Esercizi Spirituali per Sacerdoti 2011
Il presbiterio di Nocera Inferiore – Sarno rilegge il Vangelo di Marco
Meditazioni di Sua Ecc.za Rev.ma Mons. Giuseppe Giudice
Esercizi Spirituali Diocesani – Abbazia di Noci (BA)
Prima meditazione – lunedì 7 novembre 2011 – introduzione
Il tono dei nostri presbiteri è sceso quando abbiamo trascurato la preghiera – attenzione ai presbiteri malati e a quelli che hanno lasciato, fanno sempre parte della nostra Chiesa.
Il vescovo annuncia che dopo la visita ai sacerdoti, incontrerà i diaconi permanenti, poi, a partire da febbraio, le case religiose.
In disparte
“Venite in disparte”, dice Gesù. Dio stesso si riposò: “Dopo aver creato l’uomo perché ormai aveva qualcuno a cui perdonare” (S. Ambrogio). Si ritira dopo aver creato. Il riposo di Dio non è una pigrizia, non lascia l’uomo da solo ma è un segno della fiducia che Egli ripone in noi. La stessa fiducia che dovremmo avere per le nostre comunità.
Nel deserto
Dopo il battesimo lo Spirito getta Gesù nel deserto. “Quando geme il vento è il deserto che piange perché non è giardino” (proverbio arabo). Il deserto è il luogo del silenzio e della prova, il luogo dove ci scopriamo con il nostro volto, non c’è altro. il deserto è il luogo dove Dio parla al cuore (Os 2), molti parlano all’intelligenza. Il deserto fiorirà come un giardino, dice Isaia. Il deserto è anche il luogo della prova, come leggiamo nel Deuteronomio:
“Ricordati di tutto il cammino che il Signore tuo Dio ti ha fatto percorrere in questi quarant’anni nel deserto, per umiliarti e metterti alla prova, per sapere quello che avevi nel cuore e se tu avresti osservato o no i suoi comandi” (Dt 8,2)
Il silenzio fa paura. Paura di incontrarci con noi stessi. Eppure Dio ci attende nel deserto del cuore. il deserto è il luogo della grande tentazione: Israele – Gesù. Gesù va nel deserto perché mandato dallo Spirito. Ci perdiamo quando andiamo da soli.
Quando diciamo che c’è il deserto, a livello pastorale o spirituale, diciamo una negatività. Ma il deserto può fiorire!
Siamo nati in un giardino. È successo qualcosa che ha dato origine ad ogni altro squilibrio. Il giardino è il luogo della disobbedienza, ed è quello che mostra la fragilità. Inizia qui la mancanza di armonia. Il primo peccato: io al posto di Dio. Dio non ci ha lasciato nudi. “Quando si ascolta la Parola Dio ritorna a passeggiare nel giardino” (s. Ambrogio). Prima che il giardino diventi luogo della resurrezione, bisogna fare lo stesso percorso di Gesù: passare attraverso la croce. Gv 18: uscì, passò il torrente Cedron ed entrò in giardino –
Dio si riposa perché è umile. Solo l’umile sa lasciare. Se pensiamo di essere indispensabili, non lasciamo mai. Il riposo è un atto di fede – “Dio è Dio, ma l’uomo non è Dio” (K.Barth). Riposandosi l’uomo lascia tutto nelle mani di Dio. Come avviene nel sonno. Non siamo Gesù ma il segno di Gesù. Non siamo lo Spirito santo ma siamo ricreati da Lui. Non siamo il tutto ma solo una parte. E non sempre quella migliore.
Nel mistero del sabato santo
Tempo forte dello spirito: l’espressione va chiarita. Lo Spirito è sempre forte, è il nostro spirito che non è sempre forte, non sempre è in sintonia con lo Spirito. Tempo di rinnovamento: senza la pretesa di cambiare tutto, iniziamo da qualcosa. Esercizi al plurale perché sono diverse attività (ascolto, preghiera, silenzio, riconciliazione sacramentale …). Esercizi per essere in esercizio.
Con gli esercizi spirituali entriamo nel mistero del sabato santo. La pastorale del sud è ancora troppo legata al venerdì santo. Siamo più attenti alla condivisione delle croci che alle gioie della vita. il sabato santo è un tempo sospeso, il tempo della fede. La tenerezza e l’amore del giovedì santo. Il dolore del venerdì santo. Manca il sabato. Qui il tempo è sospeso. È questo il giorno delle domande: sarà Pasqua? Ritornerà? È proprio vero quello che ci ha detto. Ratzinger: “Tutta la nostra storia è un sabato santo”. È il giorno in cui può emergere il dubbio. “Sabato santo, il tuo chiaror ci abbaglia” (Betocchi). È il giorno della speranza. il giorno del riposo di Dio.
I discepoli dove sono? Fuggiti. Assenti. Solo Maria resta al suo posto. Tutta la vita pastorale è un sabato santo. Viviamo nell’attesa della resurrezione. Un giorno carico di mistero. Il vino nuovo chiede otri nuovi. altrimenti ci spacchiamo, come gli otri. Non riusciamo a contenere la novità di Dio. il sabato ricorda che la vita è una grande veglia, attraverso i quattro segni che dobbiamo riscoprire. In questo giorno una donna veglia: Maria, la “cattedrale del silenzio”.
Nell’attesa che l’alleluia venga a spezzare il silenzio, custodiamo la speranza. entriamo nel sabato santo smarriti e stanchi ma con la certezza che Dio è fedele. Colui che mi giudicherà è lo stesso che mi ha chiamato e mi ha lavato i piedi. Dio non dimentica. Egli si china sui nostri piedi per rimetterci in piedi, si abbassa per poterci rialzare. Non ci vuole piegati ma risorti. Un gesto semplice che può apparire banale ma è un gesto di tenerezza. L’uomo orgoglioso non si fa lavare i piedi. La Chiesa è come la mamma che lava i piedi ai bambini e di lei non ci vergogniamo. Lavare i piedi di tutti, anche quelli di Giuda. L’amore inizia lavando i piedi, poi possiamo anche guardare il volto.
Il senso degli esercizi
“Eserciti la cura d’anime, non trascurare la cura di te stesso” (san Carlo). “Ricordati di restituire te a te stesso” (san Bernardo). Triplice certezza: a) siamo amati – per poter diventare amanti, dobbiamo sentirci amati, accolti, attesi b) siamo cercati – c) siamo perdonati per ricominciare a perdonare.
Vangelo di Marco
Leggeremo tutto il Vangelo di Marco. Il Vangelo più breve. Un Vangelo “prosciugato”, scrive Ravasi. Per questo è stato sottovalutato. Sant’Agostino lo tratta come un Vangelo minore. I Padri non commentano il Vangelo di Marco. Usa un linguaggio essenziale, semplice, usa la congiunzione kai come un bambino che inizia a scrivere. C’è una ricchezza, con poche parole descrive la profondità del mistero. Mc 9: le vesti Gesù bianche come nessun lavandaio potrebbe renderle così bianche. Da imitare per le nostre omelie. Il Vangelo da dare in mano a chi comincia e a chi ricomincia.
Marco scrive per una comunità di origine pagana. Un catechismo essenziale vicino alla cultura romana. Esempio di inculturazione. Usa le immagini e non i concetti. Le immagini sono aperte: ad esempio il chicco di grano. Fare catechesi con i concetti è cosa diversa dalla narrazione. Ha inventato lo schema del Vangelo: dal battesimo alla resurrezione. Non è giunto nella sua forma completa.
Il suo è un annuncio di fede, non è solo un testo narrato ma un testo creduto. Tre livelli: 1) pre-catecumenato – 2) catecumenato – 3) il credente. Spesso trattiamo le persone come credenti e invece non sono nemmeno nel pre-catecumenato. La pastorale crolla costruiamo sul terzo dato.
In Marco non c’è tanto un’idea da capire ma un fatto da ricordare, riportare nel cuore. possiamo distinguere due grandi sezioni: 1) Mc 1-8: Gesù vero uomo – 2) Mc 8-16: Gesù vero Dio.
Seconda meditazione – Martedì 8 novembre
Alcune premesse
Il silenzio non come proibizione ma come dono: Ap 8,1: “si fece silenzio in cielo per circa mezz’ora”. Le chiese come luogo per disintossicarsi del chiasso, del rumore.
“Serba ordinem, ordoserbavit te”.
Non c’è adorazione eucaristica comunitaria, è una scelta: Gesù non è sempre esposto pubblicamente, ma è sempre nascosto nel tabernacolo
Per liberarci da ciò che ingombra la vita. “Sono venuto al mercato per vedere tutto ciò di cui non ho bisogno” (Socrate). Troppe cose ingombrano la nostra vita. Un poeta indiano ha così espresso la sua ricerca di Dio:
« Tienimi alla tua porta / come servo vigile e attento: / mandami come messaggero per il Regno / a invitare tutti alle tue nozze. / Non permettere che io affondi / nelle sabbie mobili della noia, / non lasciarmi intristire dall’egoismo, / in pareti strette, senza cielo aperto. / Svegliami se m’addormento nel dubbio / e sotto la coltre della distrazione, / cercami, se mi perdo nelle molte strade / tra grattacieli di inutili cose. / Non permettere che io pieghi il cuore / all’onda violenta dei molti: / tienimi alta la testa, / orgoglioso d’essere tuo servo » (RobindronathTagore)
Liberarci dal nostro piccolo mondo antico: a volte siamo legati a piccole cose che ci trattengono. Liberarci da tre atteggiamenti: 1) il collo girato all’indietro (la purificazione della memoria) – non significa dimenticare il passato ma non ritornare su cose del passato e in particolare sul peccato – 2) ripiegati a guardare solo la punta dei piedi, ripiegati sul presente, come Narciso che per guardare troppo nell’acqua annega – liberarci dall’attimo fuggente – 3) il collo verso l’esterno: essere così protesi verso il futuro da dimenticare presente e passato – se siamo evasori siamo evasori del presente, è più facile rifugiarci nel passato, fuggire nel futuro, con fatica viviamo il presente. Un avverbio che ritorna con frequenza nei Vangeli è oggi.
