Orientamenti Pastorali 2015-2016
ORIENTAMENTI PASTORALI 2015-2016
Una Chiesa riconciliata, ambasciatrice di misericordia
Carissimi,
dopo la bella Sosta ecclesiale, il lavoro dei Laboratori, l’ascolto dei Consigli Pastorale e Presbiterale e l’attenzione alle voci dei tanti che, nelle nostre comunità, invocano il dono e il gesto della misericordia, è compito del Vescovo offrire gli Orientamenti Pastorali.
Raccolgo in essi, in modo sintetico, le tante voci, le parole condivise e presentate, le speranze, le ansie e le attese, tante e variegate, in modo da offrire una traccia per aiutare la nostra Chiesa, semper reformanda, a camminare sui sentieri della santità per rimanere permanentemente giovane.
È un atto che compio con gioia e come segno di responsabilità che il Pastore ha verso il suo gregge, il suo popolo, affinché a nessuno manchi il cibo sostanzioso, il latte spirituale (1Pt 2,2), per crescere verso la salvezza.
Dagli Orientamenti, attraverso il servizio degli Uffici Diocesani, devono scaturire i Percorsi pastorali e l’Agenda pastorale, segni ed indicazioni condivise per un cammino di Chiesa radicata nel territorio di Nocera Inferiore – Sarno.
Mi impegno con questi Orientamenti, volutamente stringati, ad offrire delle suggestioni in cinque punti, quasi a voler intercettare le cinque vie verso Firenze, vie sempre aperte e percorribili verso l’umano: uscire – annunciare – abitare – educare – trasfigurare, così da stare con discernimento, in comunione con Pietro, nella Chiesa italiana.
Ed è questo radicamento nella pastorale diocesana, sempre da riscoprire, in comunione effettiva ed affettiva con il Vescovo, la garanzia che il nostro lavoro pastorale, dovunque si svolga, riceve il sigillo della volontà di Dio.
Dall’ascolto sereno e sincero della nostra gente, dei battezzati (cf. EN, 75), due sembrano essere le richieste che ci rivolgono con insistenza:
– l‘esigenza della formazione;
– l’attenzione alle famiglie.
È giunto il momento di ridare alla formazione il primato nella nostra pastorale. Formazione e non informazione, al cui compito assolvono, non sempre in modo corretto, i mezzi della comunicazione.
Pensando alla formazione, non diciamo che non ci sia e non sia stata fatta, ma non può più essere lasciata alla buona volontà di qualche parroco o di qualche ufficio e dispersa in tanti rivoli.
La formazione, per creare uomini nuovi ed evangelici, non può essere frastagliata, frantumata, ripetitiva e settoriale, quasi che ogni gruppo si deve industriare a mettere su un corso di formazione, a proprio gusto e piacimento. Deve essere compito della Diocesi, recuperando la competenza di tanti sacerdoti e dei fedeli laici che hanno studiato, pensare ad un modulo formativo, in modo che l’offerta formativa, intercettando la domanda che viene dal basso, possa offrire a tutti, in modo sistematico e variegato, il latte spirituale e il cibo solido per essere una Chiesa attenta alla crescita di tutti.
L’analfabetismo religioso, non poche volte, ha contagiato anche i nostri operatori pastorali che, se sempre sono ottimi animatori, non sempre sono buoni formatori.
Quando esplodono tensioni nelle nostre comunità e nella pietà popolare, ci accorgiamo come difetti la formazione e manchino i maestri-testimoni e come, per alcuni, è opzione la stessa partecipazione alla messa domenicale, cuore della vita cristiana.
Un modulo formativo, spalmato nel tempo e aperto a tutti, obbligatorio dal punto di vista morale, nel senso che non posso improvvisarmi operatore pastorale se non sento l’esigenza dell’approfondimento, può aiutare la nostra Chiesa a vivere la “pastorale dell’intelligenza” per evitare che essa, staccata dal dato teologico e magisteriale, scada a semplice ed inutile pastorizia. È bene insistere di meno sull’aspetto didattico, ma di più sulla finalità pastorale per avere credenti adulti e credibili.
