Omelia della Messa Crismale – 05 aprile 2012

Messa CrismaleAmata Chiesa di Nocera Inferiore – Sarno,

Eccellenza, Carissimi Presbiteri, Diaconi, Religiosi e Religiose, Seminaristi, Popolo santo di Dio,

grazia a voi e pace da Gesù Cristo, il testimone fedele, il primogenito dei morti e il sovrano dei re della terra” (Cfr Ap 1,5).

 

Consacrati con il santo olio, sostenuti dalla mano del Signore, resi forti dal suo braccio, anche noi, ancora una volta, siamo saliti a Gerusalemme per cantare per sempre l’amore del Signore (Cfr salmo 88) e per fissare su di Lui, come i nazaretani, il nostro sguardo (Cfr Lc 4,16-21), sempre bisognoso di luce.

 

Nel cuore della Messa del Crisma è bello far memoria di tutti i sacerdoti; in modo speciale dei sofferenti, allettati, di coloro che vivono un momento particolare e di quelli che, come presbiterio, abbiamo accompagnato sulle soglie del Regno: ricordo qui Padre Damiano Lanzone e don Gaetano D’Acunzi che, oggi, in comunione con noi, partecipano alla liturgia del cielo.

Ci è grato fare memoria anche delle Religiose che, come spose, sono state accolte dallo Sposo; e un pensiero riconoscente va ai nostri due Monasteri di vita claustrale, dai quali ogni giorno si eleva il canto della lode e della speranza, che permette di riempire le nostre lampade per rispondere al mondo che ci invoca: “Dateci un po’ del vostro olio, perché le nostre lampade si spengono” (Mt 25,8); e siamo sempre più coscienti che ci chiedono “olio di letizia invece dell’abito da lutto, veste di lode invece di uno spirito mesto” (Is 61,3).

In questa stupenda e ricca liturgia del Giovedì santo, il Celebrante che è Cristo, si fa presente a noi in due modi e due momenti: stamattina attraverso il gesto profumato delle mani, e questa sera attraverso il gesto significativo dei piedi.

Mani e piedi sono il racconto di ogni vocazione; anzi mi piace dire che la storia di ogni vocazione è una storia di mani e di piedi, che fanno parte di un corpo, il Suo corpo che è la Chiesa, storia che confluisce verso l’Eucaristia.

 

Come sono belli sui monti i piedi del messaggero…” (Cfr Is 52,7).

Non senza stupore ed intima commozione, ogni anno il giovedì santo, dies natalis del sacerdozio cattolico, nella celebrazione in Cena Domini, ci inginocchiamo dinanzi ai piedi da lavare nel gesto evocativo e pregnante compiuto da Gesù una volta per sempre (Eb 7,27) e consegnato a noi come esempio e stile, nella sala del Cenacolo, odorosa di pane e vino, di soffusa malinconia e di gioia.

E portando nel cuore la parola del Maestro a Pietro: “Se non ti laverò, non avrai parte con me” (Gv 13,8), e la densa meditazione teologica di Paolo “svuotò se stesso assumendo una condizione di servo” (Fil 2,7), pensiamo a Gesù, che si fa presente in ogni Cattedrale ed in ogni Chiesa, nel suo meraviglioso ed inaspettato, quanto semplice atto diaconale e sacerdotale.

Pensiamo a Gesù che ha guardato gli uomini, prima che in faccia, a cominciare dai piedi, per non amare nell’uomo solo una apparenza estetica.

Per pulire, trasfigurare e rendere bello il volto di ogni uomo, Gesù si è abbassato lavandogli i piedi e per incrociare, dal basso, i suoi occhi.

Per ogni uomo, che nel peccato perde la faccia, Gesù, Maestro e Signore, si inchina fino ai piedi, perché sono essi che, sporcandosi per primi e portandoci dove non è bene andare, cioè lontano da Lui, insozzano anche il volto; ed è proprio a cominciare dai piedi che Gesù intende arrivare ad ogni cuore. Egli che viene dall’alto, si fa Maestro di una teologia dal basso per essere più vicino ad ogni uomo.

La storia di Gesù, storia di salvezza, è innanzitutto una storia di piedi.

Tutta l’economia della salvezza non è altro che il venire di Dio verso di noi, in questa storia ed oltre.

Egli è Colui che viene; Colui che è venuto; Colui che verrà, perciò “sono belli i piedi del messaggero che annuncia la salvezza” (Cfr Is 52,7).

Ed anche la storia della Passione è una storia di piedi: “Colui che mangia il mio pane, ha alzato contro di me il suo calcagno” (Gv 13,18).

Amare non può mai significare voltare le spalle a Dio, ma camminare verso l’altro, andare dal fratello per lavargli i piedi vedendo nell’acqua il riflesso del volto di Dio.

Amare vuol dire portare il lieto annuncio, fasciare le piaghe dei cuori spezzati, consolare gli afflitti, sapendo di ricevere “fedelmente il salario” (Is 61,8).

Amare cioè come fa la mamma quando siamo piccoli e ci lava i piedi e noi, solo in quel tempo, non abbiamo vergogna di avere i piedi sporchi davanti a lei.

