Nell’attesa della Domenica senza tramonto

 

È veramente giusto benedirti e ringraziarti,
Padre santo, sorgente della verità e della vita,
perché in questo giorno di festa
ci hai convocato nella tua casa.

Oggi la tua famiglia,
riunita nell’ascolto della parola
e nella comunione dell’unico pane spezzato,
fa memoria del Signore risorto
nell’attesa della domenica senza tramonto,
quando l’umanità intera
entrerà nel tuo riposo.

Allora noi vedremo il tuo volto
e loderemo senza fine
la tua misericordia.

Con questa gioiosa speranza,
uniti agli angeli e ai santi,
cantiamo a una sola voce
l’inno della tua gloria.

(Prefazio del Tempo Ordinario X)

  1. L’orizzonte

Sorelle e Fratelli, carissimi Presbiteri, Diaconi, Religiosi e Religiose, dopo la Sosta Ecclesiale che ci ha visti insieme per riprendere il nostro cammino, permettetemi di indicare come meta un orizzonte non alto, ma altissimo, perfetti come il Padre (Mt 5,48), e questo non per voler bypassare la storia, ma per ricordare ad ognuno di noi che lavoriamo per la trasfigurazione di questo mondo nell’attesa dei cieli nuovi e terra nuova (Ap 21,1).

Sì, la meta è oltre, è escatologica, è di là, e noi viviamo costantemente nell’attesa della Domenica senza tramonto.

Non diremo più: uffa, domani è lunedì! – perché su quella Domenica, ottavo giorno, il sole non tramonterà e finalmente vivremo la festa eterna, non più disturbata dalle nostre fragilità e dai nostri peccati. Scrive Santa Teresa di Gesù Bambino: Dopo ogni giorno di luce calano le tenebre. Solo l’ultimo giorno, quello della venuta del Signore Gesù, sarà senza tramonto. Ed ancora: Se si nasconde, io saprò aspettarlo / fino all’ultimo giorno senza sera.

Allora, solo allora, come ci ricorda la liturgia, noi vedremo il suo volto e loderemo senza fine la sua misericordia.

Oggi, nel tempo che viviamo, la misericordia dobbiamo esercitarla. Allora, solo allora tutto sarà chiaro, mentre ora ci dobbiamo accontentare di camminare nelle ombre della sera, certo in attesa del mattino, mentre la Chiesa prosegue il suo pellegrinaggio fra le persecuzioni del mondo e le consolazioni di Dio, annunziando la passione e la morte del Signore fino a che egli venga (cfr. 1 Cor 11,26). Dalla virtù del Signore risuscitato trae la forza per vincere con pazienza e amore le afflizioni e le difficoltà, che le vengono sia dal di dentro che dal di fuori, e per svelare in mezzo al mondo, con fedeltà, anche se non perfettamente, il mistero di lui, fino a che alla fine dei tempi esso sarà manifestato nella pienezza della luce. (LG 8)

Ma, si chiedeva San Cipriano, quand’è che non ci sarà il sole, se Cristo è il nostro sole?

  1. Dal sinodo alla sinodalità

“La Chiesa di Nocera-Sarno, in virtù delle grazie ricevute nel presente Sinodo e affinché nulla vada perduto di quanto lo Spirito Santo ha seminato nel suo popolo, dichiara la sinodalità permanente come principio ispiratore della nuova evangelizzazione negli anni a venire. Si impegna altresì a coltivare il seme della Parola con la solerzia di quanti intendono costruire un mondo nuovo, a misura del progetto di Dio.

La Chiesa di Nocera-Sarno, appassionata a tale progetto, si ridona in perfetta unità, quale sposa fedele, al suo amatissimo Sposo e ne ravvisa il volto in quello di ogni fratello, specialmente se piagato nell’anima e nel corpo. E così inizia dopo il Sinodo il suo cantico in questo Agro, per prolungarlo in paradiso per l’eternità”. (Libro del Sinodo 1, Progetto Pastorale, par. 127, p. 171)

Sappiamo che il Sinodo non è solo uno strumento di cui sempre la Chiesa si è servita per meglio evangelizzare, ma di più è un suo modo di essere, uno stile.