Formati spiritualmente, culturalmente, teologicamente, saremo capaci non solo di formare, ma di accompagnare tutti e ognuno, attraverso i tornanti della nostra cultura, all’incontro con Lui, sempre cercato e amato.
La seconda esigenza, che viene fuori dall’ascolto dei Laboratori, è l’attenzione alle famiglie.
Bisogna ripensare, in sintonia con il Sinodo, una pastorale familiare, meno aggressiva e monotematica, non solo pronta a dare istruzioni per l’uso, ma capace di stare con le famiglie per imparare da esse nuovamente la grammatica dell’umano.
Proprio noi, che abbiamo rinunciato ad una famiglia umana per entrare nella famiglia di Gesù, ci presentiamo, a volte, come esperti di pastorale familiare, senza conoscere, non di rado, la bellezza e la fatica delle famiglie, senza aver mai trascorso una notte accanto ad un bambino che piange, o a un anziano che sta male.
Dobbiamo avere l’umiltà di stare accanto alle famiglie, risvegliare in esse il Vangelo della famiglia; ascoltare, accogliere, capire e far sì che si inseriscano, come piccole chiese nate dal sacramento, nella grande Chiesa per dare alle nostre comunità il respiro, i tempi, le esigenze e gli orari della famiglie e la bellezza e concretezza della casa.
Stando con le famiglie e parlando meno della famiglia, forse impareremo il dialogo tra le generazioni, evitando che le nostre parrocchie diventino orfanotrofi o ludoteche e dando alle famiglie, sullo stile di Aquila e Priscilla (cf. At 18,2), la capacità di essere domus ecclesiae, case dove Gesù entra e si ferma per dire la bellezza del vivere in famiglia, come a Nazaret, e nelle tante case dove Lui si è fermato per restituire ogni uomo alla vita.
Ci inoltriamo ora, insieme e brevemente, sulle cinque vie verso Firenze.
- Un gesto di riconciliazione
Tanto che, se uno è in Cristo, è una nuova creatura; le cose vecchie sono passate; ecco, ne sono nate di nuove.
Tutto questo però viene da Dio, che ci ha riconciliati con sé mediante Cristo e ha affidato a noi il ministero della riconciliazione. Era Dio infatti che riconciliava a sé il mondo in Cristo, non imputando agli uomini le loro colpe e affidando a noi la parola della riconciliazione. In nome di Cristo, dunque, siamo ambasciatori: per mezzo nostro è Dio stesso che esorta. Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio. Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo fece peccato in nostro favore, perché in lui noi potessimo diventare giustizia di Dio. (2Cor 5,17-23)
Ad ognuno è chiesto, nell’Anno Santo straordinario della Misericordia, un gesto di riconciliazione.
Con chi? Innanzitutto con il Signore. Dal rapporto ricucito con Lui, il Signore della mia vita, è possibile rifare il tessuto sfilacciato delle nostre comunità familiari, amicali, parrocchiali e associative. Solo una Chiesa riconciliata, con il Signore e tra di noi nella ricchezza della diversità, può osare di andare in missione verso le frontiere, che oggi anelano a diventare soglie.
È urgente mantenere integra la tunica di Gesù (cf. Gv 19,23-24), evitando la strategia di Penelope che distrugge di notte ciò che è stato costruito di giorno. Da lei, però, possiamo imparare il dono sempre nuovo della fedeltà.