La nostra spiritualità è quella del presbitero diocesano. Nasce dall’Ordine e dall’incardinazione. Questa è la grazia e anche il limite. Non siamo mendicanti di altre spiritualità. Anche se accogliamo con umiltà ogni spiritualità con un sano discernimento. Senza perdere la propria identità. Uno dei frutti del Vaticano II è aver dato al presbiterio una sua precisa identità, negli ultimi decenni è aumentata la qualità della vita sacerdotale. Quando siamo inviati in qualche realtà ecclesiale, ricordiamo che siamo preti in mai preti di. Vi sono molti risvolti pastorali che oggi non possiamo approfondire.
Accogliamo la spiritualità benedettina perché tutto ci arricchisce, come affluenti della nostra spiritualità. La Regola di san Benedetto ricorda un principio cardine della vita e della spiritualità cristiana: Ora et labora. Oggi siamo passati dall’Ora et labora al labora et ora, per poi approdare allabora et labora. San Benedetto offre tre strumenti: il libro, l’aratro e la croce. 1) Il libro: Vangelo e cultura. La grande tragedia è la separazione tra Vangelo e cultura. 2) L’aratro: lavoro manuale e lavoro intellettuale. San Paolo ricorda: “Chi non vuole lavorare neppure mangi” (2Ts 3). Non vivere nella continua agitazione. Formazione permanente. Da quanto tempo non leggo più un libro. 3) la croce: non cercata ma accolta. Come il cireneo che torna dai campi.
Marco capp. 1-2
Premessa: “Risuona la Parola, il diavolo si è allontanato” (sant’Agostino). “La Parola zittì chiacchiere mie” (Clemente Rebora)
“Inizio del vangelo di Gesù Cristo, Figlio di Dio” (Mc 1,1): qui c’è tutto! Siamo sulla porta della chiesa ed è già scritto tutto. Poi avanziamo nella chiesa, verso l’abside e scopriamo quello che è già scritto sulla porta. Marco non dice Gesù il Cristo ma Gesù Cristo. In Mc 15,39 troviamo la conclusione: “Veramente quest’uomo era figlio di Dio”. ma questo cammino dobbiamo farlo a piedi. A volte ci fermiamo sul portale, ammiriamo la bellezza del portale. Se restiamo sulla soglia non abbiamo fatto il cammino di fede. Per vedere bene dobbiamo avanzare, arrivare fino alla croce.
Quattro colonne
Mc 1,1 – 1,11 – 8,29; 15,39: sono le quattro colonne che mantengono tutto il Vangelo di Marco.
Mc1,1: è il titolo, l’annuncio che tutto racchiude.
Mc 1,11: “Tu sei il Figlio mio” – è il Padre che parla
Mc 8,29: “Tu sei il Cristo” – è Pietro, la Chiesa che inizia a confessare la fede – per Pietro è ancora uno dei Messia, la professione di fede in Marco è incompleta –
Mc 15,39: “era figlio di Dio”: la prima professione completa viene da un pagano
“Un uomo senza Cristo, un Cristo senza Dio” (Paolo VI) – Gesù diventa solo uno dei tanti. Se non è Figlio di Dio non mi salva.
Un angelo e una voce
Mc presenta Giovanni come un messaggero (ton aggelon, leggiamo in Mc 1,3) e una voce (1, 3-4).
Ecco, io mando il mio messaggero davanti a te, egli ti preparerà la strada. 3Voce di uno che grida nel deserto: preparate la strada del Signore, raddrizzate i suoi sentieri, 4 si presentò Giovanni a battezzare nel deserto, predicando un battesimo di conversione per il perdono dei peccati.
Il vestito di Giovanni è quello di Elia, il profeta che annuncia i tempi futuri:
5 Accorreva a lui tutta la regione della Giudea e tutti gli abitanti di Gerusalemme. E si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati. 6 Giovanni era vestito di peli di cammello, con una cintura di pelle attorno ai fianchi, si cibava di locuste (cavallette) e miele selvatico
Look di Giovanni (1,6): si trova nel deserto, vuol dire che siamo già usciti dall’Egitto. Giovanni ha i fianchi cinti, come per la Pasqua, come coloro che attendono il padrone quando torna. Mangia locuste: immagine della Parola che vince il serpente, anche il miele è immagine della Parola (salmo) –
Giovanni è il santo del dito, colui che indica un Altro che sta per venire: c’è già una prima cristologia: uno che viene dopo di me, ma più forte di me. Egli non può slegare il mistero, sarà sciolto sulla croce. Giovanni battezza con acqua, il Messia vi battezzerà nello Spirito.
7 e predicava: «Dopo di me viene uno che è più forte di me e al quale io non son degno di chinarmi per sciogliere i legacci dei suoi sandali. 8 Io vi ho battezzati con acqua, ma egli vi battezzerà con lo (in) Spirito Santo».
Il battesimo di Gesù – Nelle acque Gesù diventa il povero con i poveri. Mc non ha il Vangelo del natale: qui egli parla del natale e della Pasqua. Nelle acque Gesù s’immerge, sulla croce viene innalzato. Qui lo vediamo in fila con i peccatori, là lo vedremo in croce con i malfattori. Qui inizia il servizio regale, là lo vedremo sul trono. Qui s’immerge nell’acqua dive tutti nasciamo, là … si squarciano i cieli, là il velo del tempio; qui scende lo Spirito, là diede lo Spirito – qui una voce dal cielo lo riconosce figlio, là una voce della terra lo riconosce Figlio.
Gesù non ha bisogno di essere battezzato, ma le acque hanno bisogno di essere purificate. Stava nel deserto con le bestie: il deserto è diventato giardino. Is 11: il lupo e l’agnello. La creazione è ricreata in Cristo. La Chiesa battezza perché i bambini non sono innocenti. In Gen tre forme del peccato: Adamo ed Eva, Caino e Abele, la costruzione di Babele. Mettersi al posto di Dio, uccidere i fratelli, confondere la lingue. Ontologicamente siamo segnati dal male.
Geografia pastorale di Gesù
Fare attenzione al territorio – la prima predica di Gesù (1, 15). Nessuna rivelazione aggiunge nulla a quello che Gesù ha detto all’inizio. Il tempo è compiuto: vi è una linearità, siamo in cammino verso un oltre. Non come Sisifo che torna sempre allo stesso punto.
La chiamata arriva quando vuole il Signore, avviene in un luogo ordinario. “Quando uno è ai tuoi occhi, tanto è e nulla di più” (Imitazione di Cristo). La vocazione è anzitutto uno sguardo. “Ancora informe mi hanno visto i tuo occhi”. “Ma come mai appena li chiamati sono andati dietro a lui?”, chiede san Girolamo. La parola di Dio è creatrice. Appena li chiama li ha anche ricreati. Il tempo della vocazione è subito. Lasciano le cose e gli affetti. “La fede è … un paio di piedi legati al cuore”.
La teologia della festa: lo Sposo è con voi! La festa è data dalla presenza di Gesù.
Terza meditazione – 8 novembre 2011
Premesse
Mc 1,37-38: “Tutti ti cercano … andiamocene altrove” – la prima tentazione della Chiesa – cercare Gesù come taumaturgo – Gesù non vuole il successo personale neanche a fin di bene – che cosa cerca la gente? Passare da una pastorale che accontenta ad una pastorale che fa contenti.
“E la pregava …”: la notte è figura della morte – anche nella notte Dio rimane – e così pure nella morte – non dobbiamo solo parlare di Dio ma con Dio. Ripercorrere la notte nella Bibbia – Gv 13,30: “Ed era notte”. Per leggere la Bibbia con occhiali bifocali, cristologici ed ecclesiali – chi legge senza Cristo e senza la Chiesa fa molti danni spirituali –
Gli affluenti arricchiscono il fiume, a condizione che non facciano straripare il fiume, il fiume deve rimanere nel suo letto originario. La spiritualità del presbitero diocesano.
Mc 4: chi è dunque costui? La domanda è fatta dai discepoli, emerge la fatica di credere –
Mc 3: Gesù mette al centro l’uomo, al centro della pastorale deve esserci l’uomo – un uomo senz’altri aggettivi –
C’è anche una folla che lo assedia – Gesù chiede una piccola barca per non essere schiacciato dalla folla – dobbiamo anche noi fare così. Una barca da tenere sempre pronta: un amico con il quale scambiare una parola, un libro, un tempo di preghiera, un confratello, il vescovo … La folla chiede i miracoli. Nella folla ci sono anche gli spiriti impuri che lo additano come il Figlio di Dio. il diavolo è più intelligente degli altri. Non tutti quelli che dicono “tu sei Figlio di Dio” sono amanti di Dio. Non basta conoscere, occorre amare.