Quasi tutte le Diocesi, in attesa del terzo millennio, hanno celebrato un sinodo e, alla luce della Parola del Signore e sulla scia del Concilio, si sono rimesse in discussione per meglio annunciare il Vangelo e intercettare le luci e le ombre della storia.

Ma, lo sappiamo, il sinodo non basta o può rimanere lettera morta, per questo continuamente bisogna passare dal sinodo alla sinodalità, ben sapendo, come ha scritto San Giovanni Crisostomo, che Chiesa e Sinodo sono sinonimi.

Il sogno della nostra Chiesa, radicata nei solchi del Concilio, è quello di vivere una sinodalità permanente che è dono dello Spirito, una primavera alla quale Papa Francesco continuamente ci richiama, a cominciare dai Consigli Pastorali Parrocchiali.

Sì, camminare insieme, riconoscendo il dono di ciascuno, evitando ritardi, sfilacciature e frenate improvvise, arroccamenti fuori della storia, o percorsi alternativi senza alcun riferimento al Magistero o all’ora che la Chiesa sta vivendo.

Camminare insieme, accogliendo e offrendo il meglio di ognuno, ogni frammento, e avendo come stile le parole che San Gregorio Nazianzeno riferisce parlando di sé e di San Basilio nei suoi discorsi: “Ci guidava la stessa ansia di sapere, cosa fra tutte eccitatrice di invidia; eppure fra noi nessuna invidia, si apprezzava l’emulazione. Questa era la nostra gara: non chi fosse il primo, ma chi permettesse all’altro di esserlo.” (dai Discorsi di San Gregorio Nazianzeno, Vescovo – Discorso 43, 15.16.17.19-21; PG 36, 514-523)

Camminare insieme, accogliendo a testa bassa il rimprovero del Signore: Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che chiudete il regno dei cieli davanti alla gente; di fatto non entrate voi, e non lasciate entrare nemmeno quelli che vogliono entrare. (Mt 23,13)

Camminare insieme, attingendo al ricco Magistero petrino, alla luce dell’Evangelii Gaudium e dell’Amoris Letitia, documenti che non servono per verniciare una porta tarlata, ma per riprendere dalla base e dal di dentro una pastorale profeticamente nuova.

Camminare insieme, avendo come sostegno la Parola dell’Apostolo, che può fare del bene ad ogni apostolo: Cinque volte dai Giudei ho ricevuto i quaranta colpi meno uno; tre volte sono stato battuto con le verghe, una volta sono stato lapidato, tre volte ho fatto naufragio, ho trascorso un giorno e una notte in balìa delle onde. Viaggi innumerevoli, pericoli di fiumi, pericoli di briganti, pericoli dai miei connazionali, pericoli dai pagani, pericoli nella città, pericoli nel deserto, pericoli sul mare, pericoli da parte di falsi fratelli; disagi e fatiche, veglie senza numero, fame e sete, frequenti digiuni, freddo e nudità. Oltre a tutto questo, il mio assillo quotidiano, la preoccupazione per tutte le Chiese. Chi è debole, che anch’io non lo sia? Chi riceve scandalo, che io non ne frema?

Se è necessario vantarsi, mi vanterò della mia debolezza. Dio e Padre del Signore Gesù, lui che è benedetto nei secoli, sa che non mentisco. A Damasco, il governatore del re Areta aveva posto delle guardie nella città dei Damasceni per catturarmi, ma da una finestra fui calato giù in una cesta, lungo il muro, e sfuggii dalle sue mani. (2Cor 11,24-33)

Camminare insieme, con la certezza frutto di fede matura che, per ogni vero apostolo, il Signore prepara una cesta per calarci da qualche finestra e salvarci per poter vivere, con libertà interiore, l’assillo quotidiano, cioè l’amore gratuito alla Chiesa.