- Un tempo di riposo
Il Signore parlò a Mosè sul monte Sinai e disse: “Parla agli Israeliti dicendo loro: “Quando entrerete nella terra che io vi do, la terra farà il riposo del sabato in onore del Signore: per sei anni seminerai il tuo campo e poterai la tua vigna e ne raccoglierai i frutti; ma il settimo anno sarà come sabato, un riposo assoluto per la terra, un sabato in onore del Signore. Non seminerai il tuo campo, non poterai la tua vigna. Non mieterai quello che nascerà spontaneamente dopo la tua mietitura e non vendemmierai l’uva della vigna che non avrai potata; sarà un anno di completo riposo per la terra. Ciò che la terra produrrà durante il suo riposo servirà di nutrimento a te, al tuo schiavo, alla tua schiava, al tuo bracciante e all’ospite che si troverà presso di te; anche al tuo bestiame e agli animali che sono nella tua terra servirà di nutrimento quanto essa produrrà. (Lv 25,1-7)
Dovremmo dunque avere il timore che, mentre rimane ancora in vigore la promessa di entrare nel suo riposo, qualcuno di voi ne sia giudicato escluso. Poiché anche noi, come quelli, abbiamo ricevuto il Vangelo: ma a loro la parola udita non giovò affatto, perché non sono rimasti uniti a quelli che avevano ascoltato con fede. Infatti noi, che abbiamo creduto, entriamo in quel riposo, come egli ha detto:
Così ho giurato nella mia ira:
non entreranno nel mio riposo!
Questo, benché le sue opere fossero compiute fin dalla fondazione del mondo. Si dice infatti in un passo della Scrittura a proposito del settimo giorno: E nel settimo giorno Dio si riposò da tutte le sue opere . E ancora in questo passo: Non entreranno nel mio riposo! Poiché dunque risulta che alcuni entrano in quel riposo e quelli che per primi ricevettero il Vangelo non vi entrarono a causa della loro disobbedienza, Dio fissa di nuovo un giorno, oggi, dicendo mediante Davide, dopo tanto tempo:
Oggi, se udite la sua voce,
non indurite i vostri cuori!
Se Giosuè infatti li avesse introdotti in quel riposo, Dio non avrebbe parlato, in seguito, di un altro giorno. Dunque, per il popolo di Dio è riservato un riposo sabbatico. Chi infatti è entrato nel riposo di lui, riposa anch’egli dalle sue opere, come Dio dalle proprie. Affrettiamoci dunque a entrare in quel riposo, perché nessuno cada nello stesso tipo di disobbedienza.
Infatti la parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito, fino alle giunture e alle midolla, e discerne i sentimenti e i pensieri del cuore. (Eb 4,1-12)
Il Giubileo, l’Anno Santo, è un invito al riposo, che non è il disimpegno o l’accidia.
Il Santo Padre ci ha regalato due testi che, in quest’anno, possiamo leggere attentamente e cercare di convertirli in gesti concreti: la Bolla di indizione dell’Anno Santo: Misericordiae Vultus, e l’Enciclica Laudato sii.
Contemplando il Volto della misericordia, saremo abilitati a cercare quel volto nella creazione e nella bellezza dell’ambiente, restituito, attraverso le nostre persone riconciliate, alla sua funzione educativa.
Siamo entrati anche noi in una sorta di consumismo pastorale e facciamo tante cose, forse troppe, e non sempre ci fermiamo per riflettere e andare al cuore delle cose che operiamo. Il Giubileo diventa un invito pressante al riposo della terra e del nostro cuore, per ricordarci che Altro e Altrove è il centro.
- Il luogo del riposo
Ed egli, chinandosi sul petto di Gesù, gli disse: “Signore, chi è?” (Gv 13,25)
Pietro si voltò e vide che li seguiva quel discepolo che Gesù amava, colui che nella cena si era chinato sul suo petto e gli aveva domandato: “Signore, chi è che ti tradisce?”. (Gv 21,20)
Nella confusione generale che abitiamo, dove riposare, dove trovare il nutrimento per poi riprendere il cammino?
Come Chiesa, torniamo al Cenacolo, all’Eucaristia, a posare il nostro capo sul petto del Maestro.
Terra santa, spazio di festa, casa di riconciliazione, giardino di riposo e bellezza è la Santissima Eucaristia, che racchiude tutto il bene spirituale della Chiesa (cf. PO 5).
Sorelle e Fratelli, a messa!
È il luogo della nostra pace ed è la scuola per umanizzare e trasfigurare la nostra vita e il mondo.
Come Pastore, non mi stancherò mai di ripetere: è Domenica, a messa!
Senza la messa, è anemica qualsiasi pastorale e specialmente quella familiare perché non riesce a mettere insieme la tavola e la mensa.
Amiamo la messa, preserviamo la messa, educhiamo al valore della messa e recuperiamo la festa domenicale.