Come fa un samaritano quando siamo ammalati, e poiché siamo nel bisogno, lo lasciamo fare e lo ringraziamo; e non come Pietro della prima ora, quando ci sentiamo forti e orgogliosi, e non permettiamo all’Amore di lavarci e purificarci, passando anche per le nostre idee e gli impianti pastorali.

Amare … come quando, con un gesto di ultima pietà, i piedi vengono ricomposti nella serenità della morte, perché ormai si cammina, anzi si vola, in Dio.

 

Guardate le mie mani e i miei piedi” (Lc 24,39)

Ma la storia della salvezza, Sorelle e Fratelli, la storia di Gesù e nostra, è anche una storia di mani.

Questa celebrazione è memoria abbondante di quelle mani, segno di Gesù, che ci hanno trasmesso il dono del sacramento dell’Ordine; quel dono stupendo che è in noi “per imposizione delle mani”; quel dono che sarà trasmesso a Carmine, Giuseppe e Salvatore nei prossimi mesi e poi, di mano in mano, si effonderà per una nuova stagione vocazionale nella nostra Chiesa.

Mani che il tre ottobre 1987 consacrarono Mons. Gioacchino Illiano vescovo di questa Chiesa; e il 2 luglio 1962 effusero il dono del presbiterato su Mons. Alfonso Desiderio.

Storia di mani …

Sono le mani del Padre, che dall’eternità donano il Figlio al mondo.

Sono le mani dello Spirito, mani del Padre e del Figlio, che attualizzano l’oggi della salvezza in questa Cattedrale.

Sono le mani di Maria e Giuseppe, che accolgono il Figlio del Padre e lo offrono ai figli del mondo.

Sono sempre le mani di Gesù che benedicono, guariscono, accarezzano, consolano, trasformano.

Sono le mani di Gesù, nascoste nelle mani dei genitori e dei sacerdoti, che ripete ad ogni uomo dalla mano inaridita: “Tendi la mano!” (Mc 3,5).

Sono sempre le mani di Gesù che, strette alle mani presbiterali, sollevano l’umanità ferita “prendendola per mano” (Mc 1,31).

E la storia della Passione, oltre che storia di piedi, è innanzitutto una storia di mani: di mano in mano.

Le mani di Pilato, lavate per non compromettersi; le mani di Giuda, che consegna Gesù; sono le mani della folla che si levano a condannare; ma soprattutto è la mano di Dio che, nella logica insondabile dell’amore, consegna il Figlio.

Mani di ieri e di oggi; le nostre mani, sempre sporche, eppure sempre desiderose di trasparenza, unte dall’olio di letizia, che diventa balsamo per ogni ferita.

Sono le mani di Gesù inchiodate alla croce, che schiodano le tante mani inaridite e sclerotizzate. E sono ancora le mani della Madre, Icona di ogni tenerezza, che accoglie il Figlio deposto dalla croce nel vespro dell’offerta generosa.

E sono, finalmente, le mani radiose del Risorto, che inviano gli apostoli, che si lasciano guardare: “Guardate le mie mani!” (Lc 24,39).

Mani e piedi che salgono al cielo per effondere lo Spirito su altre mani, altri piedi, quelli della Chiesa e dei sacerdoti nella Chiesa, che continuano l’opera del Maestro, i suoi gesti di perdono, di pace, di salvezza.

Storia meravigliosa di piedi e mani è il racconto di ogni vocazione, a cui tante mani e piedi hanno contribuito. Storia dei piedi stanchi del figlio prodigo, dissipatore, che ritorna a casa e trova le mani aperte del Padre per l’abbraccio della misericordia e per iniziare la festa del ringraziamento.

Sono le mani che, nella sera in cui fu tradito, prendono il Pane e il Calice … per questo parlando dell’eucaristia, san Giovanni Crisostomo dice:

“Qui vi è la stessa stanza del Cenacolo in cui allora stavano i discepoli; da qui partirono verso il monte degli ulivi. Partiamo anche noi da qui per andare a trovare le mani dei poveri, perché esse sono il nostro ‘monte degli ulivi’. Si, la moltitudine dei poveri è come un bosco di ulivi seminati nella casa di Dio. È da lì che fluisce l’olio che ci sarà necessario per andare come vergini sagge con le lampade piene incontro allo sposo …” (Giovanni Crisostomo, in Mattheo 82,4-6).

“E il cuore quando di un ultimo battito, avrà fatto cadere il muro d’ombra per condurmi, Madre, sino al Signore …” (Ungaretti), oltre la siepe, oltre il velo del sacramento, che succederà?

“Ci verrà incontro il Signore Gesù per giudicarci con amore.

Come è bello sapere che nessun uomo sarà il nostro giudice, perché nessuno potrebbe essere buono e misericordioso come Gesù.

Per quanto siamo stati insufficienti, incompleti e colpevoli, non potremo esserlo stati tanto quanto Lui è buono.

Sarà il primo che incontreremo e lo abbracceremo con le mani consacrate per Lui” (Giovanni cardinal Colombo).

+ Giuseppe Vescovo