  1. Ordinare

Ricominciare (2011-2012); ascoltare (2012-2013); accogliere (2013-2014); rinascere (2014-2015); misericordiare (2015-2016).

Dall’inizio c’è un verbo che accompagna il nostro cammino pastorale, un verbo che dice movimento e vita, e può essere coniugato in tutti i modi e in tutti i tempi.

Quest’anno sarà il verbo Ordinare, nel senso di mettere ordine e di avere un Ordo, cioè un rito, portando dentro la bella indicazione della Scrittura: Quando poi sarete entrati nella terra che il Signore vi darà, come ha promesso, osserverete questo rito. Quando i vostri figli vi chiederanno: “Che significato ha per voi questo rito?”, voi direte loro: “È il sacrificio della Pasqua per il Signore, il quale è passato oltre le case degli Israeliti in Egitto, quando colpì l’Egitto e salvò le nostre case””. (Es 12,25-27)

Innanzitutto è necessario mettere ordine nei cassetti della nostra vita, nei ripostigli della coscienza, nelle soffitte della memoria, negli archivi della riconoscenza e della gratitudine; mettere ordine nei meandri delle solitudini, negli anfratti delle relazioni, nei portafogli dell’economia, negli oggetti della devozione, nei percorsi della fede, negli ambienti delle parrocchie e delle comunità.

Mettere ordine, cioè riordinare, nelle stanze dell’infanzia, nei luoghi dell’adolescenza, negli spigoli della giovinezza, negli appartamenti della maturità; mettere ordine nella vita, adesso, oggi, qui, ricordando l’antico adagio: conserva l’ordine e l’ordine conserverà te.

Mettere ordine può aiutare a vivere bene il tempo adulto e della senilità. Mettere ordine, con calma e serenità, senza fretta, senza paura, senza vergogna, rielaborando ogni cosa con distacco e sapienza, introduce al tempo della vecchiaia, imparando a diventare anziani, maturi nella vita e nella fede, senza nostalgie e fughe in avanti, ma accogliendo, sempre con gratitudine, il tempo e lo spazio che ancora il Signore ci dona. Mettere ordine, vivendo con gioia i momenti della messa domenicale nei ritmi concreti della vita quotidiana.

In una cultura che spinge all’eterna giovinezza e a continue prestazioni da palcoscenico, è bello nella fede accettare anche gli acciacchi e i malanni, le pause, che arrivano con il passare degli anni, sapendo – come diceva San Giovanni XXIII – che ogni giorno è buono per nascere e per morire.

Si colloca in questo contesto, forse un po’ originale, il saper riprendere i tempi e i colori dell’Anno Liturgico, come vero cammino ordinario e ordinato di fede, speranza e carità. Tempi da vivere e colori da indossare e ammirare, senza voler anticipare o saltare, o confondere, o sopprimere, o – come vuole la cultura di oggi – tutto omologare.

Pasqua non è Natale, e sappiamo che la Quaresima sospende l’Alleluia.

Saper riprendere il calendario liturgico, con tutte le difficoltà culturali che oggi comporta, vuol dire avere coscienza che Pasqua, cuore della storia, si festeggia una volta l’anno; che la Domenica cade una volta alla settimana e poi ci sono i giorni feriali, non necessariamente occupati dalla noia, ma dal lavoro sereno e nascosto, giorni che preparano la Domenica e mesi che vanno avanti a cominciare dalla Pasqua. Nel tempo liturgico la Chiesa ci fa celebrare tutto il Mistero di Cristo e ci presenta la Madonna, i Martiri e i Santi come frammenti della Pasqua, amici e modelli per dissodare nel lavoro continuo i solchi della storia. Forse, l’aver pensato che è sempre carnevale, non ci fa gustare il senso e il significato della festa; il mangiare sempre allo stesso modo e di fretta, o in piedi, non ci fa attendere più il pranzo della Domenica; e il vestirci come capita, o obbedendo alla moda, ci ha fatto riporre l’abito della festa e indossare i panni della sciatteria, anche nell’ambiente liturgico.