La messa è il testamento di Gesù. È la sua prima presenza sotto il velo del sacramento, che sempre ci rimanda al sacramento del fratello.
- Le opere di misericordia
L’Anno Santo, il Giubileo della misericordia, ci aiuterà a rileggere e a ritrascrivere nel nostro territorio le opere di misericordia spirituale e corporale.
Egli si nasconde, Volto della misericordia del Padre, nella Parola, nel Pane e nei Poveri.
Cerchiamolo! Ricordo a me e ad ognuno di voi che è bello riprendere e vivere le quattordici opere della misericordia spirituale e corporale.
- Un inno alla gioia
In verità, in verità io vi dico: voi piangerete e gemerete, ma il mondo si rallegrerà. Voi sarete nella tristezza, ma la vostra tristezza si cambierà in gioia.
La donna, quando partorisce, è nel dolore, perché è venuta la sua ora; ma, quando ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più della sofferenza, per la gioia che è venuto al mondo un uomo. Così anche voi, ora, siete nel dolore; ma vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno potrà togliervi la vostra gioia. Quel giorno non mi domanderete più nulla.
In verità, in verità io vi dico: se chiederete qualche cosa al Padre nel mio nome, egli ve la darà. Finora non avete chiesto nulla nel mio nome. Chiedete e otterrete, perché la vostra gioia sia piena. (Gv 16,20-24)
Nel quinto punto, o via, voglio invitarvi a raccogliere almeno un frutto dal Concilio Giovane, che ancora stiamo vivendo e sarà sempre la trama del nostro discorso ecclesiale.
Noi viviamo del Concilio Vaticano II e, senza il Concilio, non possiamo vivere, perché ci mancherebbe il respiro ecclesiale, dono dello Spirito.
Il Maestro ci invita alla gioia e nel contesto della Cena, mentre si addensano le nuvole della Passione, Egli promette la gioia e parla della gioia.
È una indicazione stupenda, meravigliosa, che non possiamo sottovalutare dal punto di vista pastorale.
Mentre attorno a noi si addensano le nuvole, noi siamo chiamati a vivere la gioia, la gioia cristiana.
Certamente il credente non è un ridanciano, un crapulone, un pulcinella, ma è uomo della gioia, che è dono dello Spirito Santo.
La gioia del cristiano conosce i dolori del parto, la tristezza, le doglie, ma di più il canto per la vita che nasce.
Radicata nell’albero della Croce, la gioia cristiana non può essere tolta da nessuno, risplende dappertutto, anche in un mondo che parla del silenzio di Dio.
Dove abita questa gioia? Nel cuore dei Santi, nella Parola, nel Pane e nei Poveri, e in tutti coloro che, sedotti dal Signore, diventano giullari dell’amore di Dio.
Abita negli occhi trasparenti di tanti, a cominciare dai nostri bambini e dai sofferenti, nei quali noi leggiamo lo spartito sempre nuovo dell’inno alla gioia.
Ed è questa gioia, frutto e dono dello Spirito, che noi chiediamo come un regalo durante l’Anno della Misericordia.
Nel frattempo, affidandoci alla Madre della Misericordia, come Chiesa preghiamo:
Maria, Mater Misericordiae,
sorella nostra, Amica,
Compagna sulle strade della fede,
prendici per mano
e, uniti a te,
aiutaci ad attraversare
la Porta della Misericordia
per entrare, rinnovati,
nella gioia dell’Anno Santo.
Riconciliati con il Padre,
attraverso la Croce del Figlio,
resi nuove creature dallo Spirito,
anche noi, avvolti dal manto della misericordia,
ritornati semplici, puri e amici di tutti,
ricchi di speranza e carità,
riprenderemo le strade della nostra storia
per ritrascrivere nelle povere storie le opere della Misericordia
e accompagnare ogni uomo all’incontro con tuo Figlio,
Gesù, nostro Signore e nostra Pasqua,
Volto della Misericordia del Padre.
Vi benedico,
† Giuseppe Vescovo
Nocera Inferiore, 29 giugno 2015
Solennità dei Santi Pietro e Paolo