Sale sul monte – inizia a formare il presbiterio. Gesù ha per i Dodici una cura particolare. È la seconda chiamata. Non tutti i chiamati stanno con Lui, non tutti sono mandati. Scorriamo i nomi, ogni nome ha un significato: Pietro è l’immagine della fedeltà – Giacomo e Giovanni (Dio protegge, Dio è benigno) – [fusion_builder_container hundred_percent=”yes” overflow=”visible”][fusion_builder_row][fusion_builder_column type=”1_1″ background_position=”left top” background_color=”” border_size=”” border_color=”” border_style=”solid” spacing=”yes” background_image=”” background_repeat=”no-repeat” padding=”” margin_top=”0px” margin_bottom=”0px” class=”” id=”” animation_type=”” animation_speed=”0.3″ animation_direction=”left” hide_on_mobile=”no” center_content=”no” min_height=”none”][in ogni presbiterio ci sono lampi e tuoni – quelli che si lamentano sempre, quelli che sono più impetuosi] – Andrea che vuol dire uomo – Filippo è amante dei cavalli, sa fare i conti, avrebbe potuto fare l’economo – Simone lo zelota, uno che aveva lottato contro i romani – anche Giuda. Un gruppo articolato – dinanzi a Dio siamo unici e irripetibili.
Una duplice famiglia: Mc 3,20: i suoi che lo giudicano fuori di sé. A volte i più vicini sono quelli che non capiscono. La lezione sul regno diviso in se stesso – un presbiterio che non recupera la comunione non può fare missione. Anche Satana, se diviso, non può far nulla. Siamo chiamati ad una pastorale ad gentes, non contra gentes. Correggersi a vicenda, evitando di scrivere lettere anonime …
Qual è il peccato contro lo Spirito? Un appello alla nostra libertà – S. Ambrogio: la luce splende per tutti ma se uno chiude la finestra, si priverà del sole. Il peccato contro lo Spirito è la chiusura alla grazia. Lo sfondo del brano è il no d’Israele, la chiusura d’Israele.
C’è una famiglia che lo ritiene pazzo. Ma c’è un’altra famiglia: quella che resta fuori, nell’attesa. Immagine d’Israele. Un inno nascosto a Maria: chi più di Lei ha fatto la volontà del Padre? Si entra in famiglia attraverso il filo della fede.
Le parabole. Gesù forma la sua famiglia attraverso le parabole, recuperare le immagini, il racconto per formare le nostre comunità. “Iniziò di nuovo a insegnare”. La parabola del seminatore: le gioie e i dolori del ministero. Un pensiero che spesso ritorna nella vita dei pastori: chi me lo fa fare? Nasce dallo scoraggiamento quando non vediamo i frutti. È la parabola del seme: se consideriamo la capacità del seminatore, sbagliamo. La forza non viene dal seminatore ma dal seme. Se è il seme, il nostro ministero è inutile. A noi non interessa il terreno, non siamo imprenditori ma evangelizzatori, non dobbiamo calcolare.
È sera: di nuovo sulla barca – congedata la folla – c’erano anche altre barche – pensavamo di poter riposare, dopo una giornata impegnativa. E invece … arriva una tempesta, imprevista come tutte le tempeste. La domanda della sfiducia: “non t’importa?”. Il mare è segno del caos. Nella nuova Gerusalemme non c’è più mare. Perché la paura? Le piccole paure sono segno della grande paura, cioè la paura della morte. “Quella barca presenta la figura della Chiesa che nel mondo è agitata dalle onde, dalle persecuzioni. Il Signore permette le persecuzioni e le prove, fino a quando si ridesta e ridona la tranquillità. Nel mare è tornata la calma, ma resta una domanda: chi è costui?
Mercoledì 9 novembre – quarta meditazione
Premesse per la vita spirituale
Superare la sindrome del guado: a metà della traversata, la domanda: sto in mezzo, che faccio? È la sindrome dell’adolescenza.
Silenzio: “se rinascesse in noi la stima del silenzio” (Paolo VI). Un silenzio esterno facile. Difficile fare il silenzio interiore. “Sto da solo nella mia cella, ma con me c’è sempre una pazza che mi trascina dove non vorrei andare” (sant’Antonio). O silenzio di Nazaret, rendici fermi nei buoni propositi. La liturgia invita al silenzio. Vi sono celebrazioni che somigliano più a spettacoli.
Come si sta in comunità? a) possiamo stare “come le noci”, ciascuno chiuso nel proprio guscio, l’uno accanto all’altro; b) si può stare come le castagne (quando sono nel riccio): pungendoci a vicenda – c) si può stare come le stelle: illuminando a vicenda.
La confessione si prepara stando dinanzi alla Parola di Dio. “Facciamo silenzio prima di ascoltare la Parola perché i nostri pensieri siano rivoti alla Parola. Facciamo silenzio dopo l’ascolto della Parola perché ci parli ancora. Facciamo silenzio al mattino presto perché Dio deve avere la prima parola. Facciamo silenzio prima di coricarci perché l’ultima Parola appartiene a Dio. facciamo silenzio solo per amore della Parola” (Bhonoeffer).
Marco capp 5-6
Marco è il Vangelo del catecumeno, in questa sezione passiamo dal battesimo all’Eucaristia. Ma più avanziamo, più i discepoli non capiscono. Il loro cuore è indurito. L’evangelista registra una progressiva chiusura nei confronti di Gesù. Ogni tanto compare una piccola barca, mistero della Chiesa.
Nel paese dei Geraseni. Qui c’è l’immagine del battesimo. Gli viene incontro un uomo posseduto da uno spirito impuro. Vive tra i sepolcri: il vocabolo greco significa memoria. È un uomo ammalato. L’uomo gridava e si percuoteva. Chi grida non è libero, non ha mai ragione. “Che vuoi da me?”. La verità tormenta il male. “esci”: Gesù ha questa parola forte. Il male si nasconde. Il mio nome è legione, siamo molti. La scena dei porci. Il peccato è sempre un atto di porcificazione. I porci sono un’immagine del mondo pagano. Gesù ci ricorda che ogni volta che accogliamo il male, andiamo a finire in mezzo ai porci. Lui restituisce l’uomo alla verità: seduto, vestito, sano di mente. Gesù si spoglierà sulla croce per rivestirci della vera dignità. Anche di Gesù avevano detto: è pazzo! Va’ nella tua casa: questo pagano restituito alla libertà, diventa un evangelizzatore. Oggi diremmo: un operatore pastorale.
È risalito sulla barca. Arriva Giairo: la mia figlioletta è molto malata. Sembra di vedere in filigrana una normale giornata in parrocchia. Gesù incontra la condizione dell’uomo nella sua fragilità. Ritorna il verbo toccare: lo scandalo del cristianesimo è l’uomo Gesù. La difficoltà è accettare che Dio si è fatto uomo, in tutto simile a noi. Col 2,9: “In Lui abita corporalmente tutta la pienezza della divinità”. Credere che il Verbo si è accartocciato nella carne, questo è lo scandalo. La carne di Cristo è l’unica esegesi del Padre. Ancora oggi è così.
La donna malata. Cercava di toccare Gesù da dietro. Nell’AT nessuno poteva vedere Dio in volto, solo le spalle. Questa donna ha fede. Toccare il lembo del mantello è toccare Gesù. I Padri dicono che i sacramenti sono il lembo del mantello. Gesù vuole che la donna non resti dietro di Lui, la vuole davanti. Dio ci mostra il suo volto. “Figlia, la tua fede ti ha salvato”. La fede vuol dire stare dinanzi a Dio.
Tua figlia è morta, perché disturbi ancora il Maestro? La morte sembra la fine. Anche oggi si pensa così. l’uomo diventa un ricordo, custodiamo le immagini ma non si prega più. La bambina non è morta ma dorme. Ecco il grande annuncio. “Su questo, dissero a Paolo, ci sentiremo un’altra volta” (At 17,32). Non c’è spazio per la morte nella nostra vita. L’eutanasia è una risposta sbagliata. Ma noi come sappiamo stare dinanzi ai malati gravi, ai morenti. La concretezza di Gesù: preparate qualcosa da mangiare. Il mistero della Incarnazione.
Torna a Nazaret. Gesù è disprezzato. Ma egli impose le mani e guarì alcuni. C’è sempre qualcuno che crede e riceve la grazia. In mezzo alla folla anche uno solo può toccare il lembo del mantello. Prepariamo la migliore omelia. La gente non vuole prediche. L’omelia è far risplendere la Parola di Dio.
La missione: li manda a due a due. Mistero di comunione. Non li manda più con il look di Giovanni battista, ma con quello della Pasqua: il bastone, i sandali, ecc.
Perché Marco inserisce qui il martirio del Battista? Annuncio del martirio. Passiamo dal battesimo all’Eucaristia. Per arrivare poi alla Pasqua. C’è una stupenda pagina di pastorale familiare. Chi dice alla figlia cosa chiedere? È la mamma. A volte critichiamo i giovani. Ma sono gli adulti (con atteggiamenti e parole) che suggeriscono il male.
Il pane. Dal battesimo all’Eucaristia. Il cuore si indurisce. Non avevano neppure il tempo di mangiare. Gesù attento alle esigenze dei discepoli: Venite in disparte. Riappare la barca. I grandi santi non hanno lasciato la barca. La prima carità è la parola. E la prima parola è la carità. La pastorale dei discepoli: mandiamoli via! Date voi da mangiare!
Dicono i Padri: Gesù ha preso tutto dell’uomo eccetto il peccato, tutto della Parola eccetto l’errore. Quando diciamo la Parola non indichiamo solo la Scrittura.
Il male dell’indemoniato ricade tutto su Gesù. Gli apostoli non compaiono. Qui invece ci sono i discepoli, sono loro che devono distribuire il pane. La folla ordinata a gruppi. Anche qui il deserto diventa giardino. Tutti mangiarono e furono saziati. Ma restano dodici ceste. Mistero della Chiesa.
Nella notte Gesù cammina sul mare. I discepoli gridano. Non è più l’indemoniato, sono i discepoli. “Coraggio, sono io!”. E quando sale sulla barca, cessa il vento. “Senza di me non potete far nulla”. Dove c’è Gesù non c’è più agitazione.