Nella fede è bello sapere che siamo nati a Pasqua ed ogni Domenica è la Pasqua settimanale, il primo giorno della settimana, giorno della creazione e dell’incontro, della comunità e della famiglia, giorno della gioia e del riposo. La Domenica è sorgente della festa cristiana, e non attende altre feste, altre occasioni, per vestirsi a festa, ma da quel giorno tutto nasce e a quel giorno tutto ritorna trasformato.

Nel Dies Domini, ognuno può ripetere: è Domenica mattina come quando ti incontrai e perciò, come Chiesa, cantiamo questo giorno che ci parla di Te.

Tutto questo, se preso sul serio, ha una ricaduta sulla nostra vita e sulla nostra pastorale.

Ci chiediamo: qual è il mio calendario di riferimento oggi? Donde traggo il motivo della festa?

Gli spazi del sacro coincidono con quelli della fede, o abbiamo costruito solo tangenziali, che ci fanno arrivare prima ma ci allontanano dalla meta?

Se sono cristiano, battezzato e cresimato e partecipe dell’Eucaristia, conosco il valore dell’anno liturgico, della festa e delle feste, che puntellano il mio cammino di fede?

La catechesi, l’arte, le immagini, l’architettura delle nostre chiese mi aiutano a riscoprire la centralità della Domenica? Mi domando ancora: le nostre feste religiose, così come sono impostate, mi danno una mano nel cammino di fede o mi distolgono da esso?

Tutto questo e le domande che ancora noi possiamo porre ci rimandano ad interrogarci sulla profondità e sulla serietà del nostro credere. Dove alimento la mia fede? Dove coltivo la speranza? Dove attingo per la carità?

Riscoprire l’Anno Liturgico e la Domenica comporta decisioni importanti dal punto di vista pastorale. Innanzitutto bisogna pulire e liberare il volto della Domenica da tante incrostazioni accumulate con il tempo e l’incuria. Dove è possibile, bisogna diminuire il numero delle messe e riportare la festa dei santi nei giorni stabiliti dal calendario liturgico. È nel giorno del compleanno e dell’onomastico che attendo gli auguri da chi mi conosce, e non negli altri giorni, o giorni che io scelgo secondo le mie prospettive.

Forse così ricominceremo a riscoprire il volto bello della Domenica e della festa e, liberi dentro, saremo più veri nel rapporto con gli altri.

  1. Insegnare a chi non sa

Per il sogno di una Chiesa conciliare, abbiamo bisogno di segni. È necessario oggi tornare ad in-segnare, cioè lasciare un segno come hanno fatto i nostri antenati, cercando dal di dentro di alimentare la speranza cristiana. Indico due segni che dovrebbero segnare il nostro anno della misericordia. Il primo si riferisce ad un’opera di misericordia spirituale, il secondo ad un’opera di misericordia corporale.

Penso alla Domus misericordiae, una casa dove si può pensare la pastorale. Penso ad un luogo, laboratorio di incontro, dialogo, formazione, cantiere pastorale per una nuova presenza sul territorio. Abbiamo bisogno di un luogo fisico – e ci stiamo pensando – per elaborare insieme la pastorale che deve scaturire da una profonda formazione teologica. Sto pensando ad una Casa dove i gruppi, le associazioni, i movimenti si possano incontrare per sperimentare la sinodalità, per dare spettacolo di unità e per contribuire, in modo culturale e spirituale, ad offrire veri percorsi pastorali alla Diocesi. Per questo progetto, già si sta lavorando e, accogliendo le proposte di tanti, si può sperimentare concretamente il cammino sinodale. Di anno in anno, c’è bisogno di supporto formativo per poter inoltrarsi in veri Percorsi pastorali.

Il secondo segno, sul quale sto insistendo da tanto, è il far nascere l’Emporio della solidarietà, per passare, come spesso ricordato, dalla solitarietà alla solidarietà, per uscire dalla semplice distribuzione dei pacchi viveri e riconoscere più dignità ai tanti bisognosi del nostro territorio. Anche per questo secondo segno già si sta lavorando, ma è importante che diventi non il pensiero di uno ma il pensare di una Chiesa che vuole di nuovo disegnare le opere della misericordia nel nostro tempo e curare le tante ferite della gente.

