Non occorre essere sociologi, ma avere uno sguardo raffinato dal tempo e dalla fede, per accorgersi che viviamo una stagione confusa, dove è scardinato il concetto stesso dell’essere umano, e non parliamo poi dell’essere cristiano e cattolico. Per fede sappiamo che la nostra Chiesa ritorna al suo Signore, anzi Egli le verrà incontro; ma sempre e nuovamente deve attraversare il deserto della storia, con i suoi rischi, i suoi serpenti e i tanti mormoranti. La nostra Chiesa ha sempre un avvenire, che le viene dal Signore, ed è sempre mandata ad annunciare, a genti e luoghi diversi, la notizia buona e bella.

Come Chiesa stiamo tornando da Cagliari, dove abbiamo lavorato sul tema del lavoro con tutti gli aggettivi (libero, creativo, partecipativo, solidale), ma con la consapevolezza che manca il sostantivo, cioè il lavoro. Abbiamo ascoltato tante buone pratiche, gli impegni del governo e ci siamo accorti come sempre più bisogna essere concreti, precisi, incarnati, documentati, senza dimenticare la bellezza della liturgia. Ecco, questo potrebbe essere un problema come Chiesa: sbilanciarsi sul sociale, che è urgenza ed emergenza, e dimenticare che per noi tutto nasce dall’incontro con Lui. Urge nuova sintesi e recuperato equilibrio per essere la Chiesa del Signore.

La nostra Chiesa va verso il Sinodo dei giovani; deve ascoltarli, camminare con loro, farsi provocare dalla loro giovinezza e proporre il Vangelo. Ma, prima di tutto, deve stimarli e non trattarli da cartine di tornasole. La nostra Chiesa deve lasciarsi raggiungere dalla profezia dell’Evangelii Gaudium, dell’Amoris Laetitia e della Laudato sii, senza preconcetti, ma con cuore aperto e cattolico. Firenze, Genova, Cagliari e poi le altre città e periferie dove lo Spirito conduce la Chiesa, che sempre deve stare dentro, non dirimpettaia, con la Parola, il Pane e i Poveri.

E seguire Francesco che per la nostra Chiesa italiana sta ridisegnando un nuovo itinerario profetico: don Milani, don Mazzolari, don Bello, andando a riprendere e consegnare alla comunità profeti scomodi, ma che hanno in comune l’amore alla Chiesa sempre, nonostante e comunque, in un’obbedienza vera e rispettosa, fatta in piedi e da appassionati di Cristo. La nostra Chiesa deve stare dentro, come sale e lievito, e deve stare in alto, come città posta sul monte, senza omologarsi ai metodi della cattiva politica, ma ricordare che la politica è il più alto atto di carità quando è rivolto al bene del popolo e di tutta città, la polis.

Così servirà l’uomo, ogni uomo e tutto l’uomo, e lo farà non confondendosi con le ONG, ma rimanendo in ginocchio dinanzi al suo Signore e in piedi, per servirlo nella sua dignità, dinanzi al povero che incontra nel suo itinerario verso il Regno.

Mons. Giuseppe Giudice, vescovo