Fatta la traversata, riappare la folla con le sue molteplici esigenze. La gente cerca di toccare almeno il lembo del mantello.
“Dove lo possiamo trovare? Si è nascosto in un nascondiglio dove non si fa trovare. Un po’ di pane, chi lo cercherebbe in un po’ di pane?” (Luigi Santucci).
Mercoledì 9 novembre – quinta meditazione
Premessa
Abbiamo confuso la centralità dell’Eucaristia con l’esclusività dell’Eucaristia – a volte, dopo la Messa non sappiamo fare altro liturgicamente – è bene prevedere la celebrazione comunitaria della penitenza perché la celebrazione aiuta la comunità a prendere coscienza del peccato –
Rileggere il Vangelo nelle nostre comunità, tutto il Vangelo, senza perdere nessuna parola. i testi si comprendono meglio nel contesto.
Marco capp. 7-8
Lo sfondo è quello del pane: andiamo verso l’Eucaristia, senza dimenticare il battesimo (effatà). Il popolo pagano si apre a Cristo mentre i discepoli i chiudono sempre di più. “Non intendiamo fare da padroni della vostra fede ma collaboratori della vostra gioia” (2Cor 1,24).
« Mio figlio si accosterà al sacramento della Cresima ma quello che vedo nei suoi occhi mi fa presagire che non continuerà il cammino di fede. Non è tutta colpa dei ragazzi. Quando io ho frequentato, il mio don stava con noi … ma soprattutto era felice. […] in questi incontri si parla solo di obblighi […] le uniche parole sentite sono soprattutto quelle della tristezza. […] i giovani di oggi hanno bisogno di sostegno ».
Mc 7,8: “Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini”: è questo il motivo per cui sarà crocifisso. I farisei e gli scribi vogliono attaccare Gesù denunciando il comportamento dei discepoli. Gesù denuncia che le tradizioni umane hanno soffocato la Parola. La difficoltà della nostra pastorale: abbiamo costruito così tante tradizioni da perdere il cuore dell’annuncio! La traditio è una sola: “nella notte in cui veniva tradito prese del pane …” (1Cor 11,23). Il cuore della tradizione è il suo Corpo e il suo Sangue. il mistero dell’Incarnazione si prolunga nell’Eucaristia. Intorno alla tradizione custodire tutte le belle tradizioni, da mantenere. La pastorale della spugna: serve per pulire ma non per cancellare ogni cosa.
I discepoli lo interrogano in casa. Gesù parla del cuore. “Di queste case non è rimasto che qualche brandello di muro, di tanti che mi corrispondevano non è rimasto neppure tanto. Nel cuore nessuna croce manca, e il mio cuore il paese più straziato” (Ungaretti). Gesù fa una lezione di personalismo cristiano, rigettando ogni forma di strutturalismo. La vita della persona è il cuore. Non è la struttura che mi fa incontrare il Signore. tutto parte dal cuore, la rivoluzione è interiore. Dal cuore esce tutto il male che vediamo sulla scena del mondo. L’opzione fondamentale avviene dentro di noi, poi diventa azione. Dichiarando buoni tutti i cibi, recupera la bellezza della creazione.
Una donna pagana riesce a strappare il miracolo. Il mondo pagano si sta aprendo a Gesù mentre Israele si chiude. La fede non è circoscritta ai nostri gruppi. Ma Gesù guarisce il sordomuto: ritorna il tema del battesimo.
Seconda moltiplicazione dei pani. La prima sottolinea la dimensione giudaica, la berakha, la benedizione. Qui invece l’accento è posto sul rendimento di grazie. I discepoli parlano di comprare, Gesù invita a donare. Una mentalità che calcola e una fondata sulla gratuità. Azienda e volontariato. “Sa dire grazie il più povero perché tutto aspetta e accoglie come dono” (Bernanos).
Ci sono quelli che cercano segni. Avevano con sé un solo pane: Gesù. I discepoli non hanno ancora capito. “Avete occhi e non vedete. Avete gli orecchi e non udite?”, domanda Gesù. Poco prima ha guarito un sordomuto. C’è bisogno di un altro miracolo, un’altra effatà. Dodici ceste avanzate prima, sette ceste dopo. Dodici come gli apostoli, sette come i diaconi. La Chiesa tiene gli uni e gli altri.
Miracolo al rallentatore. Gesù prende per mano il cieco. Dando la mano al Vescovo, diamo la mano a Gesù. La gradualità del cammino di fede. Andiamo verso la luce con gradualità. Lo rimandò a casa sua: la nuova evangelizzazione inizia dalla casa, dalla famiglia.
Cesarea di Filippo. Lungo la strada pone le domande. A Gesù non interessa il sentito dire: Voi chi dite che io sia? Pietro risponde: “Tu sei il Cristo”. La professione di fede è incompleta e inesatta. Mc 1,1: “Inizio del Vangelo di Gesù Cristo” (senza articolo). Qui invece c’è articolo il.
Gesù inizia a spiegare chi è il Messia. Pietro si vuole mettere davanti. Gesù gli ordina di mettersi dietro.
Gesù convoca la folla: se qualcuno vuole venire dietro a me … la sequela è per tutti. La sequela sullo sfondo del giudizio finale: “Chi si vergognerà di me e delle mie parole davanti a questa generazione adultera e peccatrice, anche il Figlio dell’uomo si vergognerà di lui, quando verrà nella gloria del Padre suo con gli angeli santi” (Mc 8,38).
Concludo con un testo poetico, tratta da Giuseppe Ungaretti, s’intitola Veglia e fotografa un frammento di vita:
« Un’intera nottata / Buttato vicino / A un compagno / Massacrato / Con la bocca / Digrignata / Volta al plenilunio / Con la congestione / Delle sue mani / Penetrata / Nel mio silenzio/ Ho scritto / Lettere piene d’amore // Non sono mai stato / Tanto / Attaccato alla vita »
A volte siamo tanto attaccati alla vita da dimenticare che Gesù tornerà.
Mercoledì 9 novembre 2011 – sesta meditazione
Premesse
Alcuni giorni fa mons. Diego Coletti, vescovo di Como ha presentato il documento Orientamenti pastorali per la promozione delle vocazioni al ministero sacerdotale della Congregazione per l’educazione Cattolica. Il Vescovo ha affermato che “a soffrire di più sono le Chiese di antica tradizione”. A suo parere la questione non è puramente ambientale.
«Nelle condizioni ambientali più avverse e contrarie allo spirito del Vangelo — ha spiegato monsignor Coletti — quando una comunità cristiana vive e opera coraggiosamente e con coerenza di fede, non manca l’attenzione alle vocazioni sacerdotali e non mancano i frutti della semina. E viceversa: anche là dove sono presenti antiche e consolidate tradizioni cristiane, ma si è affievolita la qualità della fede e, per così dire, è stata dispersa in tante cose che solo da lontano hanno a che vedere con il Vangelo, le cause di una crescente sterilità vocazionale sono da attribuire più alla debolezza interna della testimonianza cristiana e della fede che all’indifferenza o all’aggressività dell’ambiente esterno alla comunità cristiana».
Questa problematica è in modo particolare di carattere europeo che soffre maggiormente una carenza di vocazioni in atto da anni. «La giusta rivendicazione delle “radici cristiane” della cultura europea — ha detto in proposito il vescovo — dovrebbe essere accompagnata, per quanto riguarda la responsabilità dei cristiani, da un altrettanto forte richiamo all’importanza di verificare l’abbondanza e l’attualità dei frutti di tali radici».
Monsignor Francesco Lambiasi, vescovo di Rimini e presidente della Commissione della Conferenza episcopale italiana per il clero e la vita consacrata, ha detto in proposito:
«In Europa si vive oggi un’angosciante desertificazione di senso. L’homo europaeus si percepisce doppiamente orfano: della tradizione, già liquidata dall’epoca moderna, e del futuro, avvertito dalla sensibilità post-moderna come oscura minaccia e non come sogno promettente e concretamente realizzabile».
Che fare? Ri-presentare nuovamente Cristo. Questa missione nasce da un esigente cammino vocazionale. Occorre però tener presente gli ostacoli: fenomeni sociali e culturali come il calo demografico, la crisi della famiglia, una diffusa mentalità secolarizzata che si fa sempre più strada e, non ultimo, le condizioni difficili in cui si svolgono la vita e il ministero del prete, «esposto a profonde trasformazioni ecclesiali e sociali che causano sovente, da un lato, emarginazione e insignificanza del suo ruolo, e dall’altro la deriva verso stili di “professionalità” che rischiano di ridurre il ministero sacerdotale a un mestiere tra i tanti. Anche da questi fenomeni, largamente presenti e influenti in varie parti del mondo, può derivare lo sconforto e il basso profilo spirituale di alcuni preti. La situazione generale della vita sacerdotale e la sua capacità di porsi come richiamo vocazionale sono poi messe a dura prova dallo scandalo suscitato, in alcuni casi, dai comportamenti gravemente immorali di qualche membro del clero» (mons. Coletti).
Da questi fenomeni, se manca una vera vita spirituale può derivare lo sconforto, la depressione, il basso profilo spirituale di alcuni preti. La situazione generale della vita sacerdotale e la sua capacità di porsi come richiamo della vita vocazionale. Che fare? Il documento della Congregazione offre otto suggerimenti come otto sono le beatitudini.
Creazione di un ambiente ispirato alla vita cristiana
Costanza nella preghiera
Realizzazione di una pastorale integrata che promuove una coerente convergenza di programmi e proposte,
Nuovo slancio missionario ed evangelizzatore
Restituzione alla famiglia del suo ruolo fondamentale
Forte testimonianza di vita da parte dei presbiteri –
Riconoscimento di una piena efficacia educativa del volontariato
Riaffermazione del valore della scuola e dell’università come occasione di approfondimento dell’esperienza cristiana
Il documento ricorda che la comunità vive dove si legge e si vive il Vangelo.
