deve riprendere tutto come prima. No, non può essere così!

Dobbiamo recuperare le relazioni, dobbiamo passare dal virtuale al reale, dobbiamo ricordarci che non siamo onnipotenti, che siamo fragili come una piccola “ostia”, dobbiamo ricordarci che abbiamo bisogno di cultura, dobbiamo ricordarci che ogni professione – a cominciare da quella del politico – è una missione. Quarantadue anni fa fu trovato il corpo dell’onorevole Moro, una pagina buia dell’Italia, una pagina difficile. Moro è stato un uomo che aveva contribuito a costruire una società nuova. Ecco, abbiamo bisogno di nuovi profeti! Abbiamo bisogno di nuove sentinelle, sia dal punto di vista sociale che ecclesiale; abbiamo bisogno di sacerdoti che ci credano veramente; abbiamo bisogno di mamme e papà che si spendano per la famiglia; abbiamo bisogno di docenti preparati e ferrati; abbiamo bisogno di un volontariato che aiuti le nostre strutture; abbiamo bisogno di uno sguardo dal cielo!

San Prisco aiutaci, accompagnaci tu!

[1] Cf. S. Agostino, La città di Dio, XVIII, 51, 2: PL 41, 614.

[2] Cf. Antonio Bello, Discorso tenuto nella festa della Madonna dei Martiri, Basilica della Madonna dei Martiri, 13 settembre 1992.

[3] Cf. Rosanna Virgili, Non mi toccare. Ogni diluvio è fonte di trasformazione, in Avvenire (5 maggio 2020): Riguardo i sacramenti la Chiesa dovrà prendere atto del deserto “reale”, attorno a essi; dovrà recepire il messaggio che veniva (molto prima del coronavirus) dalla fuga dei giovani dalla parrocchia, dopo gli anni del catechismo, e poi dal matrimonio e dal battesimo dei piccoli. Ancor più grave, della frequente in– incidenza morale, spirituale, culturale, dei sacramenti e del loro essere ridotti – molto spesso – a meri “soprabiti” esteriori. Anche la Messa: già da tempo non poche delle nostre chiese sono semi– deserte e la “distanza” di tre o quattro metri, tra i fedeli, in larga parte anziani, assolutamente garantita. Anche se la rinascita ci fa ancora paura, non perderemo, certo, l’occasione per darle Corpo e Voce (www.avvenire.it/opinioni/pagine/non-mi-toccare-ogni-diluvio-fonte-di-trasformazione).