  1. Verso la vetta

La finalità dell’Anno Liturgico è molto semplice ed è, nello stesso tempo, molto impegnativa. Si vivono le stagioni dell’Anno Liturgico per cercare di diventare santi. Non abbiamo altre mete ed altre finalità, anche quando siamo chiamati ad essere samaritani della storia e le urgenze bussano alle nostre porte. Una pastorale non orientata alla santità è semplice intrattenimento ed è perdita di tempo. In questo cammino verso la vetta, ci può aiutare Alfonso Maria Fusco, santo novello della nostra terra. Siamo chiamati a leggere ed approfondire la sua vita. Sono certo che ci farà bene. Egli ci aiuterà a camminare insieme verso la meta della santità. Alfonso Maria Fusco ci può essere maestro nell’affidamento alla Provvidenza, nell’attenzione al povero, nell’obbedienza vera e sincera, nell’amore alla Chiesa e nell’abbandono fiducioso tra le braccia di Maria. Presbitero diocesano, confessore, educatore, fondatore, contemplativo dell’Eucaristia, uomo della Croce, egli ha una lezione per ognuno di noi. Con lui, e presi per mano da lui, ci possiamo iscrivere alla scuola dell’umiltà per tentare la scalata verso la santità e, come lui, lasciare un vero segno nella storia degli uomini.

Oggi, solennità dei Santi Pietro e Paolo, festa della Chiesa, consegno alla Comunità diocesana gli Orientamenti Pastorali come piste aperte, idee guida per orientare il cammino ecclesiale e perché nessuno si senta smarrito o ai margini della strada.

I Santi Pietro e Paolo, che con diversi doni hanno edificato l’unica Chiesa, ci aiutino a tradurre questi Orientamenti in autentici Percorsi Pastorali, in modo da consegnare a tutti e a ciascuno la gioia e la bellezza del Vangelo, trama dei nostri giorni e lievito capace di far fermentare tutta la pasta della nostra storia. Maria, la Madre della Chiesa, la Vergine orante, la Donna sempre vestita a festa perché senza peccato, ci accompagni e ci sostenga fino a quella Domenica senza tramonto quando l’umanità intera entrerà nel riposo di Dio.

 

Vi benedico,
Giuseppe Vescovo

Nocera Inferiore, 29 giugno 2016
Solennità dei Santi Pietro e Paolo

 

Verrò verso di te

Credo, sì io credo che un giorno,
il tuo giorno, o mio Dio,
avanzerò verso te coi miei passi titubanti,
con tutte le mie lacrime nel palmo della mano,
e questo cuore meraviglioso che tu ci hai donato,
questo cuore troppo grande per noi
perché è fatto per te…

Un giorno io verrò, e tu leggerai sul mio viso
tutto lo sconforto, tutte le lotte
tutti gli scacchi dei cammini della libertà.
E vedrai tutto il mio peccato.
Ma io so, mio Dio,
che non è grave il peccato,
quando si è alla tua presenza.
Poiché è davanti agli uomini che si è umiliati.
Ma davanti a te, è meraviglioso esser così poveri,
perché si è tanto amati!

Un giorno, il tuo giorno, mio Dio, io verrò verso di te.
E nella autentica esplosione della mia resurrezione,
saprò allora che la tenerezza, sei tu,
che la mia libertà sei ancora tu.
Verrò verso di te, mio Dio,
e tu mi donerai il tuo volto.
Verrò verso di te con il mio sogno più folle:
portarti il mondo fra le braccia.
Verrò verso di te, e griderò a piena voce
tutta la verità della vita sulla terra.
Ti griderò il mio grido che viene dal profondo dei secoli:
«Padre! ho tentato di essere un uomo,
e sono tuo figlio».

JACQUES LECLERCQ