Marco capp. 9-10
Tema di fondo: andiamo verso la cecità, un frammento di luce sarà la Trasfigurazione –
La domanda è sempre la stessa: chi è Gesù? La risposta viene dall’alto, conferma e ampia quello che già è stato proclamato nel battesimo. L’autorità del Padre chiude ogni dibattito: “questi è il Figlio mio, ascoltatelo”. Dopo queste parole, nel Vangelo di Marco Dio non parla più. Siamo rimandati all’ascolto. Dio Padre leva un lembo del mantello per far vedere la divinità del Figlio.
C’è crisi tra i discepoli. Gesù non si scoraggia e non scoraggia. Prende alcuni – Pietro, Giacomo e Giovanni: non tutti, solo alcuni che fanno da tramite. “La bellezza salverà il mondo”. Fine atto di pedagogia. Prima dello scandalo della croce li porta in alto per donare uno squarcio della verità. Vedono cose, scrive Pietro, “nelle quali gli angeli desiderano fissare lo sguardo” (1Pt 1,12). Sul monte si parla della Pasqua, tre modi della presenza di Dio: Mosè, la legge e quindi il passato; Elia, la promessa, il futuro d’Israele; la carne di Gesù. Ad un certo punto tutti scompaiono, resta il solo Gesù, testimone fedele di Dio. la sua carne è l’esegesi di Dio.
Scendono dal monte per filtrare la luce attraverso la croce. Per crucem ad lucem. Non devono raccontare quello che hanno visto. Perché? Avrebbero raccontato senza aver capito. Come tanti che si lasciano affascinare da certe celebrazioni ma non credono. Scendendo si chiedono: che significa risorgere dai morti? Sono entrati nel mistero da spettatori. Portano dentro questo squarcio di resurrezione ma non hanno capito.
Il ragazzo epilettico. L’ultimo esorcismo. Il racconto è più duro, più crudo. L’immagine del battesimo: Gesù chiede al padre del fanciullo. Sembra di sentire la domanda che la Chiesa nella liturgia del battesimo rivolge ai genitori: che cosa chiedete per i vostri figli? Il demone qui è l’incredulità. Uno sfogo di Gesù: “O generazione incredula”. Solo la preghiera può scacciare questi demoni. La preghiera che riconosce e invoca Dio come Padre.
Secondo annuncio della passione. Anche in questo caso i discepoli non comprendono ed hanno paura di chiedere.
In casa. Una nuova catechesi: la Chiesa è nata nelle case. Gesù chiede ai discepoli di che cosa stavano parlando. Non rispondono. Ma Gesù li chiama nuovamente, si siede, veste i panni del Maestro. Mostra il bambino, li sceglie perché non contavano nulla. Si diventa adulti nella fede nella misura in cui si diventa piccoli. Al centro del Vangelo non c’è Dio, c’è l’uomo. I bambini si fidano degli adulti, anche troppo.
Giovanni riporta l’attenzione su un altro fatto: «Maestro, abbiamo visto uno che scacciava i demòni nel tuo nome e volevamo impedirglielo, perché non era dei nostri». Gesù apre allo Spirito, al di là dei confini dei Dodici. Non basta avere il nome di Gesù sulla bocca:
« Alcuni esorcisti ambulanti giudei si provarono a invocare anch’essi il nome del Signore Gesù sopra quanti avevano spiriti cattivi, dicendo: «Vi scongiuro per quel Gesù che Paolo predica». 14 Facevano questo sette figli di un certo Sceva, un sommo sacerdote giudeo. 15 Ma lo spirito cattivo rispose loro: «Conosco Gesù e so chi è Paolo, ma voi chi siete?». 16 E l’uomo che aveva lo spirito cattivo, slanciatosi su di loro, li afferrò e li trattò con tale violenza che essi fuggirono da quella casa nudi e coperti di ferite. 17 Il fatto fu risaputo da tutti i Giudei e dai Greci che abitavano a Efeso e tutti furono presi da timore e si magnificava il nome del Signore Gesù » (At 19, 13-17)
Siamo arrivati in Giudea. E inizia partendo dal matrimonio. Anche gli sposi fanno parte dei discepoli. Gesù riporta nel giardino: “all’inizio non fu così”. Non impedite ai bambini di venire presso di me, dice Gesù. E li benediceva e li abbracciava. Con questo gesto egli chiede ai discepoli di diventare come quei bambini che si stringono a Lui.
La vocazione mancata: se ne va, scuro in volto perché aveva molti beni, annota l’evangelista. Testimoni autorevoli raccontano che in punto di morte don Milani abbia detto: “sta accadendo un piccolo miracolo: un cammello passa attraverso la cruna di un ago”. Tutto è possibile a Dio. A Pietro che rivendica di aver tutto lasciato, Gesù risponde che ha ricevuto molto di più.
La domanda dei due discepoli. l’indignazione degli altri discepoli. Una nuova catechesi sul servizio. “tra voi non è così”. Oggi dobbiamo registrare che la mentalità del mondo è entrata nella Chiesa; purtroppo non accade sempre il contrario.
Siamo giunti a Gerico. È il grido dell’umanità che attende. È il grido che la liturgia pone all’inizio della Messa. La Chiesa è fatta di volti, persone, incontri. Gesù vuole vedere chi l’ha toccato. Qui egli chiede di vedere chi grida. Il cieco getta il mantello: quel mantello è l’immagine di tutto ciò che ostacola il rapporto con Gesù. Quel mantello ritornerà.
“Noi ti preghiamo … noi i colpevoli, i nati fuori tempo, noi che ci lamentiamo ancora di te e ci sforziamo di vivere con te, noi gli ultimi, i disperati, i reduci, noi ti preghiamo che tu ritorni ancora una volta tra gli uomini, che ti uccisero, per dare a tutti noi la luce della vita vera. Gli uomini allontanatosi dal Vangelo hanno trovato la desolazione e la morte. Non abbiamo noi disperati che la speranza di un tuo ritorno. Ti aspetteremo ogni girono, a dispetto della nostra indegnità e tutto l’amore che potremmo torchiare nei nostro cuori devastati, sarà per te”
Giovedì 10 novembre 2011 – settima meditazione
Premesse
“Il silenzio qualche volta è tacere, sempre ascoltare” (MadeleineDelbrel)
Liberarsi dalla sindrome della valigia: siamo più preoccupati della partenza che di vivere il presente – è vero però che “la nostra collocazione è provvisoria” (don Tonino Bello), anche il dolore è provvisorio.
Alcune note per una spiritualità del presbitero diocesano
Un tema importante da riprendere e da approfondire. Il modello è la giornata di Gesù nel Vangelo. La spiritualità non è una spiritualità di serie B. Alcuni prendono la spiritualità di un monastero o di un movimento ma non hanno il coraggio di entrare nel monastero, può essere più comodo restarne fuori. Siamo collocati dall’Ordine: è un fatto teologico, siamo legati dal vincolo sacramentale, ci chiamiamo – e siamo! – fratelli in Cristo, l’Ordine ci costituisce famiglia presbiterale. Il luogo è il territorio diocesano. Un segno liturgico è quello di imporre le mani al nuovo presbitero: vuol dire partecipare all’ordinazione e accogliere il nuovo. Entriamo a far parte della famiglia, di essa prendiamo le ricchezze e la povertà.
La Chiesa ha posto nelle nostre mani uno strumento: il breviario. La spiritualità è scandita dalla liturgia delle ore. Quando con un amico non ci si vede più, vuol dire che il legame è affievolito. Entriamo nella preghiera di Gesù, la grande preghiera sacerdotale. Anche noi portiamo nella preghiera la preoccupazione per la Chiesa. Non abbiamo le mura del monastero, non c’è il superiore che ogni giorno ci ricorda la nostra vocazione. La nostra preghiera è nel cuore della Chiesa ma deve essere anche con la Chiesa nel cuore. la preghiera più solitaria non è meno ecclesiale. La liturgia delle ore ci aiuta a stare dinanzi a Dio e ci aiuta a condurre il popolo a Dio. La liturgia non assorbe tutta la preghiera ma è sempre pro populo. C’è una schizofrenia tra vita spirituale e vita pastorale. Ci santifichiamo attraverso il ministero ordinario. Non è una tassa. I figli sono esenti dalle tasse. È un servizio che nasce dal diaconato. E rimane anche dopo per ricordarci la permanenza del servizio. Sacrificium laudis. Rileggere la liturgia delle ore alla luce del Cantico: un rapporto d’amore tra Dio e la creatura. Un duetto che si rinnova. Dio ci dà appuntamento presso la croce e noi andiamo altrove. Le stesse parole hanno accenti sempre nuovi. “Alzati, mia bella, mia amica e vieni”. Una ricerca che talvolta diventa affannosa: “Mi alzerò e farò il giro della città”. È la notte della fede. Davvero mi ha chiamato? La voce della Chiesa in tutte le ore del giorno, in tutte le stagioni della vita.
La liturgia delle ore nasce dall’Eucaristia e riporta all’Eucaristia. I Padri dicono che le guardie sono a custodia della croce e del sepolcro. Noi lo troviamo dopo tre giorni. S’era smarrito Gesù o s’era smarrita Maria?
Stare da soli dinanzi a Dio. La liturgia delle ore nasce dal giovedì santo. È peccato grave non partecipare alla celebrazione della Messa crismale, vuol dire abbandonare il presbiterio.
La vita del presbiterio ha tanti altri appuntamenti: a) Il ritiro mensile: non si va solo per affacciarsi ma per partecipare; b) gli esercizi spirituali: non basta l’impegno a viverli, quelli del presbiterio sono il momento della famiglia; c) i corsi di aggiornamento.
L’amicizia presbiterale: è una grande risorsa, vi sono preti che vanno a piangere sulla prima spalla che trovano, come se non trovassero tra il clero amici con cui condividere.
Il presbitero ha il ritmo della diocesi e della parrocchia, il ritmo degli uffici. Un prete ha dato tutto, non ha più tempo per sé. Non ha cose sue da fare.
Troppa lamentazione in giro. Diamo l’impressione che la vocazione sia un guaio che ci è capitato. Forse dobbiamo imparare a ridere: di noi stessi, mai degli altri; e soprattutto, mai ridere di Dio, come ha fatto Sara, potremmo ritrovarci come lei, con un bambino in braccio.
Marco capp. 11-12
Dopo aver letto e riletto la Scrittura, è solo una briciola. Nessuno potrà esaurire la Parola di Dio, è fonte sempre viva, da cui sgorga sempre acqua.
L’asino. Gesù va verso la passione. I discepoli si chiudono: ha dato l’udito ai sordi, la vista ai ciechi per invitare il popolo ad aprirsi. Gesù parla per immagini. Quanta attenzione per un asinello. Gesù cerca un asino: se siete disponibili, andiamo insieme a Gerusalemme. Gesù come un regista, prima descrive la scena e poi la fa vivere, esattamente come egli ha descritto. L’unica volta in cui appare questa frase: “Il Signore ne ha bisogno”.
10 Non sarà tolto lo scettro da Giuda / né il bastone del comando tra i suoi piedi, / finché verrà colui al quale esso appartiene / e a cui è dovuta l’obbedienza dei popoli. / 11 Egli lega alla vite il suo asinello / e a scelta vite il figlio della sua asina, / lava nel vino la veste / e nel sangue dell’uva il manto” Gen 49, 10-11
“Troverete un asino legato”: l’asino, immagine del servizio, è legato, Gesù invita a slegarlo. Occorre liberare la legge dai lacci delle tradizioni. Su questo asino nessuno era ancora salito. “Tiro avanti come un asino” (card. Etchegaray). Noi dobbiamo fare quello che ha detto Gesù. Non capiscono ma obbediscono. E inizia la conversione: si tolgono i mantelli e li stendono a terra, come ha fatto il cielo di Gerico. Gesù ha liberato l’asino, la creazione, l’uomo. E così entra a Gerusalemme. L’asino porta Gesù. Il dramma è quando invece di portare Gesù portiamo noi stessi.
Il fico sterile. Non è la stagione dei fichi. Gesù lo sa bene. Ma vuole dare un annuncio: quel fico è segno della infruttuosità di Israele.
Michea 7,2: Ahimé! Sono diventato / come uno spigolatore d’estate, / come un racimolatore dopo la vendemmia! / Non un grappolo da mangiare, / non un fico per la mia voglia. / 2 L’uomo pio è scomparso dalla terra, / non c’è più un giusto fra gli uomini: / tutti stanno in agguato / per spargere sangue; / ognuno dà la caccia con la rete al fratello.
Eb 4: “affrettiamoci dunque ad entrare nel suo riposo”. È giunto il tempo dei frutti. Il fico è immagine della croce: “Maledetto chi pende dal legno”. Attraverso la croce riceviamo il dolce frutto. I discepoli non hanno capito. Gesù invita ad avere fede. Impariamo la fiducia.
Gesù ritorna nel tempio: non risponde alla domanda sulla sua autorità. Il silenzio di Dio. Lui non deve dare spiegazioni. Nel silenzio la Parola matura. Per averci creati liberi, Dio rischia di diventare inutile. Liberi di sbattere la porta in faccia, e anche di sputargli in faccia. Dio non ha scritto una teologia del dolore ma l’ha preso su di Sé. La teologia non può / non vuole spiegare tutto.
Ritorna nel tempio e offre un’altra parabola per spiegare la vicenda d’Israele: la parabola dei vignaioli omicidi. Altre dispute: a) le tasse e le istituzioni: abbiamo bisogno di chi ci governa, il modo di governare è sempre discutibile ma non possiamo insegnare l’anarchia – non salire su nessun carrozzone politico, custodire una sana libertà per poter denunciare il male – b) la verità della resurrezione – c) il comandamento dell’amore.
Il fico inizia a dare i primi frutti: una vedova povera. È immagine di Gesù: come Gesù ha dato di più, ha dato tutto, ha dato la vita. Una donna ci aiuta ad entrare in Gerusalemme, una donna rimarrà sotto la croce.
Giovedì 10 novembre 2011 – ottavo meditazione
Differenza tra mendicante e accattone: siamo tutti mendicanti (colui che attende qualcosa da un altro), l’accattone è colui che pur, avendo tutto, approfitta del prossimo.
Nota sul celibato sacerdotale
“Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale
ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.
Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio.
Il mio dura tuttora, né più mi occorrono
le coincidenze, le prenotazioni,
le trappole, gli scorni di chi crede
che la realtà sia quella che si vede.
Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio
non già perché con quattr’occhi forse si vede di più.
Con te le ho scese perché sapevo che di noi due
le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,
erano le tue”
Così scrive Eugenio Montale, in una poesia dedicata alla moglie. Di questa splendida poesia voglio sottolineare una frase: “la realtà sia quella che si vede”. Serve per introdurre una nota sul celibato sacerdotale.
Durante i lavori del Concilio Vaticano II Paolo VI avocò a sé il tema del celibato, su questo argomento non si vota né si discute. Più tardi offrì l’enciclica Sacerdotalis coelibatus (1967) che resta un testo insuperato. Un amore chiamato Gesù, il titolo di un bel libro di , un teologo francese. Non accettiamo le letture giornalistiche. Si tratta di degenerazioni che troviamo anche nella vita matrimoniale. Non è il celibato la causa di quelle degenerazioni.
Per accedere nella terra del celibato dobbiamo essere umili, da humus: dobbiamo apprezzare la sessualità e l’affettività. L’affettività è certo più ampia della sessualità. Non siamo i nostri organi, noi siamo una persona. La parte non può diventare il tutto. Non abbiamo paura, non vogliamo nascondere l’affettività. Viviamo in un mondo che non capisce e non crede. A noi interessa il giudizio di Dio: “chi può capire, intenda”. Come Ulisse, se vogliamo ascoltare le sirene, dobbiamo farci legare all’albero maestro della nave.
Amicizia e castità: nel passato nei seminari si guardava con diffidenza all’amicizia. È invece da coltivare. Amicizia nel dono e mai nel possesso. La castità del corpo non è facile da custodire. Anche all’interno del matrimonio non è facile. Chiede di essere radicati e allenati nel dono di sé. La castità chiede prudenza e attenzione, non paura. Personalità integrate: persone che non hanno lasciato ma hanno trovato il tesoro. Ci sono diverse stagioni del celibato: la giovinezza è diversa da quella dell’anzianità. Se difficile è la castità del corpo, più difficile ancora la castità del cuore. Siamo liberi quando siamo radicati nella verità. Questo dono va chiesto a Gesù.
Avere amicizie vere, un cammino spirituale profondo. Amicizie umane e spirituali. Aperti, solari, non ripiegati, non ombrosi. Prudenti in tutti i rapporti: uomini di Dio quando stiamo con i giovani, quando usiamo un linguaggio che non ci appartiene. I giovani che ridono con noi, spesso ridono di noi. Uomini di Dio che non cercano di legare le persone a sé con piccoli stratagemmi, non usare un linguaggio doppio, non mendicare affetto, non piangere sul proprio stato. Non stare sempre a lutto, riflettere la gioia. “Fuggire tutto ciò che sulla bocca dei laici sono stupidaggini, sulla bocca nostra sono bestemmie” (Giovanni XXIII).
Riscoprire la fortezza: “chi crede di stare in piedi, guardi di non cadere”, scrive Paolo in 2Cor 10,12. “Bene per me se sono stato umiliato”, dice il salmista. Saper rimanere soli davanti al Solo perché è il sole della mia vita. Siamo chiamati a solitudine piena. E nei momenti più difficili: “Ti basta la mia grazia” 2Cor 12,9). Anche se rimane la spina nella carne. E quando si cade, ricorriamo alla confessione.
Marco capp. 13-14
Il discorso escatologico precede la passione. Questo sguardo non ci ricorda la fine ma il fine. Con la croce c’è la fine del vecchio mondo. Qui non si parla delle ultime cose ma del senso ultime delle cose. Non una visione apocalittica, tutto quello che qui è detto appartiene al mondo del peccato e ci saranno fino a quando non sorgerà il mondo nuovo, quello che Dio prepara.
Anche al tempo di Gesù c’era quest’attesa della fine. invita a non avere un’attesa febbrile. Il vero problema è che non attendiamo più. “Pregate che non accada d’inverno”: certe tragedie, quando accadono, sono ancora più gravi. Gesù non si preoccupa del tempio, che verrà distrutto. Si preoccupa dei bambini, parla delle mamme incinte. È in crisi l’avvento perché è in crisi la fede. Non crediamo e quindi non abbiamo coscienza del futuro. Senza fede non c’è speranza nel futuro. “Se questa terra è l’unico Cielo, questo Cielo è un inferno”.
“L’anno prossimo a Gerusalemme”, dicevano e dicono gli ebrei. Il nostro ultimo appuntamento è sulla piazza di quella città. Noi viviamo di questa speranza. Anche se abbiamo appeso le cetre. Come i Magi, la Chiesa non cerca il Signore nelle stelle ma dalla stella si fa accompagnare all’incontro con il Signore.
« O felice quell`alleluia cantato lassù! O alleluia di sicurezza e di pace! Là nessuno ci sarà nemico, là non perderemo mai nessun amico. Ivi risuoneranno le lodi di Dio. Certo risuonano anche ora qui. Qui però nell’ansia, mentre lassù nella tranquillità. Qui cantiamo da morituri, lassù da immortali. Qui nella speranza, lassù nella realtà. Qui da esuli e pellegrini, lassù nella patria. Cantiamo pure ora, non tanto per goderci il riposo, quanto per sollevarci dalla fatica. Cantiamo da viandanti Canta, ma cammina. Canta per alleviare le asprezze della marcia, ma cantando non indulgere alla pigrizia. Canta e cammina. Che significa camminare? Andare avanti nel bene, progredire nella santità. Vi sono infatti, secondo l’Apostolo, alcuni che progrediscono si, ma nel male. Se progredisci è segno che cammini, ma devi camminare nel bene, devi avanzare nella retta fede, devi avanzare nella retta fede, devi progredire nella santità. Canta e cammina » (sant’Agostino, Disc. 256, 3).
Nell’Adoro te devote (san Tommaso) cantiamo: « Gesù, ora ti adoro senza vederti, fa’ che avvenga presto ciò che bramo, che nel contemplarti faccia a faccia, sia beato della visione della tua gloria ».
Quali segni? Diranno: eccolo là … Non ci andate. 2Tm 3,1: “Devi anche sapere che negli ultimi tempi verranno momenti difficili”. Gli ultimi tempi sono i tempi che vanno dalla resurrezione alla fine del mondo. Ai discepoli che vogliono sapere quando, Gesù dice come. “Nessuno v’inganni”: non l’allarmismo ma il discernimento. Non vivere nella continua paura. Tante cose cambiano, possiamo dire che finisce “un mondo” ma non finisce il mondo. La nostra certezza: egli tornerà! Anzi, Lui accompagna: “Le mie parole non passeranno”. “Sì, verrò presto”:
Ritorna la lezione dei fichi. Per approfondire cf Ger 24, 1-3
Il Signore mi mostrò due canestri di fichi posti davanti al tempio, dopo che Nabucodònosor re di Babilonia aveva deportato da Gerusalemme Ieconia figlio di Ioiakìm re di Giuda, i capi di Giuda, gli artigiani e i fabbri e li aveva condotti a Babilonia. 2 Un canestro era pieno di fichi molto buoni, come i fichi primaticci, mentre l’altro canestro era pieno di fichi cattivi, così cattivi che non si potevano mangiare. 3 Il Signore mi disse: «Che cosa vedi, Geremia?». Io risposi: «Fichi; i fichi buoni sono molto buoni, i cattivi sono molto cattivi, tanto cattivi che non si possono mangiare».
Il discorso escatologico si conclude con un’esortazione: “Vegliate”. La storia non è una sala d’attesa. È il luogo dell’incontro con il Signore. Karl Rahner: “Allora tu sarai l’ultima parola, l’unica che rimane e non si dimentica mai. […] allora comincerà il grande silenzio, entro il quale risuonerai tu solo, Verbo di eternità. […] allora conoscerò come sono conosciuto …”.
Vegliate, dice Gesù, poi inizia la passione.
Perché questo spreco d’amore? Il Cantico dei cantici: “Dio è il profumo effuso” (1,3). Non si chiede ad una mamma perché tanto amore. “Non tutto ciò che può essere contato, conta; e non tutto ciò che conta, può essere contato” (Einstein). L’amore può essere raccontato, non contato. Entriamo nei racconti della passione attraverso il volto e le mani di una donna. “Beata te che hai creduto”. Perché questo spreco? La borsa della Chiesa sarebbe stata più ricca, ma il Vangelo più povero. Questa donna è uno dei primi frutti del fico che germoglia. Il gesto della donna è ripetuto dal Vescovo nella consacrazione dell’altare. Gesù è consacrato da una donna prima della passione. Dice Geremia: “Poiché il Signore crea una cosa nuova sulla terra: la donna cingerà l’uomo!” (Ger 31,22). Il vaso di alabastro è Cristo.
Questa donna è come la vedova, avrebbe potuto usare poche gocce. E invece usa tutto il contenuto. Due economie: il calcolo del peccatore che si nasconde dietro ai poveri; e lo spreso di Dio: ha dato tutto. Ha dato anche il Figlio amato. Ogni gesto d’amore è uno spreco. At 20,24: “Non ritengo tuttavia la mia vita meritevole di nulla, purché conduca a termine la mia corsa e il servizio che mi fu affidato dal Signore Gesù”.
Chi annuncia il Vangelo non pensa al vaso, pensa al dono. Dove Gesù è annunciato la Chiesa è sempre presente. A noi non interessa i pensiero dell’economo, ma quello di Gesù: “Lasciatela stare”. Questa donna insegna ai discepoli quello che devono fare.
Preparare la sala per la Pasqua. Recuperare la sobrietà ma anche l’eleganza e lo stile celebrativo. Lasciamo parlare i segni. Evitiamo una creatività selvaggia. Non una liturgia secondo me, ma la liturgia della Chiesa di cui noi siamo i custodi. All’interno del Messale ci sono molte opportunità. Non basta preparare la sala. Il luogo da preparare è il cuore.
La cena: appare subito l’ombra della croce, “uno di voi mi tradirà”. Giuda è uno dei Dodici. Giuda, uno di noi. È uno che intinge con me nel piatto, è il peccato accovacciato alla porta, un amore fallito. Gesù si dona anche per Giuda. La nostra miseria diventa il catino della sua misericordia. “L’Eucaristia è tutto e ci dà tutto.
La carne si fa Pane. La Parola si fa Pane” (Dossetti). Giuda e Pietro: entrambi hanno tradito. La differenza è l’accettazione del perdono.
Una donna disperata perché il figlio era morto corre dal curato d’Ars e chiedeva ogni giorno: “mio figlio si è salvato?”. Risponde: “Tra il pilone del ponte del ponte e il pelo dell’acqua si aprono le braccia della misericordia di Dio”.
Nel Getsemani: Marco non riporta il testo del Padre nostro. Lo pone qui: nel momento della prova, Gesù chiama Dio Abbà. Una finestra aperta sulla interiorità del Maestro. Uno spaccato sulla passione interiore.
Il bacio di Giuda. Ricordiamo che la Messa inizia con il bacio.
Il ragazzo con il lenzuolo: è l’uomo che è tornato nel giardino.
“Cristo sarà in agonia fino alla fine del mondo” (Pascal).
Concludo con Tagore:
È giunto il momento della mia partenza.
ditemi addio fratelli!
mi inchino a voi tutti
e prendo commiato.
Ecco restituisco le chiavi della mia porta
e rinuncio a tutti i diritti sulla mia casa.
Per questa mia fine
vi chiedo solo parole gentili.
Siamo stati vicini per lungo tempo
ho ricevuto più di quello
che ho potuto dare.
Ora si è fatto giorno
e la lampada che illuminava
il mio angolo buio si è spenta.
È giunta la chiamata
e sono pronto per il mio viaggio.”
Venerdì 11 novembre 2011 – nona meditazione
Premesse
Spiritualità del presbitero diocesano
Dove troviamo l’unità di vita? si dice del cardinale Lercaro che era sottomesso all’unità interiore del mistero pasquale (croce e resurrezione) – tutto deve essere intorno a Cristo. Cristo è il centro unificante. Il ministero ha come suo centro la carità pastorale. Gerarchia dei valori: non tutto serve e non tutto è importante.
Alcune note sulla pastorale
A quale pastorale siamo chiamati? La pastorale dipende dall’ecclesiologia. Qualis ecclesiologia talis actio pastoralis. Il vero problema oggi è di natura ecclesiologica. Cosa intendo per Chiesa: un’azienda, una bottega, una clinica, una scuola, un monastero, una casa.
La pastorale più semplice è quella dei discepoli che rimandano indietro i bambini, cioè la folla.
Un’altra pastorale è quella della spugna, nel duplice senso: per pulire (va bene) o per cancellare tutto (non serve).
Esiste anche la pastorale dell’appalto e del sub-appalto: non è il Consiglio pastorale che compie le scelte e coordina la pastorale, ma i gruppi ecclesiali. E per evitare contasti, alcuni parroci non fanno incontrare i gruppi per evitare litigi e incomprensioni.
La pastorale del cavallo di Troia: sto al di dentro delle situazioni e cerco di cambiarle.
La pastorale del possibile. A Dio tutto è possibile. A noi tutto il possibile. Non nel senso di giocare al ribasso. Il consiglio del suocero di Mosè:
Es 18 – Il giorno dopo Mosè sedette a render giustizia al popolo e il popolo si trattenne presso Mosè dalla mattina fino alla sera. 14 Allora Ietro, visto quanto faceva per il popolo, gli disse: «Che cos’è questo che fai per il popolo? Perché siedi tu solo, mentre il popolo sta presso di te dalla mattina alla sera?». 15 Mosè rispose al suocero: «Perché il popolo viene da me per consultare Dio. 16 Quando hanno qualche questione, vengono da me e io giudico le vertenze tra l’uno e l’altro e faccio conoscere i decreti di Dio e le sue leggi». 17 Il suocero di Mosè gli disse: «Non va bene quello che fai! 18 Finirai per soccombere, tu e il popolo che è con te, perché il compito è troppo pesante per te; tu non puoi attendervi da solo. 19 Ora ascoltami: ti voglio dare un consiglio e Dio sia con te! Tu sta’ davanti a Dio in nome del popolo e presenta le questioni a Dio. 20 A loro spiegherai i decreti e le leggi; indicherai loro la via per la quale devono camminare e le opere che devono compiere. 21 Invece sceglierai tra tutto il popolo uomini integri che temono Dio, uomini retti che odiano la venalità e li costituirai sopra di loro come capi di migliaia, capi di centinaia, capi di cinquantine e capi di decine. 22 Essi dovranno giudicare il popolo in ogni circostanza; quando vi sarà una questione importante, la sottoporranno a te, mentre essi giudicheranno ogni affare minore. Così ti alleggerirai il peso ed essi lo porteranno con te. 23 Se tu fai questa cosa e se Dio te la comanda, potrai resistere e anche questo popolo arriverà in pace alla sua mèta».
Che passo deve avere la nostra pastorale. Un principio importante è rispettare il passo del nostro popolo. Non tutte le parrocchie possono avere lo stesso passo. Unità non vuol dire uniformità.
Gen 33 -Poi Esaù disse: «Leviamo l’accampamento e mettiamoci in viaggio: io camminerò davanti a te». 13 Gli rispose: «Il mio signore sa che i fanciulli sono delicati e che ho a mio carico i greggi e gli armenti che allattano: se si affaticano anche un giorno solo, tutte le bestie moriranno. 14 Il mio signore passi prima del suo servo, mentre io mi sposterò a tutto mio agio, al passo di questo bestiame che mi precede e al passo dei fanciulli, finché arriverò presso il mio signore a Seir». 15 Disse allora Esaù: «Almeno possa lasciare con te una parte della gente che ho con me!». Rispose: «Ma perché? Possa io solo trovare grazia agli occhi del mio signore!». 16 Così in quel giorno stesso Esaù ritornò sul suo cammino verso Seir. 17 Giacobbe invece si trasportò a Succot, dove costruì una casa per sé e fece capanne per il gregge. Per questo chiamò quel luogo Succot.
Marco capp. 15-16
Parliamo della croce, ci farebbe piacere strappare queste pagine. Ma senza la croce non avremmo dove riportare la nostra croce.
“Partirai solo, Signore … ma tu ci troverai al fondo della tua solitudine e noi ti troveremo al fondo della nostra umiliazione …”.
La passione è raccontata nei minimi particolari. È possibile ricostruire il Vangelo della passione in tutti i dettagli, alcune comunità hanno l’orologio della passione. Qui, più che altrove, vale il monito: “Togliti i calzari perché il terreno su cui stai è terra santa”. Pietro, cioè la Chiesa, è già caduto. Gesù è solo dinanzi a Pilato. Quid est veritas? Est homo qui adest – È l’uomo che ti sta davanti. Ma Pilato non riesce a vederlo. Pilato è sempre citato nella Messa, l’unico nome che la tradizione ha inserito nella confessione di fede, come a ricordare la storicità della fede. Marco giustifica i discepoli: “I loro occhi si erano fatti pesanti”.
Gesù è il Giusto. Egli viene barattato con Barabba. “O admirabile commercium”. “Il giusto si è consegnato per l’ingiusto”. Qui avviene questo scambio. La folla iniziò a chiedere ciò che era solito concedere. Marco dice il motivo per cui avevano consegnato Gesù: “per invidia”. L’invidia percorre la nostra vita e i nostri presbitèri. Il titulum crucis dice altre cose: “il re dei Giudei”. Marco, quasi di nascosto, accenna al vero motivo: “per invidia”. È lo stesso motivo per cui la Chiesa è messa in croce. Ma siamo sereni: “hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi”. Se è a causa sua, possiamo stare tranquilli. Viene liberato questo figlio di nessuno. La nostra società è segnata dall’assenza della paternità. La gente chiede alla Chiesa la paternità.
Da questo momento Gesù non è più chiamato per nome, si usa sempre e solo il pronome. Non ha più volto. “Se questo è un uomo” (Primo Levi). Is 53: non ha più bellezza …
Simone veniva dalla campagna, entriamo nel mistero della croce accompagnati da quest’uomo. La croce arriva quando stiamo tornando dai campi, arriva dopo una giornata di fatica. La croce ci dà appuntamento in certe strade buie della nostra vita. La croce arriva sempre all’improvviso. “… grido lacerante fu l’urlo di sirene … ai cancelli nodi di silenzio, sospesa a nero fumo … e la notte sprofonda nel vuoto” (tragedia di Marcinelle). Costretti a portare la croce. Ecce homines: attraverso il cireneo abbiamo accesso alla croce di Gesù. Quest’uomo maledice, borbotta. Più tardi capirà. È Dio che sceglie l’ora della croce. Il cireneo deve portare la croce, non è la sua croce ma quella di Gesù. “Ho un Cristo senza Cristo, forse tu hai una croce senza Cristo”. Alda Merini: “Gesù, forse è per paura delle tue molte spine ch’io non ti credo … forse io ti rinnego per paura del pianto, però io ti percorro ad ogni ora e sono lì in un angolo di strada e aspetto che tu passi …”. San Girolamo dice che il cireneo è Cristo stesso. La sua croce è la nostra, fra qualche ora la sua Pasqua sarà la nostra.
Cristo in croce. C’è una solitudine infinita. Ritorna il mistero del Padre nostro: il grido di dolore e l’abbandono fiducioso. Ma Eloì è il Dio lontano. Gesù è sospeso tra cielo e terra. La sua Chiesa dorme, impaurita e lontana. Il mistero di Gesù si consuma in questo dialogo: quando tutto crolla e finisce, quando siamo nella croce della solitudine e della sofferenza, rimane questo dialogo tra Gesù e il Padre. Gesù è nudo e si espone. Adamo è nudo e si nasconde. Adamo coperto con tuniche di pelli, il Figlio coperto di sangue. Siamo rivestiti dalla sua nudità. Le vesti passano tra le mani dei soldati, anche loro toccano il lembo del mantello. Cristo muore per ogni uomo.
L’ultima tentazione, non quella del regista Martin Scorsese se sei il Figlio, salva te stesso. Se fosse sceso avrebbe dato valore al messianismo di chi stava sotto la croce. Dio non ci salva dalla morte ma nella morte. David Maria Turoldo:
T’invocava con tenerissimo nome:
la faccia a terra
e sassi e terra bagnati
da gocce di sangue:
le mani stringevano zolle
di erba e fango:
ripeteva la preghiera del mondo:
«Padre, abbà, se possibile»…
Solo un ramoscello d’olivo
dondolava sopra il suo capo
a un silenzioso vento…
Elia non scende, ma nel suo grido Gesù prende il grido di tutti gli indemoniati, ma ri-prende anche il grido di Dio: Adamo, dove sei? A chi si chiede: dov’è Dio? eccolo: pende da una croce.
Il centurione, un pagano: non si copre il volto, lo guarda in faccia e confessa: “davvero quest’uomo era figlio di Dio”. “Se vuoi sapere chi è Dio, inginocchiati ai piedi della croce” (J. Moltman). Nasce la Chiesa dall’acqua e dal sangue. Nella liturgia cantiamo:
Crux fidélis, inter omnes arbor una nóbilis!
Nulla talem silva profert flore, fronde, gérmine.
Dulce lignum, dulci clavo dulce pondus sústinens!
« Croce fedele, nobile albero, unico tra tutti! Nessun bosco ne offre uno simile per fiore, fogliame, germoglio. Dolce legno, dolce palo, che porti un dolce peso ».
Nel venerdì santo cantiamo il mistero del fico che ha dato il suo primo frutto. Borges: “ormai è un volto duro … insisterò a cercarlo”.
La mirra: quella mirra che i Magi hanno portato al Bambino. Pro 31,6. La sapienza umana cerca di anestetizzare il dolore. Il compito della cultura è mettere un paravento dinanzi alla croce perché non accetta lo schiaffo della croce. La croce non entra nei laboratori scientifici, nonostante tutto il cammino culturale e scientifico, un bambino muore. “Stiamo andando sulla luna ma non sono riusciti a salvare mia madre” (Fallaci). “O voi che passate per la via vedete se c’è un dolore simile al mio” (dalla liturgia). INRI: inchiodati, noi risorgeremo insieme.
È venuta la sera. Entriamo nel grande sabato. Giuseppe di Arimatea: il coraggio della fede. Va a comprare il lino. Lo pone nel sepolcro (= memoria). La morte diventa solo un ricordo. “L’uomo nasce due volte e non muore mai”. Nel sepolcro annuncia il Vangelo: 1Pt 3,19 – il Vangelo è per ogni uomo. Dobbiamo soffermarci di più sull’articolo del Credo: “Discese agli inferi”.
La croce è rimasta vuota. La via striata di sangue. Tutti sono andati via. Il cuore di Maria è rimasto in basso, sospeso tra cielo e terra. anche la terra trema, sta per partorire la vita. il silenzio di Dio e dell’uomo. Il tuo corpo tra le mia braccia e lei, mater mea, ai piedi di ogni croce.
Mc 16 – Tutto confluisce di nuovo nella Parola. Mc conclude: “infatti avevano paura”. Il Vangelo è un libro aperto. Mc non racconta gli incontri pasquali di Gesù. Troviamo però una “scandalosa pagina di ecclesiologia”:
7 Ora andate, dite ai suoi discepoli e a Pietro che egli vi precede in Galilea. Là lo vedrete, come vi ha detto».
Gesù manda a chiamare. Nonostante tutto, ha fiducia in loro. Quando ci ha chiamato, ci chiama per sempre. È Lui che porta a compimento ciò che ha iniziato. “A noi ci è dato per grazia di sfiorare nel segno del pane il lembo del suo mantello”. “Il Vangelo l’ho trovato in un po’ di pane, un po’ di vino”.[/fusion_builder_column][/fusion_builder_row][/fusion_builder_container]